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Il mito di Enea e Didone: un amore impossibile

La storia con la quale Virgilio apre il suo poema racconta di una passione travolgente, che invisa agli dei finisce per essere travolta dal compiersi di un destino crudele

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

È il mito che apre l’Eneide di Virgilio, dipanandosi per i primi IV libri del poema, e che narra di un amore impossibile tra due anime in pena, che sognano per un attimo di trovare rifugio in una passione travolgente, presto dissolta dal volere degli dei e dal compiersi di un destino crudele e ineluttabile. È la storia di Enea e Didone, del loro doloroso passato, dei loro forti legami e delle loro profonde convinzioni, spazzate via dalla forza di un sentimento, in parte indotto, che non avrà però la forza di opporsi al fato.

L’incontro tra Enea e Didone

Il poema si apre con Giunone che continua a dare la caccia ai Troiani e che scatena una tempesta contro le navi di Enea, spingendole sulle coste dell’Africa, dove trovano scampo approdando nel porto di Cartagine. Inquietato dall’aspetto dei luoghi, Enea va in avanscoperta e si imbatte nella madre Venere, che sotto mentite spoglie lo istruisce su dove si trovi: lui e i suoi sono nei pressi di una città fondata da una donna fenicia, Didone, figlia di Bèlo, re di Tiro, costretta a fuggire dalla sua patria dopo che il fratello, Pigmalione, gli uccide il marito, Sicheo. Quindi la dea avvolge l’eroe troiano in una nebbia che lo rende invisibile, affinché possa proseguire la sua perlustrazione, che lo porta in un tempio dedicato a Giunone, sulle cui mura sono dipinti gli esempi salienti di della guerra di Troia, dove per la prima volta vede Didone, restando colpito dalla sua bellezza.

Intanto sopraggiungono gli altri naufraghi, che raccontano la loro storia alla regina e chiedono di essere accolti, mentre la nebbia si dissolve e appare Enea, rifulgente di “chiara luce", scrive Virgilio. Didone lo stupisce: “Sei tu Enea, generato da Venere?" gli domanda, spalancandogli le porte del palazzo. Il protagonista la segue, non prima però di essersi raccomandato con i compagni di recarsi alle navi per portare doni alla regina e di condurre con loro anche suo figlio Ascanio.

Venere ci mette lo “zampino"

A questo punto Venere, che vuole che il soggiorno a Cartagine sia dolce e rifocillatore per il figlio, prima di riprendere la strada verso il suo glorioso destino, ci mette lo zampino, propiziando quel che magari sarebbe sbocciato ugualmente, ma dando così il via alla consueta catena di eventi e conseguenze nefaste che solitamente si accompagnano agli interventi delle divinità sulle vite degli uomini. Così la dea invia Cupido, affinché prenda le sembianze del giovane Ascanio e lo istruisce così: “Quando Didone ti accoglierà in grembo, tu spargerai il tuo veleno e i tuoi inganni". Così, durante il banchetto indetto dalla regina per accogliere i suoi ospiti, il piano di Venere va in scena: il finto Ascanio viene stretto al seno da Didone e ne approfitta per colpire la sovrana dritta al cuore, dal quale inizia a dissolversi l’immagine del marito Sicheo, cui aveva giurato eterna fedeltà, sulla quale si sovrappone quella dell’eroe troiano, che intanto la incanta con il suo racconto.

Enea non risparmia particolari, anche i più cruenti, sul decennale conflitto con i greci, con i suoi sanguinosi combattimenti, e sulla tragica morte della moglie Creusa, che resta indietro nella precipitosa fuga dalla città in fiamme, e sulle sue ultime parole: “Non abbandonarti al dolore, o dolce sposo, perché tutto ciò accade per volere degli dei. Io non posso venire con te…".

Didone arde d’amore

A questo punto Didone è già folle d’amore, confessa alla sorella Anna di riconoscere “i segni dell’antica fiamma", ma si mostra ancora determinata a resistere al richiamo della passione per rispetto alla figura del marito defunto. Anna in parte la asseconda, ma in parte la spinge verso le braccia di Enea, consigliandole di prolungare l’ospitalità ai naufraghi, d’altro canto è ormai inverno e il mare in tempesta.

Didone le dà ascolto, ma intanto giorno dopo giorno sente il suo cuore ardere d’amore per lo straniero, ne abbraccia il figlio illudendosi di stringere lui, lo conduce attraverso le mura e gli mostra Cartagine, ne brama nuovi racconti. E mentre tutti a palazzo dormono, lei non trova pace, struggendosi nel suo sentimento.

