Cogito ergo sum, cosa significa la locuzione latina
È uno dei detti più citati al mondo, eppure non tutti conoscono il vero significato della frase cardine e di svolta del pensiero di Cartesio e della filosofia moderna
Noi siamo uomini consapevoli grazie al nostro pensiero, al nostro ragionamento. Cogito ergo sum “è la nota formula di Cartesio, che esprime la certezza e l’evidenza immediata, intuitiva, con cui il soggetto pensante coglie la propria esistenza”. Così l’enciclopedia Treccani illustra il senso di uno dei detti più citati al mondo, spesso a sproposito, ignorando il vero e profondo significato della frase cardine e di svolta della filosofia cartesiana e del pensiero moderno.
“Ormai possiamo dire di trovarci in essa proprio a casa nostra e, come il navigatore dopo lungo errare sul pelago infuriato, possiamo gridare ‘Terra’”. (Hegel)
Penso dunque esisto, è tuttavia la traduzione di un pensiero che non viene quasi mai riportato in modo esatto. “Ego cogito, ergo sum, sive existo”, ovverosia “Io penso, dunque sono, ovvero esisto”, è l’intera frase scritta dal grande fautore del dubbio iperbolico nella sua opera Discorso sul metodo, attraverso la quale giunge alla conclusione che il fatto che l’uomo esista in quanto essere pensante rappresenti l’unico principio solido che possa diventare la base per raggiungere altre conoscenze.
- Il dubbio come metodo
- Dal dubbio metodico a quello iperbolico
- Dubito quindi esisto
- Res cogens e il “dualismo cartesiano”
- Le differenze con Agostino
- “Ergo” e sillogismi
- Solipsismo e ontologia
Il dubbio come metodo
Secondo Cartesio, il dubbio rappresenta le fondamenta su cui edificare la vera conoscenza, perché solamente mettendo in discussione le vecchie credenze è possibile arrivare ad una verità in grado di resistere al ragionamento dell’uomo. Il filosofo vuole definire un metodo che rappresenti una guida sicura in ogni campo d’indagine, muovendo una critica radicale a tutto il sapere, nella convinzione che qualcosa si sottrarrà al dubbio e si definirà come necessariamente evidente.
Quando Cartesio intraprende il ragionamento che lo porterà alla conclusione del cogito ergo sum, ha in realtà già individuato le regole da seguire e rispettare nella ricerca della verità. Sono quattro e costituiscono a detta dell’autore il frutto di tutta una vita dedicata alla conquista della conoscenza: la regola dell’evidenza, la regola dell’analisi, la regola della sintesi e la regola dell’enumerazione.
Secondo la Regola dell’evidenza, è vero soltanto ciò che è evidentemente tale, ovverosia che sia chiaro e distinto. Un’idea è chiara se si afferma in modo vivido ed immediato, è distinta quando è separata da ogni altra e definita in se stessa. Il pre-giudizio deve essere bandito, perché ostacola il raggiungimento della verità. Occorre dunque assumere il dubbio come procedimento metodologico.
Dal dubbio metodico a quello iperbolico
In primo luogo, Cartesio distingue la conoscenza vera da quella ingannevole e inizia la sua “demolizione” a colpi di dubbi dai sensi, ritenuti dal filosofo pericolosamente inaffidabili. Ci sono esperienze come i sogni, che sembrano essere del tutto vere e invece non lo sono. Sono ormai state scoperte le illusioni ottiche che mettono in dubbio la fallibilità della vista, si conoscono i limiti umani dell’udito e dell’olfatto. Il cielo potrebbe non essere blu, la mano potrebbe non essere formata da cinque dita, il mondo potrebbe non essere così come lo si vede. Ogni percezione può allora essere messa in discussione.
I dubbi del filosofo però non si limitano ai sensi, ma si allargano fino ad estendersi anche a conoscenze da sempre considerate vere, quelle dell’algebra e della geometria. Per giustificare questo “salto di qualità” del dubbio, che da metodico diventa universale, il filosofo afferma che si possa supporre che il mondo non sia stato creato da un Dio buono e saggio, ma da un essere maligno e dispettoso che voglia ingannarci per suo mero piacere. Ad esempio quando ci lascia credere che 2+2 faccia 4, mentre in realtà non è così. E’ il dubbio iperbolico, che arriva ad investire il concetto stesso di esistenza, ma che Cartesio supera grazie al suo “ergo sum”.
