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Il mito del Pomo della Discordia

Una banale lite tra dee, diventerà la causa scatenante degli eventi che porteranno alla guerra di Troia, mettendo in evidenza il potere distruttivo dell’invidia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Espressione ancora oggi di uso comune, il “pomo della discordia", come altri modi di dire, deriva da uno dei racconti più importanti della mitologia greca. Un episodio apparentemente banale, la consueta disputa tra dee, che per le sue conseguenze scatenerà quella serie di eventi che porteranno alla guerra di Troia, narrata da Omero nell’Iliade. Un pomo non solo causa di discordia e divergenze, ma simbolo del potere distruttivo insito in un sentimento comune quale l’invidia.

Il mito

Il mito del Pomo della Discordia prende le mosse dal banchetto di nozze per celebrare l’unione fra Peleo, re dell’isola di Egina e del popolo dei Mirmidoni, e la ninfa Teti, la più bella delle figlie di Nereo, i futuri genitori del pelide Achille. Tra gli invitati sul Monte Pelio, tutti gli dei dell’Olimpo, eccezion fatta per Eris, sorella gemella di Ares, dea della discordia, spietata creatrice di conflitti e di guerre e, secondo l’epiteto omerico, Signora del dolore, volutamente esclusa per salvaguardare la serena riuscita dell’evento.

Andata su tutte le furie per l’affronto subito, però, Eris si presenta ugualmente alla festa di matrimonio e senza farsi scorgere dagli invitati, lancia al centro della tavola imbandita una splendida mela d’oro, colta nel giardino delle Esperidi, sulla quale ha inciso la scritta καλλίστῃ…, “alla più bella". È la miccia in una sarabanda, il detonatore del destino che sta per compiersi.

Il pomo d’oro attira infatti l’attenzione di Atena, Era ed Afrodite, che iniziano a contenderselo, reclamandolo ciascuna per sé, rivendicando il primato della propria bellezza. La lite prosegue e per dirimerla le dee si rivolgono a Zeus, chiedendo a lui, in quanto Signore dell’Olimpo, di decidere chi delle tre fosse meritevole della mela. Una moglie, Era, e due figlie, Atena, la prediletta, e Afrodite, alleata di tutte le sue scappatelle, una scelta praticamente impossibile anche per il re degli dei, che si tira fuori dall’impaccio, decretando che fosse Paride, il più bello dei mortali e inconsapevole futuro principe di Troia, a decretare chi fosse la più bella tra le dee.

“[…] Tutti – dei e dee – cercarono di afferrare la mela preziosa, se la strappavano di mano l’un l’altro, gridavano, litigavano. – Attenzione! – gridò a un certo punto qualcuno – Sul pomo c’è una scritta. – Cosa? – Dove? – Fate vedere. – Avanti, qualcuno legga cosa c’è scritto. – C’è scritto: “Alla più bella". Allora Era, Atena e Afrodite si buttarono sulla mela d’oro. – A me, a me – gridavano dandosi gomitate e spintoni. – Spetta a me la mela d’oro. Sono io la più bella! – strillavano furiose pestandosi i piedi. – Sia Zeus, il padre di noi tutti, a decidere chi tra voi tre meriti il pomo d’oro – proposero gli altri dei […]". (Vitzizzai, Storie di dei e di eroi)

Così Hermes viene incaricato di condurre le contendenti in cima al Monte Ida, dove Paride era stato abbandonato appena nato, perché un sogno premonitore aveva profetizzato che sarebbe stato la rovina di Troia, e dove viveva tra i pastori, conducendo al pascolo le pecore. Una volta al cospetto del giovane troiano, il prediletto del dio Ares cerca inizialmente di sottrarsi al giudizio, tentando di mediare e proponendo di dividere la mela in tre parti, ma Hermes gli ricorda che il volere di Zeus è che sia lui a giudicare la più bella. Messo alle strette, Paride chiede alle dee di spogliarsi affinché possa prendere la sua decisione e le prega di promettere che le perdenti non si sarebbero vendicate su di lui per la scelta fatta. Ogni volta che il ragazzo si avvicina ad una delle dee per osservarla, ciascuna delle tre tenta di corromperlo con offerte di ogni genere in cambio dell’ambito pomo dorato. Atena, per prima, gli promette di renderlo sapiente e imbattibile in battaglia, Era gli propone ricchezze immense e poteri tali da sottomettere con un solo gesto tutti i popoli dell’Asia, mentre Afrodite mette in palio l’amore della donna più bella del mondo, Elena, la figlia di Zeus e Leda, ma anche già moglie di Menelao, il re di Sparta.

