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Fiat iustitia et pereat mundus: il motto di giustizia assoluta

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Tra le frasi latine più controverse e solenni, fiat iustitia et pereat mundus è una delle più potenti. Letteralmente significa “si faccia giustizia, anche se il mondo dovesse perire”. È un’espressione che racchiude l’idea della giustizia come valore assoluto, da perseguire a ogni costo, anche a scapito delle conseguenze pratiche o della stessa sopravvivenza del mondo.

Nel corso dei secoli, questa formula è stata interpretata in modi diversi: come manifesto di integrità morale, come espressione di rigidità giuridica, ma anche come monito contro l’eccesso di idealismo. La sua forza nasce proprio da questa ambiguità: tra l’eroismo della coerenza e il rischio dell’intransigenza.

Origine e contesto storico

L’origine della locuzione fiat iustitia et pereat mundus risale al periodo del Sacro Romano Impero e viene tradizionalmente attribuita all’imperatore Ferdinando I d’Asburgo (1503–1564), fratello di Carlo V. Secondo le fonti, Ferdinando avrebbe usato questa frase come motto personale, pronunciandola in riferimento al dovere del sovrano di amministrare la giustizia in modo imparziale, anche quando ciò poteva destabilizzare l’ordine politico o sociale.

Il contesto storico in cui nacque questa espressione era segnato da forti tensioni religiose e politiche: la Riforma protestante, le guerre tra principi tedeschi e la necessità di riaffermare l’autorità imperiale e cattolica. In questo scenario, il motto di Ferdinando assumeva il valore di un principio di governo morale, fondato sull’idea che la giustizia divina e l’integrità del diritto dovessero prevalere su ogni compromesso umano.

La frase, tuttavia, non compare nei testi classici latini: è un latinismo umanistico, cioè una formula coniata in età moderna secondo la struttura e la solennità del latino classico, ma con un significato giuridico e teologico tipicamente rinascimentale.

La figura di Ferdinando I d’Asburgo

Ferdinando I d’Asburgo (1503–1564), imperatore del Sacro Romano Impero dal 1558 fino alla sua morte, fu una delle figure più significative dell’Europa del XVI secolo. Cresciuto nella corte spagnola e formatosi in un contesto di profonda religiosità cattolica, Ferdinando ereditò dai genitori, Filippo il Bello e Giovanna la Pazza, un forte senso del dovere morale e politico. Governò territori vastissimi e culturalmente eterogenei, che comprendevano l’Austria, la Boemia, l’Ungheria e gran parte della Germania, in un’epoca segnata dalla frattura religiosa aperta dalla Riforma protestante.

Il suo impero era scosso da conflitti interni e da tensioni tra principi protestanti e cattolici, ma Ferdinando cercò di mantenere la stabilità attraverso una politica di equilibrio e di riforma, alternando fermezza e diplomazia. Pur pragmatico nel governo, rimase profondamente convinto che la giustizia dovesse essere amministrata come riflesso dell’ordine divino, e che il sovrano dovesse agire secondo coscienza anche di fronte al rischio del caos politico. È in questo spirito che nacque la celebre espressione fiat iustitia et pereat mundus, divenuta emblema del suo pensiero morale e politico.

L’uso della locuzione da parte di Ferdinando va interpretato come un manifesto etico del potere: un richiamo alla necessità di rimanere fedeli alla legge e ai principi, anche quando il prezzo da pagare sembra altissimo. Nonostante le difficoltà del suo regno, riuscì a garantire una relativa coesione all’Impero e a preservare l’autorità imperiale in un’epoca di profonda crisi religiosa e istituzionale. La frase che gli è attribuita sopravvisse ai secoli come simbolo della giustizia inflessibile e dell’eterno conflitto tra morale e politica.

Analisi grammaticale e sintattica

Dal punto di vista linguistico, fiat iustitia et pereat mundus è una proposizione complessa, costruita con due verbi al congiuntivo presente usati in senso esortativo o ottativo (cioè come desiderio o comando).

