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Perché si dice "Pesce d'aprile"?

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Tra i modi di dire più noti e leggeri del calendario, “pesce d’aprile” evoca immediatamente il gusto per lo scherzo, la sorpresa e l’inganno innocente. Ogni 1º aprile, in Italia come in molti altri paesi, è tradizione fare burle agli amici o diffondere notizie inventate, per poi svelare la beffa con un sorriso.

Ma dietro questa usanza apparentemente spensierata si nasconde una storia antica e sorprendentemente complessa, che intreccia riti agrari, simbolismi religiosi, trasformazioni del calendario e scambi culturali europei. Scoprire perché si dice “pesce d’aprile” significa risalire alle origini di una delle più curiose consuetudini popolari del mondo occidentale.

Origine del nome e significato simbolico

Il termine “pesce d’aprile” designa, in senso figurato, la persona che cade in uno scherzo o lo scherzo stesso compiuto il primo giorno di aprile. L’immagine del pesce è tutt’altro che casuale. In primo luogo, il pesce è un animale facile da “abboccare”, e dunque perfetto per rappresentare chi si lascia ingannare. Nella metafora linguistica, il “pesce” diventa colui che si fa prendere all’amo, vittima di un piccolo inganno benevolo.

C’è poi un’altra possibile motivazione, di carattere stagionale e simbolico. Aprile è il mese che, nelle culture antiche, segnava la rinascita della natura e la fine dell’inverno. In questo periodo si moltiplicavano le feste legate all’acqua e alla fecondità, e il pesce (creatura che vive nell’acqua, elemento di vita e di rinnovamento) poteva assumere un valore augurale. Il gioco del “pesce” si inserisce dunque in un più ampio contesto di riti di passaggio e di scherzi rituali, legati al ritorno della primavera.

Le radici storiche: dal calendario francese al mondo latino

La spiegazione più diffusa fa risalire l’usanza del “pesce d’aprile” alla Francia del XVI secolo, ai tempi di Carlo IX. Fino al 1564, infatti, l’anno nuovo si festeggiava tra il 25 marzo e il 1º aprile, in coincidenza con l’equinozio di primavera. Con la riforma del calendario voluta dal re, il capodanno fu spostato al 1º gennaio, secondo il modello gregoriano. Tuttavia, molti continuarono a scambiarsi doni e biglietti augurali ad aprile, come avevano sempre fatto.

I più conservatori, che non si erano adeguati alla nuova data, divennero bersaglio di scherzi e regali fasulli da parte di chi voleva deriderli. Nacque così la tradizione di fare burle il primo giorno di aprile, che prese il nome di poisson d’avril, “pesce d’aprile”, espressione poi adottata anche in Italia.

L’origine francese spiega dunque sia la data sia la metafora del pesce, che in francese, come in italiano, allude alla facilità con cui l’ingenuo “abbocca” all’inganno. Il termine si diffuse in tutta Europa, assumendo varianti locali: April Fool’s Day in Inghilterra, Aprilfisch in Germania, pescado de abril in Spagna.

Il valore culturale dello scherzo

L’usanza del “pesce d’aprile” non è soltanto un passatempo: riflette un’antica funzione rituale dello scherzo come strumento di inversione temporanea dell’ordine. Nelle culture contadine e festive, i giorni di passaggio tra stagioni o anni erano spesso segnati da riti di capovolgimento: i servi prendevano in giro i padroni, le regole venivano sospese, il ridicolo diventava una forma di purificazione collettiva.

Il primo aprile, con la sua leggerezza e la sua licenza scherzosa, conserva dunque una traccia di queste feste arcaiche. Lo scherzo, per quanto piccolo, diventa un modo per rinnovare simbolicamente la libertà e l’ingegno, per permettere al riso di sciogliere la rigidità dell’inverno e del potere.

Analisi linguistica e diffusione in Italia

In Italia, l’espressione “pesce d’aprile” appare attestata almeno dal Settecento, quando gli scambi culturali con la Francia erano frequenti. Il termine si diffuse prima nelle città del Nord, poi in tutto il Paese, trovando terreno fertile nel linguaggio popolare e giornalistico.

Ancora oggi, dire “fare un pesce d’aprile” significa tendere un piccolo inganno, ma l’uso del verbo “fare” sottolinea che l’espressione indica non solo la vittima, ma anche l’azione scherzosa stessa. Linguisticamente, il sintagma combina la semplicità del lessico quotidiano con una forte valenza metaforica: il “pesce” è un archetipo, un’immagine immediata e vivace, che ha resistito al tempo proprio grazie alla sua plasticità e al suo valore universale.

Curiosità e tracce letterarie

La fortuna del “pesce d’aprile” è testimoniata anche dalla letteratura e dalla stampa. Nell’Ottocento, i giornali italiani pubblicavano il 1º aprile notizie inventate o volutamente assurde, che il giorno dopo venivano smentite: un costume che anticipava il gusto moderno per la satira e la parodia. In alcune regioni, come in Piemonte e in Lombardia, i bambini ritagliavano piccoli pesci di carta da attaccare di nascosto alla schiena di qualcuno, rivelando poi lo scherzo con la frase “sei un pesce d’aprile!”.

Il gioco, tramandato di generazione in generazione, ha mantenuto il suo fascino per la sua innocenza e universalità. Non colpisce per crudeltà, ma per astuzia: è una piccola lezione di spirito, un momento in cui la realtà si piega, per un istante, al sorriso dell’immaginazione.

Risonanze simboliche e antiche affinità

Sul piano simbolico, il “pesce d’aprile” è anche un’eredità di antichi riti di rinnovamento. Il pesce, nell’iconografia cristiana, rappresenta la vita e la rinascita; nella tradizione pagana, era legato all’acqua primordiale e alla fecondità. Collocare il suo nome all’inizio di aprile significa, in fondo, celebrare il ritorno della vita dopo l’inverno, sotto la veste leggera del gioco.

Così, l’espressione “pesce d’aprile” non è solo un modo di dire divertente, ma una finestra aperta sul passato, un piccolo frammento di cultura che unisce la lingua, il rito e il sorriso, e che continua a sopravvivere, seppur trasformato, nel linguaggio e nell’immaginario collettivo.