Analizzare nel dettaglio il pianto vuol dire volgere la propria attenzione verso uno dei meccanismi più affascinanti del nostro corpo. La parte decisamente più intrigante è la combinazione di due motivazioni alla base della produzione delle lacrime. Da una parte vi è quella protettiva, che è facile comprendere. Il nostro corpo, così come la nostra mente, ha molti sistemi di autodifesa. Dall’altra parte, però, vi è un’interconnessione tra questo meccanismo e il nostro stato emotivo, che rende questa funzione molto intrigante. Il motivo è presto detto. Tutti possiamo subire il fastidio di un corpo estraneo in un occhio, così come chiunque può sperimentare secchezza oculare dovuta da determinate condizioni meteo. Il pianto emotivo è invece legato a fattori strettamente personali, così come culturali. Basti pensare al fatto che molti si impongano di non piangere, ricacciando le proprie emozioni, unicamente per convenzione sociale, così come per ipotetiche pressioni da parte di altri soggetti. Ciò apre una finestra su una miriade di differenziazioni in relazione a un processo meccanico che dovrebbe invece vederci tutti uguali, così come tanti altri del nostro corpo.
Non siamo in grado di ricordarlo, ma piangere è stata una delle nostre prime azioni al mondo. Piangiamo alla nascita per comunicare e continuiamo a farlo, trasmettendo il nostro stato d’animo a chiunque ci circondi, in attesa di sviluppare un’altra forma di linguaggio. Anche allora, però, durante l’infanzia il pianto è sempre un utile alleato al quale fare ricordo per evidenziare stress di vario genere. Crescendo produciamo meno lacrime emotive, limitandole all’espressione di alcune sfumature sentimentali, dalla tristezza alla gioia, per essere sintetici.
Perché piangiamo
Meccanicamente parlando il corpo umano produce lacrime a protezione dell’occhio, così da tenerlo costantemente lubrificato, ma anche perché esiste una connessione tra il nostro sistema nervoso e alcune aree del cervello, che sono deputate alla rappresentazione delle emozioni. In questo caso il ruolo da protagonista spetta all’amigdala. Tale struttura stimola il sistema nervoso alla produzione di un dato neurotrasmettitore, nel momento in cui sentiamo di provare emozioni di vario genere.
Abbiamo tre tipologie di lacrime. Quelle principali hanno come obiettivo la costante lubrificazione dell’occhio. In pratica sono tutto ciò che gli impediscono di seccarsi. Abbiamo poi una seconda tipologia, che agisce in reazione a un evento, ovvero la presenza di corpi estranei che provocano delle irritazioni. Il cerchio si chiude con quelle legate alle emozioni, frutto di una componente psicologica. Le prime forme di lacrime rientrano nel processo generale noto come lacrimazione. Una macro categoria nella quale rientrano le produzioni non connesse allo stato emotivo del soggetto. Queste, invece, fanno parte di ciò che chiamiamo comunemente pianto.
Quest’ultimo termine sintetizza quindi l’intero processo particolare della lacrimazione emotiva. Sappiamo bene come negli adulti sia interconnesso a una questione sociale, soprattutto per quanto riguarda il genere maschile. Ancora oggi piangere è visto come una manifestazione di debolezza. Lasciar trasparire le proprie emozioni è qualcosa che un "uomo vero" non dovrebbe mai fare. Parte di ciò che oggi chiameremmo mascolinità tossica. Un comportamento in netto contrasto con quanto sostengono gli psicologi. Piangere ha infatti un effetto positivo. Lasciar scorrere le lacrime che sono legate alla nostra condizione mentale ha come risultato una ritrovata calma.
Al tempo stesso, piangere al fianco di altri rappresenta uno stimolo sociale e può solidificare delle relazioni. Mostrarsi vulnerabili dinanzi a qualcuno vuol dire, in determinate circostanze, reputarlo in grado di gestire tale situazione, considerando il rapporto che intercorre. Piangendo, produciamo un ormone: adrenocorticotropo (ACTH). Questo ha il compito di gestire lo stress. Al tempo stesso viene prodotto un antidolorifico naturale, l’encefaline. Anche per questo sentiamo un generale sollievo dopo aver fatto saltare il tappo delle nostre sensazioni, e pianto un bel po’.
Chi piange di più e chi meno
Dinanzi a stimoli emotivi esterni simili, alcuni piangono più di altri. Perché la reazione non è identica o quantomeno simile? Da una parte interviene quella che è la soglia di attivazione del pianto, che non è affatto identica per tutti, anzi. Molto dipende dalle proprie esperienze personali, in parte dalla combinazione del patrimonio genetico ricevuto e, ovviamente, dalla componente nuova, di sé, ottenuta alla nascita. Per soglia di attivazione del pianto intendiamo quel punto di non ritorno, nel quale ci rendiamo conto che un’emozione ha raggiunto un livello tale da non essere più gestibile. Il nostro corpo ricorre così al piano per poter sfogare quel carico.
Alcune persone hanno una soglia molto bassa, il che le spinge a reagire anche a un piccolo stimolo esterno. Piangere non vuol sempre dire farlo a dirotto, disperandosi. Qualche lacrima potrebbe però fare capolino già alle prime avvisaglie di una situazione stressante. Altri, invece, possono superare tale soglia soltanto in seguito a eventi molto rilevanti. Nel mezzo, però, vi sono numerose sfumature, che comprendono anche coloro che fingono d’avere una soglia molto elevata, costringendosi a non piangere, di fatto "spegnendo" parte della propria sensibilità emotiva. Un processo che alla lunga può generare gravi danni comportamentali.
