Salta al contenuto

Come dividere in sillabe le parole: le regole

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

La divisione delle parole è un’esigenza della lingua scritta imposta dai confini determinati dalle dimensioni della pagina. Per secoli la pratica di dividere le parole non è stata regolata e le soluzioni sono state pertanto diverse e prive di qualsiasi uniformità. È stato solamente con l’avvento della stampa a caratteri mobili che, insieme a una normalizzazione grafica, ha portato anche a una progressiva sistematizzazione dei criteri di divisione delle parole. Bisogna però arrivare al Novecento per avere un sistema convenzionale di regole di sillabazione: in particolare le norme che utilizziamo oggi sono state fissate nel 1969 dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (norma UNI 6461-97).

La divisione in sillabe o sillabazione

Con divisione in sillabe o sillabazione ci si riferisce al modo di dividere in sillabe una parola. Questa operazione è necessaria nella scrittura e nella stampa quando per poter andare a capo alla fine di una riga bisogna dividere una parola per mancanza di spazio. Secondo l’uso corretto dell’ortografia se si vuole spezzare una parola bisogna farlo solo tra una sillaba e l’altra.

Cos’è una sillaba

Per stabilire dei criteri di suddivisione delle parole si è ricorsi al concetto di sillaba: “La sillaba rappresenta un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco d’intensità“, è relativa quindi ai suoni, di qui le differenti norme convenzionali che ciascuna lingua si è data per poter spezzare le parole nei testi scritti, con una conseguente mancanza di omogeneità. Il taglio delle parole quando si va a capo avviene sul piano della grafia, ma questa divisione si fonda su criteri che sono applicati a unità sonore di una natura non universalmente definita. Per quanto riguarda la lingua italiana però si è raggiunto un grado di uniformità tra scrittura e fonetica, di facile comprensione: la sillaba è quella parte di ogni parola che si può pronunciare con una sola emissione di voce. Ogni sillaba di una parola italiana contiene almeno una vocale e può essere composta da una sola vocale ma mai da una sola consonante. In base al numero di sillabe da cui sono composte, le parole vengono classificate in:

• Monosillabe: parole composte da una sola sillaba;

• Bisillabe: parole composte da due sillabe;

• Trisillabe: parole composte da tre sillabe;

• Quadrisillabe: parole composte da quattro sillabe;

• Polisillabe: parole composte da cinque o più sillabe.

Vocali e consonanti, le regole

Se una parola è composta secondo l’ordine CVCV, consonante-vocale-consonante-vocale, allora la sillaba comincia con la consonante e finisce con la vocale seguente. Ad esempio: ca-sa, ta-vo-lo, mo-to-ri-no, te-le-vi-so-re. Se una parola comincia invece con una vocale, la prima sillaba sarà formata dalla vocale stessa. Ad esempio: u-va, a-lo-ne, e-si-to, a-mi-do, i-na-ni-ma-to. Fa eccezione il caso in cui la vocale sia seguita da una doppia consonante divisibile. Ad esempio: an-no, in-no, il-lu-so, im-ma-co-la-to.

Sulle doppie consonanti occorre ulteriormente precisare che possono restare unite o essere separate a seconda dei casi:

  • Consonanti da separare: le “doppie” e il gruppo “cq”. Ad esempio: pap-pa-gal-lo, ca-ra-mel-la, ac-qua, ac-qui-sta-re
  • Consonanti da tenere insieme: quelle composte da due consonanti diverse che producono un suono unico come i digrammi “gl”, “ch”, “gh”, “gn” e “sc” e i trigrammi “gli” e “sci”. Ad esempio: glu-ti-ne, po-chi, a-ghi, ba-gno, vi-gna, sce-rif-fo, fi-glio, sci-rop-po.
  • Consonanti combinate da dividere: se non possono stare all’inizio di una parola con la vocale seguente, vanno separati. Dunque “l”, “r”, “m” e “n” vanno sempre divise dalla consonante che le segue. Ad esempio: al-ga, ar-ma, an-ta, am-bra.
  • Consonanti combinate da tenere insieme: se possono stare all’inizio di una parola vanno tenute insieme come nel caso di “pr”, “str”, “cr”. Ad esempio: a-pria-mo, o-stri-ca, o-cra.

