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L'epicureismo di Lucrezio

Nonostante le vicende della sua vita siano avvolte dal mistero, l’eredità lasciata con il De rerum natura ne rende noto il pensiero, che va oltre il dogmatismo originario della dottrina nata in Grecia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Per comprendere appieno l’humus nel quale nasce, si radica e cresce l’epicureismo di Lucrezio, non si può prescindere dalle condizioni storiche e sociali che in buona parte lo propiziano. Siamo nella Roma antica, nell’ultimo scorcio di avanti Cristo e l’economia imperante è quella di guerra, i piccoli agricoltori vengono così strappati dai loro campi e il latifondo dilaga. Ad affermarsi sulla scena sono nuove figure, dagli alti ceti militari, nobilitati dalla riforma di Gaio Mario che ha professionalizzato le milizie, agli usurai, dai grandi mercanti agli imprenditori, sono infatti proprio gli equites, i ceti borghesi e mercantili, a sottrarre via via potere ad una nobiltà ritenuta miope ed inetta, destinata ad essere sorpassata da chi ormai può mettere sul piatto della bilancia il proprio peso economico e finanziario.

Una rivoluzione silenziosa e inesorabile, impossibile da soffocare nel sangue come ad esempio era stato fatto con quella degli agricoltori promossa dai Gracchi, destinata a cambiare anche modelli di comportamento, ispirati ai più raffinati costumi d’Oriente, che per la prima volta introducono il concetto di individualismo, da contrapporre al gretto collettivismo dell’arcaica repubblica romana. Infatti, se da Catone in poi, a Roma la cultura era stata circoscritta e limitata a mero supporto della pratica, i profondi mutamenti sociali innescatisi, la rendono invece qualcosa di valido di per sé e da ricercare per la sua sola natura, che giustifica ed allo stesso tempo esalta l’otium intellettuale.

È allora in questo contesto di contrasti, reso cruento dagli avvenimenti militari e tragici che fanno da sfondo, che l’epicureismo di Lucrezio trova le condizioni ideali per diffondersi.

Una vita avvolta nel mistero

Sulla vita di Tito Lucrezio Caro esistono notizie frammentarie e non del tutto attendibili. La fonte principale da cui si attinge è San Girolamo, vissuto nel IV secolo, che nel suo Chronicon, riguardo l’anno 94 a.C. scrive: “Nasce il poeta Tito Lucrezio che, divenuto folle per un filtro d’amore, dopo aver scritto negli intervalli della pazzia alcuni libri di cui poi Cicerone curò la pubblicazione, morì suicida nel quarantaquattresimo anno di età".

A sua volta, San Girolamo avrebbe tratto queste informazioni da una delle sue fonti predilette, il De Poetis di Svetonio, opera perduta, risalente agli inizi del II secolo.

Tuttavia, incrociando diverse fonti, tra le quali La Vita di Virgilio del grammatico Donato, che fissa la nascita di Lucrezio nell’anno in cui il sommo poeta assunse la toga virile, e addirittura una lettera di Cicerone al fratello Quinto, nella quale annuncia la pubblicazione dell’opera di Lucrezio, lodandone ingegno e abilità artistica, le date più certe vengono ritenute 98-55 a.C., data per assodata la morte suicida a 43 anni di età.

Quanto a Svetonio, avrebbe scoperto la storia della follia a causa di un filtro d’amore da una leggenda creata in ambito cristiano per denigrare il pensiero di Lucrezio, sostenitore della mortalità dell’anima e dell’assenza di una vita dopo la morte.

La spiegazione del “silenzio" che avvolse il poeta per secoli, però, non andrebbe ricercata in una sorta di “vendetta" cristiana, ma nel semplice fatto che il De rerum natura era un’opera considerata lontana dall’estetica romana dell’età di Cesare e dalle tradizionali tematiche della poesia latina. Un’altra interpretazione della “congiura del silenzio", certamente più romantica, risiede nel fatto che Lucrezio, coerentemente con la filosofia epicurea, visse appartato, seguendo il precetto epicureo del “vivi nascosto".

L’epicureismo

L’epicureismo fa la sua comparsa tra il IV e il III secolo in Grecia, conseguenza della crisi della polis e l’affermarsi della civiltà ellenistica, che svuota l’agorà dai cittadini, i quali, non più chiamati a partecipare alla vita pubblica, ma ridotti a semplici sudditi sottoposti alle decisioni del sovrano, iniziano a pensare a sé stessi e trovano proprio in Epicuro e nella sua filosofia un punto di riferimento nella ricerca dei segreti per una vita felice.

Tutta la dottrina epicurea si fonda sulla fisica democritea, secondo la quale gli atomi costituiscono la materia e conseguentemente anche gi esseri umani, nel cui caso i più pesanti danno forma al corpo e i più leggeri e sottili all’anima. L’incontro tra questi atomi è del tutto casuale e non necessita di alcun intervento trascendente, tanto più che Epicuro sostiene che anche gli dei sono costituiti da atomi, ma che vivono imperturbabili e sereni negli intermundia, senza mai interferire nelle vicende degli uomini. Vicende invece influenzate dall’interpretazione razionale delle impressioni, generate dal contatto tra le immagini generate dagli oggetti e l’anima e che di per sé non sarebbero mai sbagliate senza il filtro della valutazione che ne danno gli uomini.

