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Crepet e cosa diventerà il liceo: l'allarme dello psichiatra

Cosa diventerà il liceo? L'allarme lanciato dallo psichiatra e sociologo Paolo Crepet sul futuro della scuola nell'era dell'intelligenza artificiale

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ha lanciato un allarme che riguarda da vicino il mondo della scuola e, in particolare, il futuro della formazione. “Cosa diventerà il liceo?“, si è chiesto in un’intervista. Le sue parole invitano a riflettere sul ruolo della scuola nella società contemporanea e sulla responsabilità delle famiglie e delle istituzioni nel preservare la libertà di pensiero.

Crepet lancia l’allarme su “cosa diventerà il liceo”

In un’intervista rilasciata a Il Centro, Paolo Crepet ha espresso forti preoccupazioni sull’impatto dell’intelligenza artificiale e sull’erosione del pensiero critico, denunciando una possibile deriva educativa che potrebbe trasformare radicalmente il sistema scolastico.

“Di recente, a Torino, è arrivato il Ceo di OpenAI, Sam Altman, per un importante incontro sulle tecnologie – ha raccontato lo psichiatra -. Ha detto che l’intelligenza artificiale potrà avere effetti collaterali, senza specificare quali, facendo un’invocazione alle famiglie perché tengano il timone educativo bello stretto”.

Da questa riflessione nasce la sua domanda: “Mi sono chiesto: cosa potrebbe diventare il liceo? Una sorta di antenna dell’intelligenza artificiale, per cui parli di D’Annunzio in una chat?“. Il timore di Crepet è che la scuola possa perdere la sua funzione formativa, sostituita dalla comodità di strumenti digitali che offrono risposte immediate ma superficiali. “Se passa di moda prepararsi, studiando, leggendo e scoprendo, se vince la comodità di fare la domandina alla chat, che ti suggerirà come preparare la lezione migliore su Carducci… beh, è preoccupante“, ha affermato il professore.

Il rischio, secondo Crepet, è che gli studenti diventino “oggetti di ricerca per qualcun altro”, privati della capacità di pensare autonomamente. “In questo caso, allora sì che il pensiero, quello vero, quello libero, rischia di diventare un lusso“, ha concluso.

Perché l’IA è “un disastro” per Paolo Crepet

Paolo Crepet ha parlato dei rischi dell’intelligenza artificiale anche nella puntata del 6 ottobre della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora su Rai Radio1. “È un disastro“, ha detto riferendosi, sottolineando che l’IA rappresenta una minaccia concreta per l’intelligenza umana e la libertà di pensiero.

L’intelligenza artificiale è come il banco dei pegni“, ha aggiunto. Secondo Crepet, infatti, utilizzare l’intelligenza artificiale ci libera dallo sforzo di pensare, ma ci rende progressivamente meno capaci di farlo. Il “baratto” è dunque tra comodità e intelletto.

Per questo, a detta dello psichiatra, l’effetto collaterale “peggiore” dell’uso di sistemi di intelligenza artificiale è “la demenza“. “Sì, diventiamo scemi. L’IA rallenta qualsiasi funzione cognitiva”, ha aggiunto, specificando che a dirlo è una ricerca del Mit (Massachusetts institute of technology), una delle più importanti università di ricerca del mondo.

A detta di Crepet, con la diffusione dell’IA si sta assistendo a un vero e proprio “furto dell’intelligenza e della libertà”. E ha invitato tutti a “non delegare il proprio cervello agli algoritmi” perché così facendo “il QI, il quoziente intellettivo, scende“.

Infine, l’esperto ha ribadito di essere d’accordo con il divieto degli smartphone a scuola, che è stato introdotto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara in tutti gli istituti di ogni ordine e grado. “Sono favorevole a lasciare un telefonino alle 8:30 in un cassetto, riprenderlo alle 13:30 e fare tante altre belle cose. Perché forse (a scuola) il cervello ci vuole”, ha concluso Paolo Crepet.