Anche le vocali seguono delle regole in base alle quali possono restare insieme oppure separate, dato che possono produrre una sola emissione di fiato oppure generarne due distinte.

  • dittongo e trittongo: si definiscono dittonghi e trittonghi due o tre fonemi vocalici consecutivi, pronunciati con un’unica emissione di voce. Le vocali di un dittongo o di un trittongo formano una sillaba, pertanto non possono essere separate. Ad esempio: qui, cuo-re, pio-ve, cia-o, a-iu-to, miei, a-iuo-la.
  • iato: quando due vocali vicine tra loro all’interno di una parola non vengono pronunciate con una sola emissione di voce si crea lo iato. Le due vocali vengono pertanto pronunciate separatamente formando due sillabe. Per stabilire la distribuzione è quindi di prima importanza stabilire su quale vocale la parola è accentata, perché sarà la vocale accentata a costituire il nucleo della sillaba. Ad esempio: e-ro-e, tri-an-go-lo, me-an-dro, bo-a, te-o-lo-go, pa-e-sa-no

Parole elise, l’eccezione

Nel caso di parole elise, la consuetudine consiglia di andare a capo dopo l’ultima sillaba della parola successiva oppure spezzare la parola elisa alla penultima sillaba. Ad esempio: all’in-ter-no, nel-l’onda.

Non è invece consigliabile riscrivere la vocale elisa, né andare a capo mantenendo l’apostrofo alla fine della riga. Ad esempio: nella onda, nell’-onda. Fa eccezione in tal senso la scrittura a stampa, che ha sdoganato l’accapo dopo l’apostrofo. Una delle tante nuove cattive abitudini, che contribuisce solo a generare confusione e senso di insicurezza.

Le risposte ai dubbi più frequenti

Dopo aver prodotto chiari esempi e regole utili per non sbagliare nel dividere in sillabe le parole, ecco riassunte alcune risposte ai dubbi più frequenti che si hanno quando bisogna sillabare alcune tipologie di parole:

  • “Acqua” in ac-qua;
  • “Aiuola” in a-iuo-la;
  • “Anguria” in an-gu-ria;
  • “Asciugamano” in a-sciu-ga-ma-no;
  • “Cuore” in cuo-re;
  • “Escursione” in e-scur-sio-ne;
  • “Finestra” in fi-ne-stra;
  • “Granchio” in gran-chio;
  • “Ombrellone” in om-brel-lo-ne;
  • “Spiaggia” in spiag-gia;
  • “Subacqueo” in sub-ac-que-o o in su-bac-que-o
  • “Aeroplano” in a-e-ro-pla-no.

Le nuove cattive abitudini

Anche se l’italiano, come abbiamo visto fin qui, presenta ha una struttura sillabica relativamente semplice, non sempre l’applicazione delle regole risulta immediata e lineare, per questo motivo, la corretta divisione sillabica è una questione su cui la grammatica tradizionale ha sempre molto insistito. Questo atteggiamento di rigore, se da un lato ha contribuito a mettere ordine nel processo di apprendimento, da un altro ha favorito il persistere di una sorta di insicurezza per cui, al momento di andare a capo, lo scrivente può essere assalito dai dubbi più strani. A peggiorare la situazione, le nuove cattive abitudini legate alla dilagante disinvoltura che ha investito alcuni generi di scrittura: a cominciare dai giornali che, dall’avvento della composizione elettronica delle pagine, presentano talvolta divisioni a fin di rigo non rispondenti alla norma (giustificate solo da esigenze di spazio). Più in generale possiamo indicare, come uno dei fattori di maggior cambiamento nelle abitudini scrittorie, l’uso di programmi di scrittura che prevedono una funzione automatica di scansione sillabica non sempre perfettamente in linea con le norme della sillabazione dell’italiano.

A conclusione di questa disamina delle molte possibilità di sillabazione, è opportuno ricapitolare poche indicazioni di massima: intervenire nella divisione delle parole solo quando strettamente indispensabile; evitare di lasciare in fondo o all’inizio del rigo parti di parola troppo brevi (un’unica sillaba o addirittura un’unica vocale) e, comunque, di fronte a un dubbio “insolubile” consultare sempre un buon dizionario.