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Marilyn Monroe, biografia e curiosità sul mito

Dalla paternità incerta alla tragica fine: aneddoti e vissuto di una delle figure più iconiche della storia del cinema mondiale

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

I trentasei anni di vita più belli, in senso estetico, ma al tempo stesso più martoriati della storia del cinema a livello esistenziale: potrebbe essere questo il modo di riassumere la biografia di Marilyn Monroe, che poi è il nome con il quale generazioni di spettatori hanno conosciuto una diva che al principio della propria esistenza era stata una bambina dall’origine incerta, in senso anagrafico, a cominciare dal percorso accidentato per l’attribuzione della paternità. In un certo senso, col senno di poi, questo travaglio esistenziale e l’alone di mistero che permane circa le origini continuano ad alimentare il mito di una delle più celebri star di Hollywood di ogni epoca.

L’infanzia e la paternità incerta

Venuta alla luce il primo giorno di giugno del 1926, al County Hospital di Los Angeles, venne registrata col nome di Norma Jeane Mortenson Baker: sua madre Gladys Pearl Monroe, impiegata alla Consolidated Film Industries, fu sposata in prime nozze con John Newton Baker ed ebbe poi un secondo matrimonio con Martin Edward Mortenson, indicato come padre nel certificato di nascita della bambina, anche se molto più probabilmente il genitore biologico potrebbe essere individuato in Charles Stanley Gifford, collega di lavoro della madre Gladys con la quale interruppe la relazione appena messo al corrente della gravidanza. I due cognomi sono motivabili con l’angoscia della donna circa il rischio che sua figlia risultasse illegittima. La precarietà economica di Gladys e la sua esistenza accidentata non consentivano alla donna di crescere una figlia: iniziò ben presto un percorso di affidamenti e orfanotrofi, che resero la sua infanzia e la prima adolescenza un andirivieni scandito da disattenzioni e nei casi più gravi da maltrattamenti. Non mancarono nemmeno periodi di convivenza con sua madre, la quale però progressivamente scivolava verso un sempre più evidente disagio psicologico, destinato a culminare poi nella schizofrenia.

Il primo approccio col cinema

La curiosità, divenuta in seguito vera e propria passione, di Norma Jeane per lo spettacolo e per il cinema in particolare, nasce nel periodo in cui la bambina è affidata a Grace McKee, una delle poche autentiche amiche della madre Gladys che accetta di essere la tutrice di Norma e che lavora alla Columbia Pictures: una sorta di battesimo inconsapevole verso un successo che è ancora tutto di là da venire.

Il primo matrimonio

Nel giugno del 1942, all’età di sedici anni, Norma sposa il compagno di studi James Dougherty: un matrimonio precoce ma supportato almeno inizialmente dal sentimento reciproco, voluto dalla tutrice Grace, che nel frattempo si è trasferita in Virginia con il marito ma che non ha voluto né potuto portare Norma con sé; le nozze così anticipate servono alla ragazza per non tornare in orfanotrofio. Sono gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, con le truppe degli Stati Uniti impegnate nel conflitto, compreso il marito di Norma, inviato nel Pacifico. La ragazza lavora in una fabbrica di materiale bellico all’interno della quale nel giugno del ‘45 la rivista "Yank" realizza un servizio fotografico attraverso il quale la bellezza già evidente e prorompente della ragazza ottiene il primo, casuale viatico verso la notorietà.

Gli esordi come fotomodella

Il 1946, a conflitto concluso, è l’anno del divorzio da James e dell’inizio del lavoro come fotomodella: attraverso gli scatti di André De Dienes Norma arriva a guadagnare 200 dollari per ogni servizio e, soprattutto, a far viaggiare, in senso letterale, la sua immagine anche oltreoceano; il ‘46 è un vero e proprio anno di grazia perché nel breve volgere di poche settimane il volto e il corpo di Norma, che nel frattempo ha accettato il consiglio di schiarirsi i capelli dall’agente pubblicitario Emmeline Snively: compare sui settimanali "Film d’oggi" in Italia e su "Cinemonde" in Francia, per poi approdare, ormai bionda platino, sul "Los Angeles Times".

L’esordio nel cinema

Nell’agosto del 1946 Norma firma il suo primo contratto cinematografico con la Fox, per il compenso di 125 dollari a settimana: ha ben impressionato il regista Ben Lyon, il quale vede in lei una nuova Jean Harlow. E’, questo, il periodo nel quale inizia anche gli studi di recitazione all’Actors Lab di Hollywood e si mette alla prova attraverso alcune performance nei teatrini di Beverly Hills. Le prime prove cinematografiche in pellicole della Fox, a cominciare dall’esordio in "The Shocking Miss Pilgrim" di George Seaton, consistono in microscopiche scene, spesso tagliate nella versione finale delle pellicole, che non le danno diritto nemmeno a essere citate nei titoli di coda. Un’estate paradossale, quella del 1947, per Norma Jeane, paradossale e drammatica al contempo: da una parte ha già assaggiato il successo e conosciuto le luci di una pur episodica ribalta, dall’altra vede terminare il suo contratto con la Fox perché Darryl Zanuck, capo della 20th Century, la bolla come insufficiente nella recitazione, in particolar modo per quella drammatica. Dopo un periodo di guadagni ragguardevoli per l’epoca, la ragazza si ritrova senza lavoro e, nelle sue biografie postume, a proposito di questo periodo troverà spazio una mai confermata illazione, ossia quella secondo la quale Norma Jeane abbia trascorso i mesi seguenti prostituendosi lungo il Sunset Boulevard.

