Piangere d'amore Fonte foto: 123RF
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Piangere per amore: perché succede?

Piangiamo per amore e moltre altre ragioni. Ecco cosa vuol dire e perché accade

Luca Incoronato

Luca Incoronato

GIORNALISTA PUBBLICISTA E COPYWRITER

Giornalista pubblicista ed esperto Copywriter, amante della scrittura in tutti i suoi aspetti. Curioso per natura, adoro scoprire cose nuove e sperimentarle in prima persona. Non mi fermo mai alle apparenze, così come alla prima risposta, nel lavoro come nella vita.

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Piangere ha mille sfumature. È un meccanismo comune che può essere legato o meno alle emozioni provate. In tal caso vi è una differenziazione soggettiva. Al netto di come tutti noi abbiamo pianto alla nostra nascita, le successive esperienze di vita ci hanno plasmato in una data maniera, e così vi è chi piange molto spesso e chi invece soltanto in rare occasioni. È bene sottolineare come, nell’ambito della connessione tra questo meccanismo e le emozioni, non vi sia un legame esclusivo con la tristezza. I fattori che spingono i nostri occhi a lacrimare sono moltissimi, ed ecco perché si piange per amore.

Pianto ed emozioni

Piangere perché si provano determinate e forte emozioni è una reazione biologica comune. Il nostro corpo invia segnali al cervello, evidenziando la necessità di liberarsi di sensazioni che ci travolgono, così forti e complesse da gestire da necessitare una "via di fuga". È innegabile come in molti associno le lacrime alla tristezza. Pensiamo però a come una risata isterica ci costringa spesso a piegarci sulle ginocchia, a tenerci lo stomaco e, infine, a piangere a dirotto, pur ridendo a bocca spalancata.

La tristezza, così come il dolore, psicologico o fisico, possono di certo rappresentare dei fattori scatenanti in molti casi, il che apre una parentesi interessante dal punto di vista sociale. Piangere non è esclusivamente un’azione ego riferita. Nel momento in cui i propri occhi iniziano a lacrimare mentre si è in compagnia di altre persone, note o sconosciute, in una stanza o in strada, tra amici e parenti o tra perfetti sconosciuti, si evidenzia uno stato alterato. Un pianto di dolore genera una connessione con altri soggetti nei paraggi, spingendoli a offrire il loro aiuto, se dotati di un degno livello empatico.

Piangere per il dolore provato non è però un’azione che si svolge allo stesso modo in ogni persona. Non siamo tutti uguali, anche dinanzi a un evento cui siamo generalmente destinati come l’esperienza di un lutto. Alcuni scoppiano in un pianto a dirotto, che pare non avere chance di interrompersi. Vi è infatti chi prosegue, producendo lacrime su lacrime, fino a "svuotarsi", ovvero a raggiungere una sorta di fondo emotivo, nel quale restare in catarsi il tempo necessario prima di potersi rialzare e tentare di tornare a vivere.

Altri, invece, si ritrovano a percepire le proprie emozioni come cristallizzate. Le lacrime non trovano spazio e tale mancanza d’espressione può spingere a sentirsi soli, diversi o sbagliati. Non vi è nulla da condannare in tutto questo. Ognuna processa le emozioni in maniera personale. Generalmente, poi, tali persone si ritrovano a fare i conti con lo sblocco improvviso di quella massa di sensazioni restate immobili per mesi. Il dolore trova il modo di esplodere ed ecco le inevitabili lacrime.

Ciò che conta, nel primo e nel secondo esempio, è non reprimere il pianto quando ne sentiamo la necessità. Se si vive una profonda tristezza, è giusto garantirsi la chance di vivere il proprio dolore. Come detto, però, piangere può legarsi anche ad altre emozioni. Al di là di una risata a crepapelle, come sottolineato in precedenza, può essere calzante l’esempio della nostalgia. Alcuni ricordi possono spingerci al pianto, magari accompagnato da un sorriso, sia che il pensiero vada a bei momenti al fianco di persone che non ci sono più, sia che si riguardi nella propria mente a eventi insieme con gli affetti che ancora ci circondano.

Perché piangiamo

Il pianto è la nostra prima forma di comunicazione. Attraverso le lacrime il neonato si esprime alla nascita, sottolineando quelli che sono tutti i suoi bisogni primari, dalla fame alla sete, fino alla necessità d’essere stretto al corpo della madre.

In seguito appare chiaro come piangere svolga una funzione ben precisa: attirare l’attenzione dei genitori o di chiunque si stia prendendo cura di loro in quel frangente. Vi è un’esigenza da comprendere e soddisfare e il pianto può divenire insistente e disperato, qualora la richiesta rimanga inascoltata.

Distinguiamo le lacrime in tre tipologie:

  • basali
  • riflesse
  • emotive

Le prime hanno come compito quello di mantenere umido l’occhio in maniera costante. Le seconde, invece, sono il frutto di traumi o della presenza di sostanze irritanti. Le ultime, infine, sono correlate a svariati stati affettivi.

Piangere per amore

Se connettere automaticamente il pianto alla tristezza è errato, lo stesso si può dire del legame che alcuni intravedono tra le lacrime e la debolezza d’animo di una persona.