Sono questi i presupposti cardine sui quali si impernia l’erica epicurea, sintetizzabile nel cosiddetto “quadrifarmaco":

  • Non si devono temere gli dei, perché non interferiscono nella vita umana;
  • Non si deve temere la morte, che è solo una disgregazione di atomi;
  • il bene è facile da procurarsi;
  • il male è facile da fuggirsi.

Liberatisi grazie alla conoscenza, e dunque alla filosofia, dell’atavica paura della morte, gli uomini saranno così liberi di raggiungere il piacere individuale, che non è il soddisfacimento di ogni istinto, ma l’assenza di dolore. È questa una sottolineatura importante per Epicuro, che approfondisce il concetto, stilando anche tre categorie di piacere:

  • piacere naturale e necessario, che è da soddisfare in quanto connesso con le funzioni vitali come il mangiare, il bere e il riposare;
  • piacere naturale ma non necessario, che può essere assecondato, purché non in eccesso come il sesso o riposare su morbidi guanciali;
  • piacere non naturale né necessario, che è assolutamente da evitare, poiché fonte di turbamento come la gloria, il potere e la ricchezza.

L’epicureismo di Lucrezio

L’epicureismo si diffonde a Roma nel I secolo a.C., partendo dalla zona di Napoli, con le prime scuole di Sirone a Posillipo e di Filodemo ad Ercolano e trovando un humus simile a quello che ne decretò il dilagare in Grecia, anche a Roma infatti gli avvenimenti politici stavano per portare alla trasformazione della repubblica in principato.

In quest’epoca e in questa situazione, Lucrezio si contraddistingue per essere l’intellettuale che più di tutti si fa propugnatore dell’epicureismo, attraverso il suo De rerum natura.

Si tratta di un’opera divisa in sei libri, raggruppati in tre diadi, ciascuna introdotta da un proemio: il primo ed il secondo libri trattano di argomenti fisici, come la teoria degli atomi; il terzo ed il quarto riguardano l’anima e le modalità tramite le quali avviene la conoscenza; il quinto e il sesto, infine, sviluppano argomenti cosmologici, in particolare la dottrina del mondo.

Lucrezio descrive la dottrina epicurea partendo dalla teoria atomica e la dimostrazione che “nulla nasce dal nulla né si trasforma in nulla", perché la realtà è eterna e non soggetta ad interventi divini, in quanto frutto solamente del processo di aggregazione e disgregazione degli atomi che danno origine alla materia.

In questa visione, il clinamen, che rappresenta la deviazione che modifica la naturale traiettoria verticale del movimento degli atomi, rappresenta il destino ed il principio di casualità, riconducibile al libero arbitrio degli uomini.

La presa di coscienza di questa imprevedibile trama, porta l’epicureo all’atarassia, una condizione d’imperturbabile serenità propria del saggio, che viene contrapposta all’inutile annaspare della maggior parte degli uomini, agitati dalla passione e dunque destinati all’infelicità.

Trattando di conseguenza dell’anima e della sua natura mortale, Lucrezio fissa senza indugi lo scopo suo e dell’epicureismo: liberare gli uomini dalla paura della morte, che è la causa prima di una vita infelice. Dunque si prodiga nel dimostrare la mortalità dell’anima e dell’animus, che Lucrezio distingue, ritenendo l’una un principio vitale diffuso in tutto il corpo e l’altro la mente, sede delle facoltà razionale, pur destinandole alla stessa fine, la disgregazione atomica, con la quale cessa ogni forma di coscienza e sensibilità. Proprio per questo l’uomo non ha nulla da temere, perché quando scomparirà non proverà alcuna emozione, proprio come prima che nascesse.

Nulla dunque è la morte per noi e per nulla ci riguarda, dal momento che la natura dell’anima è mortale. E come nel tempo trascorso non provammo nessun dolore quando i Cartaginesi venivano da ogni parte a far guerra […], così, quando cesseremo di esistere […], possiamo star certi che […] nulla, assolutamente nulla potrà raggiungere o muovere i nostri sensi". (III,830ss.).

Proprio i sensi, colpiti dalle epicuree impressioni, si rivelano devastanti, ammonisce Lucrezio, se associati alla passione amorosa, che non riguarda la naturale fisicità del sesso, ma la cieca passione, il furore che impedisce all’uomo di raggiungere lo stato di atarassia, costringendolo ad una condizione di schiavitù autoimposta. Secondo Epicuro infatti, lo stesso universo non è eterno, ha avuto un inizio e avrà una fine, perché frutto di una casuale aggregazioni di atomi, proprio come gli esseri umani, che a questo punto di cosa dovrebbero preoccuparsi. Non certo di fantomatiche paure e superstizioni, che portano ad interpretare in maniera sbagliata anche i fenomeni meteorologici e naturali come il tuono, il fulmine, i terremoti, i vulcani, le piene del Nilo o eventi storicamente ricorrenti come la peste e altre pandemie.