L’ostinazione

Norma in un periodo così duro e incerto, che avrebbe indotto migliaia di altre ragazze a mollare i propri sogni di gloria, continua a studiare e a proporsi, senza troppo successo ma senza mai scendere dal "treno": è per mezzo di questa sua ostinazione che ottiene una parte in "Una notte sui tetti" dei Fratelli Marx.

Talento e incertezza

La conoscenza con l’agente Jhonny Hide la porta a ottenere un ruolo in "Giungla d’asfalto" di John Huston. Siamo a metà del 1949, i guadagni sono buoni ma episodici, discontinui e per questo Norma accetta anche di posare nuda per il calendario sexy "Miss Golden Dreams", confidando nel fatto che comparendovi senza nome avrebbe possa riuscire a evitare lo scandalo. Anni dopo, approdata ormai alla notorietà, quando verrà ricattata da chi vorrebbe estorcerle denaro per non rivelare che in quel calendario c’era proprio lei, per neutralizzare la minaccia dirà lei stessa di aver posato nuda per sbarcare il lunario e riuscire a pagare l’affitto, generando una forte empatia da parte del pubblico e guadagnandosi, nel 1952, la presenza sul primo numero della neonata rivista di Hugh Hefner, "Playboy". Dopo una serie di parti più o meno significative in varie pellicole, dal 1953 in poi avviene la consacrazione definitiva e arriva il successo a livello planetario: Norma interpreta in sequenza "Niagara", "Gli uomini preferiscono le bionde", "Come sposare un milionario", pellicola quest’ultima all’interno della quale, oltre a esibire una bellezza sempre più fulgida, resa ancora più perfetta qualche minimo ma strategico intervento di quella che è la chirurgia estetica dell’epoca, riesce anche a stupire il pubblico attraverso una vena recitativa dal lato ironico e umoristico, che la fa apparire molto più poliedrica come interprete.

Storia di un nome

Nel frattempo, era diventata Marilyn Monroe per il pubblico, con una evoluzione progressiva del suo nome d’arte: sin dal 1946, il regista Ben Lyon le aveva consigliato di scegliere innanzitutto un cognome d’arte, ovvero l’accattivante Monroe lasciatole in dote da sua madre, facendola diventare Norma Monroe. In seguito, anche ragionando sugli accorgimenti fonetici, la morbidezza della pronuncia di una doppia emme aveva portato all’evoluzione nel definitivo Marilyn Monroe.

La consacrazione

Quando nel 1954 Marilyn interpreta "Quando la moglie è in vacanza" di Billy Wilder, rifacimento cinematografico della commedia brillante di George Axelrod, da attrice dal successo ormai internazionale diviene una vera e propria icona di bellezza e seduzione su scala mondiale, soprattutto per l’indimenticabile scena nella quale i lembi del suo vestito bianco vengono sollevati dallo spostamento d’aria provocato dal passaggio della metropolitana. La pellicola "A qualcuno piace caldo", per la regia di Billy Wilder, del 1958, è con ogni probabilità quella che segna l’apice del successo e della notorietà per l’attrice, che ne è la protagonista assieme a Jack Lemmon e Tony Curtis. I retroscena della lavorazione di questa pellicola sono particolarmente indicativi circa gli aspetti contrastanti della personalità dell’attrice e i suoi vari e variegati passaggi esistenziali: innanzitutto Wilder aveva annunciato, dopo "Quando la moglie è in vacanza", che non avrebbe più lavorato con la Monroe a causa dei suoi ritardi sul set e della sua umoralità; si era convinto dopo l’invio di una lettera da parte di lei, nella quale lo pregava di tornare a lavorare insieme. Al tempo stesso, il regista disse che Marilyn era dotata di un assoluto genio comico. Per questa interpretazione, la Monroe riceve il Golden Globe per le commedie musicali. Alla cerimonia per la consegna del prestigioso premio, lei appare in evidente stato di ebbrezza. Ognuno di questi particolari costituisce una delle tessere di quel complesso mosaico che è la personalità dell’attrice: il suo modo di vivere il successo, la percezione del suo stesso talento, i residui che dentro di lei ha lasciato il suo vissuto esistenziale e tanto altro.