Abbiamo un bisogno fisiologico e mentale di lasciar scorrere quelle gocce lungo le nostre guance. Non farlo per timore d’essere percepiti in un certo modo sarebbe il vero errore.

Svariati i motivi per cui il cervello ci spinge ad agire in questo modo, come vedremo di seguito. Uno dei più comuni è legato alla sfera dei sentimenti. Perché si piange per amore. Provare questa sensazione dovrebbe renderci gioiosi, e allora qual è il motivo delle lacrime.

Ripetiamo come si possa piangere di gioia. Pensiamo ad esempio al momento in cui rivediamo la persona amata dopo una lunga assenza. In quanti hanno versato numerose lacrime nel ritrovare chi è stato distante a causa del Covid, ad esempio. Si può piangere dopo una proposta di matrimonio o scorrendo un album colmo di ricordi splendidi. Si può piangere anche nel sentirsi dire "ti amo", quando questo è ricambiato.

Si può piangere di tristezza, ovviamente, quando ci si lascia, durante un duro litigio o quando la persona cara è ormai lontana o deceduta. Occorre sentirsi liberi di piangere, perché fa bene. Non è infatti così raro sentirsi decisamente meglio dopo una lunga "sessione di pianto".

Ha un effetto catartico, perché a volte il nostro cervello sfrutta questo strumento utilissimo per porre fine a una situazione di infelicità. Abbiamo raggiunto una fase in cui siamo pronti a voltare pagina e in quelle lacrime vi erano gli ultimi barlumi di una sofferenza destinata a essere relegata al passato.

Piangere a lungo a causa della rabbia provata può rappresentare un utile sfogo. In generale, sfruttiamo questo meccanismo per elaborare il dolore e tutto ciò che ci ha provocato fastidio, a più livelli.

Piangere: tutti i motivi

Analizziamo differenti motivi per i quali piangiamo. Le lacrime possono essere stimolate in svariati modi ed ecco i principali:

  • Tristezza: l’infelicità, dovuta a differenti ragioni come la perdita di una persona cara, richiede al nostro cervello di agire, al fine di fronteggiare questi sentimenti che ci attraversano e sconvolgono. Il pianto non è di per sé risolutivo ma l’espressione del malessere agevola il processo di guarigione;
  • Felicità: piangere di gioia vuol dire essere sovraeccitati al punto tale da non poter gestire le proprie emozioni. Accade solitamente quando vi è un evento connesso alle persone a noi più care. Lacrime felici vengono versate ai matrimoni, ad esempio;
  • Sollievo: può sembrare simile alla felicità, ma il processo è differente. In questo caso il pianto è come un tappo che esplode dopo una costante pressione subita. Si prova sollievo, ad esempio, dopo una lunga fase di stress. Quando si è preoccupati per una data situazione, che infine si risolve, le lacrime possono avere il sopravvento e sgorgare, perché la gioia del momento, in contrasto con la sofferenza subita o temuta, è incontrollabile. Pensate, ad esempio, a una cara persona sopravvissuta a un incidente e, in seguito, a un delicato incidente. Come non piangere di sollievo nel rivederla sana e salva;
  • Rabbia: quando siamo arrabbiati, spesso vorremmo mostrarci forti, reagendo in una determinata maniera. A volte, però, le lacrime hanno la meglio. Ciò avviene perché la rabbia è in parte connessa con una sensazione di paura e, in generale, con la percezione d’essere stato ferito. Ciò può spingere il cervello a tentare di risolvere l’alterazione emotiva in questo modo, invece che attraverso uno scontro verbale;
  • Dolore fisico: il fatto che piangiamo in seguito alla percezione di un dolore fisico è frutto dell’evoluzione. Come i neonati esprimono in questo modo la sensazione che qualcosa non vada, allo stesso modo in età adulta indichiamo il bisogno di ricevere aiuto. Al tempo stesso proviamo ad auto lenire il dolore percepito;
  • Sentimenti feriti: quando confrontiamo la persona che ci ha feriti, a livello emotivo, non è affatto raro scoppiare a piangere, il che indica tra l’altro il profondo legame con l’altro, il che rende la ferita ancor più gravosa. Si reagisce così per esprimere dolore e, al tempo stesso, lanciare un chiaro segnale all’altra persona;
  • Stress: se è vero che il sollievo può farci piangere, perché la tensione svanisce, è innegabile come quest’ultima, quando fa sentire la propria pressione costante, possa spingere verso il pianto. Questo allevia però la tensione accumulata, dando il via a una visione differente, attraverso una lente più chiara e meno distorta;
  • Empatia: abbiamo già sottolineato come piangere possa inviare dei chiari segnali ad altre persone, a seconda del contesto. Osservare una persona in lacrime genera un’inevitabile reazione in noi. Questa, a volte, può concretizzarsi in lacrime. Si tratta di un pianto empatico, che presuppone una connessione profonda. Si piange perché l’altro soffre, a livello fisico o mentale. Si piange perché preoccupati o perché ci si immedesima in una data condizione.