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Saffo, vita e opere della poetessa greca

Nessuno è riuscito mai più a cantare l’amore come lei, in purezza e sincerità, con grazia, soavità e passione. Per Platone era la “decima musa”, ispirò Foscolo, Pascoli e Leopardi

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Saffo è stata la prima poetessa della storia e probabilmente la più grande. Nessuna ha saputo cantare l’amore come lei, in purezza e sincerità, con grazia, soavità e passione. Fu l’unica donna che i greci di epoca classica inclusero nell’Olimpo dei poeti, concordando sulla sua maestria e non esitando a rendere pubblica la loro ammirazione per la sua lirica. Si narra che Solone dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della poetessa, disse che a quel punto desiderava solamente due cose: impararlo a memoria e morire. Aneddoto che ispirò il primo dei Poemi conviviali di Pascoli, intitolato Solon. Anche il poeta Alceo, suo contemporaneo, le dedicò versi colmi di ammirazione: “Saffo divina, dal crine di viola e dal sorriso di miele”. Il geografo Strabone la definì “una creatura meravigliosa”: “Non conosco infatti alcuna donna che, in questo tempo di cui parlo, si sia mostrata degna di tenerle testa nella poesia, neanche minimamente”. Addirittura Platone, malgrado la scarsa considerazione della sua Atene per le donne, la lodò in un epigramma: “Alcuni dicono che le Muse siano nove; che distratti! Guarda qua: c’è anche Saffo di Lesbo, la decima”.

La poetica di Saffo s’incentra sulla passione e sull’amore, le voci narranti di molte delle sue liriche parlano di infatuazioni, talvolta ricambiate, altre no, per vari personaggi femminili. Fu il poeta Anacreonte uno dei primi ad accennare il fatto che la poetessa nutrisse per le fanciulle che educava nel tiaso un amore omosessuale e senza dubbio alcuno dalle poesie traspare una grande connessione tra la poetessa e le sue allieve. Tali situazioni, va però sottolineato, non erano affatto considerate immorali nel contesto storico e sociale dell’epoca. Saffo compose struggenti canti d’amore per le sue allieve destinate alle nozze e dunque ad un triste destino: lasciare l’isola dove erano accudite e felici, per andare nella casa dei loro mariti, dove, come voleva la tradizione greca, sarebbero state relegate alla procreazione e alle faccende domestiche. Una condizione questa, che finiva per amplificare lo struggimento della poetessa di fronte al fatto che l’amore per le sue allieve sarebbe sempre rimasto effimero.

La vita di Saffo

Avvolta di mistero e leggende, la vita di Saffo resta frutto di ricostruzioni storiche tramandate dal Marmor Parium, dal lessico Suda, dall’antologista Stobeo, e da diversi riferimenti di autori latini come Cicerone e Ovidio e di quel che è stato possibile dedurre dai racconti degli storici dell’antichità e dai frammenti e dalle liriche a lei attribuite.

Con tutta probabilità Saffo nasce intorno al 630 a.C. nella città di Ereso, a Lesbo, ma cresce a Mitilene, città principale dell’isola, situata sulla costa orientale. Figlia di Scamandro e Cleide, ha tre fratelli, Larico, il più piccolo, coppiere nel pritaneo di Mitilene, Erigio, sul quale non esistono informazioni specifiche, e Carasso, che si improvvisa mercante e dilapida il patrimonio di famiglia per lo sconsiderato amore per la prostituta egiziana Dorica. La sua è una famiglia aristocratica che resta coinvolta nelle lotte politiche per il dominio di Lesbo ed è costretta a fuggire in Sicilia, dove resta in esilio per circa dieci anni nell’opulenta Siracusa.

Tornata a Ereso, le viene affidato il ruolo di gestire un tiaso, una sorta di collegio femminile destinato al culto di Afrodite e delle Muse, nel quale cura l’educazione di giovani e nobili fanciulle in vista del matrimonio, impartendo loro lezioni sull’amore, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto e l’eleganza raffinata dell’atteggiamento.