  • Fiat: terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo fio, fis, factus sum, fieri, “diventare”, “accadere”, “avvenire”, usato qui con valore di imperativo (“si faccia”).
  • Iustitia: sostantivo femminile singolare nominativo di iustitia, “giustizia”, soggetto del verbo fiat.
  • Et: congiunzione coordinante, “e”.
  • Pereat: terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo pereo, peris, perii, peritum, perire, “perire”, “distruggersi”, anch’esso con valore ottativo (“muoia”, “vada in rovina”).
  • Mundus: sostantivo maschile singolare nominativo di mundus, “mondo”, soggetto di pereat.

La traduzione letterale è dunque: “si faccia giustizia e perisca il mondo”.

Dal punto di vista retorico, la frase è costruita secondo la figura della paradossale antitesi: l’ordine morale (la giustizia) contrapposto all’ordine materiale (il mondo). Il messaggio è che la verità e il diritto devono prevalere anche se questo comporta la rovina di tutto il resto.

Significato originario

Nel suo significato originario, fiat iustitia et pereat mundus non era un invito al fanatismo, bensì un’affermazione della supremazia della giustizia sulla convenienza politica. Ferdinando I la usava per indicare che un sovrano, pur consapevole delle conseguenze delle proprie decisioni, doveva agire secondo coscienza e secondo legge, senza cedere al compromesso o alla corruzione.

Il motto, dunque, si radicava nella concezione medievale e rinascimentale della giustizia come riflesso della volontà divina: fare ciò che è giusto significava conformarsi al disegno di Dio, indipendentemente dagli esiti terreni. In questa visione, il mondo materiale era effimero e subordinato all’ordine morale e spirituale.

L’interpretazione filosofica e morale

Con il passare dei secoli, la frase ha assunto un significato più ampio, diventando oggetto di riflessione filosofica. Fiat iustitia et pereat mundus è spesso citata in relazione al pensiero kantiano, poiché Immanuel Kant la riprese nel Metaphysik der Sitten (1797), traducendola in tedesco come “Es soll Gerechtigkeit herrschen, und wenn die Welt darüber zugrunde geht” (“Si faccia giustizia, anche se il mondo deve perire”).

Per Kant, questa massima rappresentava il principio morale assoluto secondo cui la giustizia deve essere perseguita come fine in sé, non in funzione delle conseguenze. In altre parole, un’azione è giusta non perché produce effetti positivi, ma perché rispetta la legge morale.

Questa interpretazione ha reso il motto un emblema dell’etica deontologica, contrapposta all’utilitarismo: la giustizia non può essere sacrificata per il bene collettivo, perché perdere la giustizia significa perdere l’umanità stessa.

Un motto tra diritto e politica

Nel campo del diritto e della politica, fiat iustitia et pereat mundus ha assunto un valore simbolico complesso. Da un lato, è stata considerata un’espressione di fermezza morale e integrità giuridica, soprattutto nei momenti in cui la legge rischiava di piegarsi agli interessi del potere. Dall’altro, è stata criticata come simbolo di cieco formalismo, di una giustizia applicata senza compassione né prudenza.

Nel linguaggio giuridico moderno, la frase è spesso citata per mettere in guardia contro i rischi di un’applicazione meccanica della legge, priva di senso umano o sociale. Tuttavia, il suo nucleo originario, l’idea che la giustizia non possa essere subordinata all’utile, conserva un valore etico di grande forza.

Influenza culturale e simbolica

La potenza retorica di fiat iustitia et pereat mundus ne ha assicurato una lunga fortuna nella cultura occidentale. È comparsa su stemmi araldici, frontespizi di trattati giuridici, monumenti e motti militari. Spesso è stata ripresa in epigrafi e iscrizioni per simboleggiare l’incorruttibilità del diritto e la fermezza morale.

Nella letteratura, è stata citata da Goethe, Heine e Schiller, che la usarono per riflettere sul conflitto tra legge morale e ordine politico. Nel mondo moderno, la frase continua a essere evocata nei dibattiti sulla giustizia assoluta, sulla pena e sulla responsabilità del potere.