Come detto in precedenza, molto dipende dalle proprie esperienze accumulate. Ciò vuol dire che la soglia può mutare negli anni e, in alcuni casi, anche durante l’arco di una stessa giornata. È possibile, ad esempio, che di primo mattino sia alquanto elevata, ma dopo una dura giornata di lavoro, condita da qualche pessima notizia, alla sera si sia più inclini a lasciar cadere qualche lacrima, se stimolati.
Le donne piangono più degli uomini?
Abbiamo già sottolineato come il pianto sia benefico, di conseguenza non abbia nulla a che fare con la debolezza di carattere. Una precisazione importante, dal momento che analizziamo il concetto molto diffuso secondo il quale le donne piangano più degli uomini, in media. Lo studio condotto da Ad Vingerhoets, psicologo dei Paesi Bassi ritenuto massimo esperto in termini di pianto, dimostra come il sesso femminile sia più incline, statisticamente parlando, a piangere. Generalmente le donne piangono dalle 30 alle 64 volte l’anno, a fronte di un range minore di 6-17 volte l’anno per gli uomini.
In media il genere femminile piange per 16 minuti, a fronte dei 5 minuti della controparte maschile. Una differenza chiara ed evidente, che vede l’attività ormonale giocare un ruolo chiave, soprattutto nella fase del ciclo mestruale. Un’altalena di emozioni che gli uomini non registrano, o comunque non in tale misura (per quanto anche il sesso maschile abbia un ciclo umorale). Durante il ciclo vengono prodotto ormoni come l’estradiolo e il progesterone, il cui effetto è diretto sui neurotrasmettitori della serotonina. Considerando come i livelli di estradiolo cambino rapidamente, è facile capire come ciò provochi quei sintomi "depressivi" percepiti.
A tutto ciò si aggiunge il fattore culturale. Gli uomini piangono raramente tra loro, fin da giovanissimi. Tendono a imbottigliare le proprie emozioni, ritrovandosi spesso a farlo da soli. Viviamo ancora oggi in una società che fa largo uso di stereotipi connessi al mito dell’uomo indistruttibile e imperturbabile, il che ha trasformato una pratica comune e fisiologica in un elemento da additare e ridicolizzare.
Come sono fatte le lacrime
Un gesto così normale, automatico e quotidiano come lacrimare, presenta in realtà così tante domande che generalmente non ci poniamo. Una su tutte, cosa c’è dentro le nostre lacrime. Di cosa sono fatte esattamente queste gocce salate che fuoriescono dai nostri occhi. Ciò avviene al mattino, seppur in minimi quantitativi. Avviene quando siamo raffreddati, tristi, depressi e arrabbiati. Piangiamo così tanto eppure sappiamo ben poco di questo processo. Non perché la scienza non abbia risposte, anzi, ma perché spesso siamo così pigri da non porci domande. Anche quando la risposta cela affascinanti verità in merito al funzionamento del nostro corpo, che resta la macchina più assurdamente incredibile al mondo.
Composizione delle lacrime
Per la quasi totalità, precisamente il 98,2%, le lacrime sono composte d’acqua, come si può immaginare. Al suo interno vi troviamo proteine (mucine), bicarbonato di sodio, cloruro di sodio (sale) e lisozima (enzima antibatterico). Vi sono tre strati in tutto e di seguito trovate la loro spiegazione:
- strato lipidico: si tratta di quello più esterno e grasso. La sua funzione è quella di impedire l’evaporazione repentina delle lacrime. La sua produzione è opera delle ghiandole di Meibomio e mantiene costante l’idratazione della superficie dell’occhio. Quando percepiamo secchezza oculare, spesso è a causa di una carenza di questo strato;
- strato acquoso: prodotto dalle ghiandole lacrimali, è senza dubbio il più spesso dei tre. Composto da proteine, minerali, vitamine e sali, ha come obiettivo quello di proteggere la cornea e nutrirla. Al tempo stesso riduce gli attriti dei movimenti delle palpebre e degli occhi, portando via con sé le impurità eventualmente presenti;
- strato mucoso: è il più interno dei tre ed è composto da mucina, prodotta dalle cellule caliciformi della congiuntiva. Lo scopo è quello di rendere la parte acquosa del film lacrimale aderente alla cornea, trasformando la superficie della stessa in idrofila.
Tipi di lacrime
Così come vi sono tre strati, esistono altrettante tipologie di lacrime. Partiamo con il descrivere le lacrime basali, la cui produzione ha come scopo il mantenimento del genere stato di liquidità presente all’interno dell’occhio. Le lacrime riflesso, invece, sono prodotte in seguito a un’irritazione. Vi è dunque una reazione automatica del corpo, che tenta di eliminare un eventuale corpo estraneo. La lacrimazione è spontanea e mira a proteggere, ripulire e lubrificare la superficie oculare. Le lacrime emotive, infine, sono scatenate da forte stress ed emozioni molto intense.
Proviamo a spiegare brevemente come funzionano le ghiandole lacrimali. Queste sono ovviamente presenti all’interno della cavità orbitale. Si occupano della produzione di lacrime, insieme con le ghiandole accessorie, che sono invece poste nella membrana che ricopre la pupilla, ovvero la congiuntiva. Nel primo caso troviamo uno strato acquoso, quello appartenente ovviamente al film lacrimale. Nel secondo caso, parliamo quindi delle accessorie, ciò che viene prodotto è il mix di strato lipidico e mucoso.
Quando il corpo ne percepisce il bisogno, sbattendo le palpebre diffondiamo le lacrime nell’area frontale dell’occhio. Vi sono dei punti lacrimali, addetti al deflusso, in direzione del naso. Parte evapora e il resto termina la propria corsa nel sacco lacrimale.