La debolezza della carne, spinge Paride a scegliere Afrodite, che in cambio della mela, manterrà la sua promessa, riuscendo a far innamorare Elena del principe straniero e favorendone il rapimento, propiziando la partenza di Menelao per Creta.

Fu quindi la volta di Afrodite, che soavemente sussurrò: – Ascoltami, bel giovane, se darai a me il pomo della vittoria, io ti darò in moglie la più bella donna del mondo: Elena di Sparta, che è figlia di Leda e di Zeus stesso ed è bionda, bianca e delicata, bella e amorosa quanto me, parola di dea. – Sì, – ribatté Paride – è la più bella donna del mondo, ma è anche moglie di Menelao! E non posso credere che abbandonerebbe il marito e la sua reggia, a Sparta, per seguire uno sconosciuto, un forestiero. – Ah, ah, ah! – gorgheggiò Afrodite – Come sei giovane e inesperto! So io come fare a convincerla… – E come farai? Voglio saperlo anch’io. – Dunque, caro ragazzo, tu andrai in Grecia e io ti darò il mio figlioletto Eros, il piccolo dio dell’amore, come compagno di viaggio. Quando sarai a Sparta, Eros, di nascosto, colpirà la bella Elena con una delle sue frecce facendola innamorare pazzamente di te. Io poi ti prometto la mia protezione, per sempre. – Me lo giuri? – gridò Paride. – Certo che sì. Afrodite giurò e Paride le consegnò il pomo prezioso. Ma in questo modo si attirò l’odio delle altre dee, che si allontanarono complottando la rovina della sua città: Troia". (Vitzizzai, Storie di dei e di eroi)

Al suo ritorno, il re di Sparta, pazzo di rabbia, chiederà l’aiuto del fratello Agamennone, re di Micene, che convocherà tutti i principi greci per marciare alla volta di Troia e restituire Elena al suo legittimo sposo. Inizierà così una guerra lunga dieci anni e che terminerà con la distruzione completa della città, propiziata anche da Atena, che dal giorno del giudizio di Paride era diventata nemica giurata dei troiani.

Analisi

Il mito del Pomo della Discordia è stato oggetto di riletture anche divergenti, ma quella più comune e condivisa è quella che lo utilizza per individuare le cause generatrici di conflitti. Così, il giudizio di Paride rappresenta una soluzione solo apparente, perché non tiene conto delle conseguenze inintenzionali che la sua decisione finirà per provocare.

Allo stesso modo, Eris, la dea della discordia, rappresenta la figura del sabotatore, che non accetta l’esclusione, anche qui però scatenando eventi che vanno anche oltre le sue reali intenzioni. Cedere alla rabbia, dunque, comporta il rischio di compiere gesti inconsulti, senza percepirne l’esito potenzialmente devastante su terzi inconsapevoli, in questo caso i troiani, che vedranno la loro città distrutta, senza aver commesso alcun torto.

I protagonisti di questo mito, in effetti, sfuggono continuamente alle loro responsabilità. Lo fanno Era, Atena e Afrodite, che invece di trovare una soluzione tra loro si rivolgono a Zeus per dirimere la faccenda, delegando ad un terzo la sentenza definitiva, come per rivolgersi ad un tribunale. Lo fa lo stesso padre degli dei, che mosso dalla paura delle conseguenze della sua decisione, rimette la sua dose di responsabilità nelle mani di un ulteriore terzo. Anche Paride ci prova parzialmente, anche se la sua proposta di dividere in tre la mela, più che uno scarico di responsabilità, è il tentativo del giudice di lasciar intravedere alle parti in causa una soluzione diversa dalla sentenza, consapevole del fatto che nessuna parte soccombente in un conflitto avrà parole d’elogio per il magistrato e che con la sua decisione si inimicherà due delle dee.