Le “nozze" di Giunone

Giunone osserva l’evolversi della situazione, odia il troiano con tutte le sue forze, ma sa che se assolverà al suo compito, fonderà la stirpe che spazzerà via Cartagine, così tra i due mali opta per una sorta di tregua, proponendo a Venere di propiziare le nozze tra Enea e Didone. La dea dell’amore, sempre protettiva nei confronti del figlio, mangia la foglia, ma acconsente, certa che la Fama, definita da Virgilio “dea schifosa […] spacciatrice di menzogne mescolate al vero", farà fino in fondo il suo dovere.

Il piano di Giunone è semplice, sarà sufficiente organizzare una battuta di caccia sui monti e poi sorprendere Enea e Didone con un temporale. Detto fatto, il cielo si oscura e torrenti d’acqua precipitano dalle fitte nuvole, costringendo i due a trovare riparo in una grotta oscura, illuminata dai lampi e alcova della loro unione. Le ninfe, coscienti di quanto sta accadendo, diffondono sin sulle alte vette il loro famigerato ululato, presagio infausto, come sottolineato da Virgilio, che sugella quello che parrebbe essere il trionfo dell’amore con un raggelante epitaffio, “quello fu il primo giorno di morte, e la prima/ causa di sventure…".

La volontà di Giove

E in effetti, è l’inizio della fine. Come previsto da Venere, la Fama vola fin sull’Olimpo, attirando l’attenzione di Giove, che volge lo sguardo in basso e realizza che si sta contravvenendo al suo volere. Il signore degli dei convoca d’urgenza Mercurio, affinché riporti Enea sulla retta via, “Navighi!" il risoluto ordine che il troiano ascolta ammutolito.

È la fine dell’idillio, così “mentre la dolcissima / Didone, ignara, non pensa che un amore così grande s’infranga…", Enea ha già dato ordine in gran segreto di preparare la flotta per salpare verso l’Italia. “Chi ingannerebbe un amante?", si chiede Virgilio. Nessuno, soprattutto una donna come Didone, che dal presentimento passa alla certezza dell’imminente abbandono e che “infuria smarrita nell’animo e ardente delira / per tutta la città…", fino a quando decide di affrontare Enea faccia a faccia.

L’incontro tra i due è drammatico, con Didone che prima lo supplica, ma poi, destata dalle terribili parole di Enea, freddissimo nel ricordarle che se avesse potuto opporsi al destino sarebbe stato ancora a Troia con la moglie Creusa, si infuria e lancia una priva tremenda invettiva, minacciandolo di diventare il suo fantasma ovunque. Quindi gli volge le spalle e si allontana senza più guardarlo, prima di svenire soccorsa dalle ancelle.

Maledizione e morte di Didone

Enea, scosso e “vacillante per il grande amore", torna comunque a seguire gli ordini degli dei e torna alle navi per ultimare i preparativi della partenza. Didone segue le manovre dall’alto della rocca e alla notizia del fallimento dell’ambasciata da parte della sorella Anna, che aveva chiesto ad Enea di procrastinare l’addio, prende la sua decisione. Ormai è sorda al dolore e divorata dal senso di colpa per aver ceduto all’attrazione per lo straniero, tradendo il voto fatto al marito Sicheo. Fa costruire una pira con la scusa di voler approntare un incantesimo appreso da una maga etiope e vi fa deporre in cima il talamo, le armi e l’effige di Enea, poi attende la notte. Intanto Mercurio mette fretta ad Enea, impedendogli di dormire e spingendolo ad issare le vele, è ormai l’alba e Didone, sempre più sconvolta, assiste alla partenza della flotta e pronuncia la famigerata maledizione passata alla storia.

“Se è scritto dal destino che Enea (infame) tocchi le sponde del Lazio e arrivi in porto, se Giove vuole questo, se il suo destino è questo: oh almeno sia contrastato durante i conflitti dalle armi di guerrieri valorosi e, cacciato dal paese, strappato dalle braccia del figlio, implori aiuto e veda la morte indegna dei suoi uomini e, dopo aver firmato un trattato di pace ingiusto, non si goda il regno né la luce del giorno ma muoia ancora giovane e il suo corpo resti insepolto sulla sabbia! Questo prego, pronuncio queste ultime parole col sangue. E infine voi, miei Cartaginesi, perseguitate la sua stirpe, tutta la sua futura discendenza con un odio che non si estinguerà mai: offrite questo dono alle mie ceneri"

Quindi bacia il talamo supplicando, “Dolci spoglie, liberatemi da queste pene!", e si trafigge con la spada di Enea. Giunone, impietosita, invia Iride, che pone fine all’agonia di Didone: “Da questo tuo corpo ti sciolgo".

D’un tratto / tutto il calore svanì e la vita dileguò nei venti".