Cosa sono le lacrime di coccodrillo
L’espressione “lacrime di coccodrillo” è una delle più evocative e antiche metafore del linguaggio comune. Si usa per indicare un pianto finto o interessato, un’emozione simulata da chi si mostra dispiaciuto, ma in realtà non prova sincero rimorso o dolore.
È un modo di dire che unisce la potenza visiva del gesto (il coccodrillo che lacrima) alla forza morale del giudizio, perché sottintende un’accusa di ipocrisia. La formula è oggi familiare, ma la sua origine risale a secoli lontani, dove osservazione naturale, leggenda e tradizione letteraria si intrecciarono fino a generare un simbolo duraturo di falsità sentimentale.
- Origine e nascita della leggenda
- Spiegazione naturale del fenomeno
- Il significato figurato nella lingua
- Analisi linguistica e diffusione
- Tracce letterarie e culturali
- Curiosità e persistenze simboliche
Origine e nascita della leggenda
L’origine di questa curiosa espressione si trova nel Medioevo, quando i racconti di viaggiatori e missionari riportavano in Europa notizie spesso fantasiose sugli animali esotici. Tra queste, si diffuse la credenza che il coccodrillo, dopo aver divorato la sua preda, piangesse lacrime di pentimento per il male commesso.
La leggenda ebbe grande fortuna e fu ripresa da autori celebri. Già nel XIII secolo il francescano Bartolomeo Anglico, nella sua enciclopedia De proprietatibus rerum, descrive il coccodrillo come un animale che “mangia l’uomo piangendo e, dopo averlo divorato, versa lacrime”. Lo stesso concetto compare nel Bestiario latino e nei racconti morali di epoca tardo-medievale, dove gli animali venivano interpretati come figure simboliche del comportamento umano. Il coccodrillo divenne così emblema dell’ipocrisia, di chi mostra dolore solo per convenienza o apparenza.
La credenza trovò eco anche nella cultura rinascimentale: Sir John Mandeville, nel suo Viaggio (XIV secolo), e più tardi Erasmo da Rotterdam, nelle Adagia, citarono le “lacrime di coccodrillo” come esempio di pianto simulato. Da allora l’immagine entrò stabilmente nel linguaggio morale e popolare dell’Europa.
Spiegazione naturale del fenomeno
Alla base della leggenda vi era un’osservazione reale, ma male interpretata. I coccodrilli lacrimano davvero, ma non per emozione. Le loro lacrime non esprimono dolore o pentimento: sono il risultato di un fenomeno fisiologico, legato alla produzione di saliva e all’attività delle ghiandole lacrimali durante la digestione.
Quando il coccodrillo è fuori dall’acqua e apre la bocca per lungo tempo, le ghiandole che servono a lubrificare gli occhi si attivano e producono lacrime per mantenerli umidi. L’effetto è suggestivo: mentre l’animale mastica la preda, dai suoi occhi sgorgano gocce di liquido. Da qui nacque, per osservazione o per fantasia, l’idea che l’animale piangesse per la vittima, rafforzando il mito del pentimento postumo.
Il significato figurato nella lingua
Nel linguaggio figurato, “lacrime di coccodrillo” indica un’emozione ipocrita, simulata o tardiva. Si dice di chi si mostra addolorato solo quando è troppo tardi, o di chi manifesta un dolore apparente per convenienza. È una formula che unisce il registro popolare e quello morale, e che conserva un tono di giudizio etico: chi versa “lacrime di coccodrillo” non è semplicemente falso, ma vuole apparire compassionevole pur non essendolo.
L’espressione si usa anche in senso ironico, per commentare atteggiamenti esagerati o teatrali di pentimento, o per smascherare chi tenta di suscitare empatia dopo aver causato un torto. La forza dell’immagine sta nella sua immediatezza: il coccodrillo, creatura predatrice e imperturbabile, diventa il simbolo dell’ipocrisia che si maschera da pietà.
Analisi linguistica e diffusione
Dal punto di vista linguistico, “lacrime di coccodrillo” è una metafora nominale fissa, cioè un’espressione cristallizzata che non ammette variazioni. L’accostamento fra un elemento concreto (le lacrime) e uno simbolico (il coccodrillo) crea un’immagine netta e riconoscibile, facile da memorizzare e da usare nel parlato.
L’origine dell’espressione, di matrice anglosassone e latina, risale probabilmente alla traduzione del termine inglese crocodile tears, attestato nel XVI secolo. Tuttavia, in Italia la locuzione compare già in testi del Cinquecento e del Seicento, segno di una diffusione precoce attraverso la letteratura morale e religiosa. Il suo successo linguistico è dovuto alla forza iconica del contrasto: il pianto, simbolo di dolore, accostato a un animale predatore, simbolo di ferocia.
Tracce letterarie e culturali
Le “lacrime di coccodrillo” compaiono in numerosi testi letterari e morali, spesso come emblema dell’ipocrisia umana. Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), il modo di dire è già registrato con il significato di “pianto simulato”. Nei secoli successivi, l’espressione fu adottata anche dal linguaggio teatrale e narrativo, dove serviva a descrivere il pentimento fittizio dei personaggi.
In molti bestiari medievali illustrati, il coccodrillo è raffigurato mentre piange accanto a un corpo umano, con una breve didascalia morale: “Chi finge lacrime dopo il male commesso è simile al coccodrillo”. Questo uso simbolico sopravvisse a lungo, trasmettendosi al linguaggio comune e fissandosi nel lessico figurato.
Curiosità e persistenze simboliche
La forza della metafora ha attraversato i secoli senza perdere il suo valore universale. In molte lingue europee esistono espressioni identiche o quasi: larmes de crocodile in francese, lágrimas de cocodrilo in spagnolo, Krokodilstränen in tedesco. Ciò testimonia la diffusione continentale della leggenda e la sua capacità di adattarsi a culture diverse.
Curiosamente, in alcune culture orientali il coccodrillo o l’alligatore sono invece simboli di sincerità e vigilanza, segno di come le interpretazioni simboliche degli animali varino secondo il contesto. In Europa, però, la leggenda medievale ha fissato un’immagine opposta, che ancora oggi sopravvive nel linguaggio quotidiano, nei proverbi e persino nella psicologia popolare.