La voragine esistenziale

Toccato l’apice, in ogni senso, la vita dell’attrice dal 1958 in poi intraprende una sorta di precipizio esistenziale, complici le notissime e contorte vicende sentimentali delle quali riferiamo nel paragrafo dedicato; l’uso di alcol alternato sempre più di frequente a quello degli psicofarmaci, la cure intraprese e poi interrotte a più riprese presso lo studio del celebre psichiatra di Los Angeles Ralph Greenson, l’insofferenza generalizzata e i comportamenti destabilizzanti che mostra sul set. In questo senso, particolarmente esemplificativa è la vicenda relativa al lavoro per le riprese de "Gli spostati", di John Huston, girato nel deserto del Nevada: i ritardi della Monroe, l’attesa per le lunghe pause dovute ai suoi altalenanti stati di salute e di umore, dilatano di molte settimane i tempi di realizzazione del film, tra i cui interpreti c’è anche Clark Gable, il quale, malato già in precedenza, muore poco tempo dopo l’ultimazione delle scene. La vedova dell’attore dichiarerà pubblicamente in seguito che a minare in modo definitivo le condizioni di salute già precarie del marito era stata "l’eterna attesa" dovuta ai capricci della Monroe, la quale in privato confessa di provare grande amarezza per il trattamento fatto subire al grande attore durante la lavorazione. Quello è anche l’ultimo film girato per intero da Marilyn Monroe.

I sofferti amori

Oltre al primo matrimonio, a una serie di relazioni vissute in modo spesso burrascoso, nella vita della Monroe, assieme alla celebrità, dal 1954 in poi arrivano una serie di vicende sentimentali celeberrime, che ne alimentano il mito ma al tempo stesso ne destabilizzano gli stati d’animo, progressivamente, oltre a rappresentare la cartina di tornasole di una fragilità emotiva che ha contrassegnato l’intero percorso esistenziale. Il matrimonio con la star del baseball Joe Di Maggio, durato nove mesi, quello con il drammaturgo e scrittore Arthur Miller, la relazione con Frank Sinatra che non portò mai, però, il cantante, a decidere di ufficializzare il rapporto con lei; le vicende riguardanti il legame con entrambi i fratelli Kennedy, prima John Fitzgelard e poi Robert. Questi ultimi due nomi entrano, in un modo o nell’altro, anche nelle illazioni circa la fine prematura e in arte ancora misteriosa dell’attrice. Sia perché la relazione, adultera, avrebbe potuto danneggiare l’immagine politica di entrambi, sia perché la mafia avrebbe potuto utilizzare l’attrice per ricattare i Kennedy. Questo si continua a dire e a scrivere ancora oggi.

La tragica fine

Marilyn Monroe viene trovata senza vita nella camera da letto della sua villa di Brentwood, a Los Angeles, la notte del 5 agosto 1962, con la cornetta del telefono in mano. La versione ufficiale per il decesso è quella di una overdose di barbiturici, con la deduzione che si tratti con alta probabilità di un suicidio. Alta, ma non assoluta, con la narrazione di una serie di episodi, supposti ma non confermati, che ancora oggi avvolgono la vicenda di un alone di mistero e fanno supporre che non tutto sia stato detto o chiarito a proposito della morte di una donna sempre inquieta quale è stata Marilyn Monroe, la cui esistenza termina a trentasei anni di età. Uno di questi particolari sarebbe la presenza di Bob Kennedy nella sua villa la sera prima del decesso. Un altro la versione secondo la quale la Monroe sarebbe stata portata in ospedale ma la struttura, il Saint John’s Healt Center di Santa Monica, non avrebbe accettato l’ospedalizzazione per una paziente dalla notorietà ritenuta eccessiva. Più o meno verosimili, queste ipotesi; certamente concorrenti a rendere l’idea di un’esistenza alla quale non mancò certamente il successo, al pari dell’inquietudine.

Marilyn nella cultura di massa

Marilyn Monroe è nella cultura popolare, ancora oggi, come icona di bellezza perfetta collocabile al di fuori delle linee del tempo e del suo stesso scorrimento. Tre esempi, tra i tanti: il poster manifesto realizzato da Andy Warhol, guru della pop – art, subito dopo la morte dell’attrice, dal titolo "Marilyn Diptych"; il filmato nel quale la si vede augurare, cantando fasciata in un abito color carne, il buon compleanno al Presidente Kennedy, il 19 maggio del 1962, al Madison Square Garden; infine, la canzone di Elton John "Candle in the wind", in cui il noto cantautore celebra a suo modo il mito di Marilyn, la brevità della sua esistenza espressa dalla metafora contenuta nel titolo ma anche la ragazza che c’era dietro il personaggio, la sua esistenza accidentata, l’inevitabile fragilità indotta da un vissuto così problematico: non è un caso in più passaggi del testo immagini di rivolgersi a lei chiamandola semplicemente "Norma Jeane".

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