La Suda è l’unica fonte a riportare il matrimonio di Saffo con un certo Cercila, ricco personaggio di Andros, con il quale avrebbe generato una figlia, che chiama come la madre, Cleide, alla quale dedica alcuni teneri versi.

Anche la sua scomparsa è avvolta nel mistero, alcuni frammenti portano a credere che la poetessa raggiunse un’età avanzata, poiché parlano in prima persona di pelle senile e capelli bianchi, ma pur essendo riconosciuta come leggenda, la tradizione la fa morire suicida, nel 570 a.C., a causa dell’amore non corrisposto dell’aitante barcaiolo Faone, in realtà un personaggio mitologico, che la spinge a gettarsi in mare dalla rupe di Leucade. Un finale tragico, ripreso tra gli altri anche da Ovidio, nelle Eroidi, e dal Leopardi, nell’Ultimo canto di Saffo.

Le opere di Saffo

Della vastissima produzione attribuita a Saffo sono arrivati a noi circa duecento frammenti. Molti dei suoi scritti erano conservati nella biblioteca di Alessandria, che nel corso dei secoli subì diversi incendi, ma incidenti a parte, la Chiesa si accanì attivamente contro la sua opera, che considerava immorale. Già nel IV secolo, Gregorio Nazianzeno, arcivescovo di Costantinopoli, fece bruciare pubblicamente tutte le opere di Saffo su cui riuscì a mettere le mani, mentre nell’XI secolo fu papa Gregorio VIII a ordinare di distruggere tutte le copie dei suoi poemi che si fossero trovate.

Quel che resta dell’attività della poetessa fu probabilmente suddiviso dagli studiosi di Alessandria in otto o nove libri, organizzati secondo criteri metrici. Nel primo libro ci sono le odi saffiche, nel secondo i distici in pentametri eolici, nel terzo i distici in asclepiadei maggiori, nel quarto i distici di paraslepiadei maggiori e nel quinto i carmi. Dei libri restanti non è invece possibile definire precisamente la modalità compositiva, ma l’ottavo e il nono contengono certamente degli epitalami, composizioni molto care a Saffo, che le creava appositamente per celebrare i matrimoni delle sue allieve.

Inno ad Afrodite

E’ l’unica opera di Saffo pervenutaci integra e rappresenta una delle liriche più belle e delicate della poetessa greca. Quella che si presenta come un’ode alla Dea e nella quale l’elemento amoroso si fonde a quello religioso, presto con ardita mossa prende la piega intima di una conversazione tra amiche, con la Divinità che si mette allo stesso piano di colei che la invoca, offrendole solidarietà e garantendole il suo aiuto per far sì che l’amore non corrisposto non ostacoli il desiderio di appagamento del cuore di Saffo.

“… Chi ora ti fugge, presto t’inseguirà, / chi non accetta doni, ne offrirà, / chi non ti ama, pure controvoglia, / presto ti amerà …”

Ode della gelosia

In questa celebre ode, Saffo si lascia prendere da una furiosa gelosia che esprime con una potenza mai eguagliata da nessun altro poeta. Impotente spettatrice al cospetto di una coppia felice, la poetessa vive intensamente il tormento che le dà vedere l’amata fanciulla così presa da quell’uomo, beato come un dio, e descrive in un irresistibile climax lo sconvolgimento dell’animo turbato dalla gelosia. Esaltata già nel I secolo d. C. dall’anonimo del Sublime, rielaborata nella letteratura greca da Apollonio Rodio e da Teocrito e, in quella latina, da Lucrezio, Orazio e soprattutto da Catullo, nel suo carme 51, e da Ugo Foscolo, che ne propose due fortunate traduzioni.

“…scorre esile / sotto la pelle subito una fiamma, / non vedo più con gli occhi, / mi rimbombano forte le orecchie, / e mi inonda un sudore freddo, / un tremito mi scuote tutta, / e sono anche più pallida dell’erba, / e sento che non è lontana per me la morte”.