Dubito quindi esisto
E’ proprio a questo punto che si inserisce la svolta nel pensiero cartesiano: perché io possa essere ingannato devo esistere, per cui nel momento stesso in cui l’essere umano pensa e quindi dubita esiste e questo rappresenta l’unica certezza.
Il genio maligno, dunque, potrà anche ingannarmi su tutto, ma non sul fatto che io dubito che ci sia lui che mi inganna su tutto. E’ allora certo che io stia dubitando e asserendo che non è vero si cade subito in contraddizione. Dal momento allora che l’azione del dubitare rientra in quella del pensare, ovvero nel momento in cui si dubita si sta pensando e il pensare appartiene ad un corpo che sono io stesso, allora nel momento in cui penso esisto: “Ego cogito, ergo sum, sive existo”.
Questo non esclude che la realtà esterna possa essere frutto di un inganno, che però necessità di un qualcosa di pensante da ingannare, una res cogens, che esiste senza dubbio.
Res cogens e il “dualismo cartesiano”
La res cogens partorita dal pensiero di Cartesio è la “sostanza pensante”, fondamento di ogni ulteriore certezza che il filosofo ritiene immateriale, realmente distinta dal corpo e dotata di un’esistenza propria. Col pensiero coincide l’anima, responsabile dell’intero complesso delle attività umane. Il “dualismo cartesiano” consiste quindi nella netta contrapposizione tra la res cogitans, che rappresenta il pensiero, e la res extensa, che rappresenta la materia e che comprende il corpo, e che Cartesio considera completamente indipendenti l’una dall’altra individuando nella ghiandola pineale del cervello l’unico “punto di relazione” tra anima e corpo.
Le differenze con Agostino
Spesso il cogito ergo sum cartesiano viene fatto ricondurre alla filosofia di Agostino e al suo “Si fallor sum” (Se sbaglio esisto), quando in realtà Cartesio ne capovolge radicalmente la prospettiva. Se in Agostino, il dubbio diventa simbolo di verità, in quanto si ha la capacità di dubitare solo in quanto esiste una Verità trascendente che rende possibile il pensiero, per Cartesio è la verità a scaturire dal dubbio. E’ il fatto di dubitare, dunque, la condizione necessaria a dedurre la verità e non viceversa. E ancora, mentre per Agostino esiste una Verità pregressa al dubbio, in Cartesio il dubbio arriva a giustificarsi “da sé”, assumendosi il compito di distinguere il vero dal falso, diventando “metodico”.
“Ergo” e sillogismi
Cartesio dovette rispondere agli attacchi dei suoi contemporanei, che lo accusavano di aver fatto ricorso ad un sillogismo privo di una premessa maggiore. Se la premessa minore è io penso e la conclusione io esisto, allora dovrebbe essere preso come assunto che tutto ciò che pensa esiste, ma dato che tale affermazione non è stata né sottoposta a dubbio, né dimostrata, il cogito cartesiano non sarebbe da considerare come conoscenza prima e certissima su cui basare l’intero ragionamento.
A tale contestazione Cartesio replicò spiegando che il significato dell’“ergo”, nell’uso che ne fa l’autore, differisce da quello assunto dal vocabolo stesso nei sillogismi. Il suo non è un ragionamento dimostrativo, che parte da premesse per arrivare ad affermare qualcosa, perché questo necessiterebbe di un accertamento preventivo della veridicità delle premesse stesse. Si tratta più di un’intuizione, nella quale l’”ergo” debba essere inteso come una sorta di esclamazione per sottolineare la scoperta appena fatta: “io penso” ed “io sono” diventano oggetto di un unico atto di conoscenza, andando a costituire una certezza unitaria: il solo fatto di pensare significa “immediatamente” il fatto di esistere.
Solipsismo e ontologia
Le repliche di Cartesio non furono diffusamente condivise e soprattutto finirono per far scivolare il suo cogito verso il solipsismo: la rinuncia ad aprirsi verso una dimensione trascendente, rischia infatti di racchiudere il suo ragionamento nel recinto dell’autocoscienza. Di qui la “svolta ontologica” del filosofo, con l’elaborazione delle tre prove dell’esistenza di Dio, il quale si farebbe “garante del metodo” semplicemente perché incapace di ingannare l’uomo. L’esistenza di Dio, tuttavia, non costituirebbe il primo criterio di verità, ma un criterio aggiuntivo a quello del cogito, la cui verità scaturisce già dalla consapevolezza che è impossibile pensare senza esistere.
“Bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità, penso dunque sono, era così salda e certa da non poter vacillare sotto l’urto di tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il principio della filosofia”. (Discorso sul metodo)