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Il superamento di Parmenide da parte di Platone

Andrea Bosio

Andrea Bosio

INSEGNANTE DI FILOSOFIA E STORIA

Nato a Genova, è cresciuto a Savona. Si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Genova, occupandosi di storia della comunicazione scientifica e di storia della Chiesa. È dottorando presso la Facoltà valdese di teologia. Per Effatà editrice, ha pubblicato il volume Giovani Minzoni terra incognita.

Il pensiero di Platone si sviluppa in un contesto filosofico profondamente influenzato dalla figura imponente di Parmenide di Elea, il filosofo che per primo affermò l’assolutezza e l’immutabilità dell’Essere. L’eleatismo, fondato sulla negazione del divenire e sulla netta opposizione tra essere e non-essere, rappresenta un punto di svolta nella filosofia greca, rompendo con la visione naturalistica dei presocratici. Tuttavia, questa stessa concezione poneva anche limiti insormontabili alla conoscenza del mondo sensibile, confinando la verità a una realtà totalmente astratta, lontana dall’esperienza quotidiana.

Platone, pur riconoscendo la profondità speculativa del pensiero parmenideo, sente il bisogno di superarne gli esiti più radicali. Egli cerca una sintesi che non neghi la molteplicità e il divenire del mondo fenomenico, ma che al contempo salvi la necessità logica dell’essere. In questo processo, Platone si confronta direttamente con il maestro eleate, dedicandogli uno dei suoi dialoghi più complessi e enigmatici, il Parmenide, in cui mostra i limiti dell’ipotesi unitaria sostenuta dal filosofo di Elea.

L’essere di parmenide: immutabilità e negazione del molteplice

Per comprendere il superamento operato da Platone, è necessario soffermarsi brevemente sulla concezione dell’Essere parmenideo. Secondo Parmenide, “l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere”. Questa formula lapidaria esprime una verità fondamentale: ciò che è, è necessario, eterno, immobile, indivisibile, mentre ciò che non è non può neppure essere pensato o nominato.

Da qui deriva una conseguenza radicale: il mondo sensibile, che appare soggetto a mutamento, generazione, corruzione e molteplicità, non può essere vero. L’apparenza è mera illusione. La realtà autentica coincide con l’Essere unico e immobile, che può essere colto solo attraverso l’intelletto, non attraverso i sensi.

Questa visione porta a una frattura insanabile tra il pensiero e l’esperienza: se solo l’Essere è conoscibile, allora tutto ciò che percepiamo nel mondo quotidiano è inganno. Parmenide, pur fondando la logica dell’identità, pone un ostacolo insormontabile allo sviluppo della conoscenza empirica e alla spiegazione razionale del divenire.

La dialettica platonica come risposta: tra unità e molteplicità

Il grande merito di Platone è quello di accogliere la lezione parmenidea, salvaguardandone il nucleo razionale, ma senza rinunciare alla ricchezza del mondo fenomenico. Egli elabora un sistema filosofico in cui l’Essere non è un principio monolitico, bensì articolato, e in cui è possibile pensare un ordine superiore che conferisca intellegibilità alla molteplicità.

Attraverso la teoria delle Idee, Platone risolve l’antinomia tra l’uno e i molti. Le Idee sono entità immutabili, eterne, perfette, simili all’Essere parmenideo, ma molteplici: vi è l’Idea di Giustizia, di Bellezza, di Bontà, e così via. Esse costituiscono il fondamento intelligibile del mondo sensibile, il quale partecipa delle Idee pur non essendone una copia perfetta.

In questo modo, Platone crea una struttura ontologica a due livelli: il mondo delle Idee, immobile e intelligibile, e il mondo sensibile, mutevole e percepibile. La molteplicità e il cambiamento non sono più negati, ma ricondotti a un principio superiore che ne garantisce la coerenza e la conoscibilità.

Il dialogo “Parmenide”: un esercizio di critica e superamento

Uno dei momenti più alti della riflessione platonica sul pensiero eleatico si trova nel dialogo Parmenide, in cui Platone immagina un giovane Socrate che discute con Parmenide e Zenone. In questa cornice, Platone mette alla prova la propria teoria delle Idee, sottoponendola a una serie di aporie e obiezioni che ne rivelano le difficoltà interne.

Il dialogo si svolge in due parti: nella prima, Parmenide critica la posizione di Socrate, mostrando le contraddizioni che derivano dall’ammettere l’esistenza di entità separate (le Idee) e dalla loro partecipazione al mondo sensibile. Nella seconda parte, Parmenide propone un esercizio dialettico in cui viene analizzata l’ipotesi che “l’Uno è” e le sue conseguenze logiche.

Questa seconda parte ha un valore profondamente speculativo: Platone non mira a confutare Parmenide semplicemente, ma a superarlo dialetticamente, mostrando che la concezione dell’Uno assoluto conduce a una serie di paradossi se non viene integrata in una visione più articolata dell’essere. L’Uno, se è assoluto, non può avere relazione con nulla; ma se non ha relazione, non può nemmeno essere pensato. Da ciò emerge la necessità di concepire l’essere come relazione, molteplicità, partecipazione, anticipando il pensiero successivo.

L’idea di partecipazione: il superamento definitivo dell’eleatismo

La chiave del superamento platonico di Parmenide sta nella nozione di metessi, ovvero di partecipazione. Secondo Platone, le cose sensibili esistono perché partecipano delle Idee, che costituiscono il loro modello eterno. Questo concetto consente di preservare l’immutabilità dell’essere senza negare la realtà del divenire.

Rispetto a Parmenide, che vedeva nell’essere un principio indivisibile e incompatibile con il molteplice, Platone riesce a fondare una ontologia differenziata, capace di spiegare razionalmente la varietà del reale. Le Idee fungono da garanzia dell’ordine cosmico e della verità della conoscenza, mentre le cose sensibili sono comprese come manifestazioni imperfette ma reali.

La partecipazione è il ponte tra i due mondi, ed è ciò che permette a Platone di salvare la conoscenza empirica senza tradire il principio di identità e di unità dell’essere. In tal senso, Platone non rifiuta Parmenide, ma lo integra in una visione più ampia e complessa, capace di tenere insieme l’unità e la molteplicità, il pensiero e l’esperienza.

Il ruolo del linguaggio e della dialettica nel superamento di Parmenide

Un altro elemento decisivo nel superamento platonico è il ruolo della parola, del logos. Parmenide aveva già distinto tra la via della verità e la via dell’opinione, ma aveva negato ogni valore gnoseologico al discorso sul mondo fenomenico. Platone, al contrario, attribuisce al linguaggio la funzione fondamentale di mediazione tra i livelli dell’essere.

Attraverso la dialettica, l’anima può salire dal molteplice al semplice, dal sensibile all’intellegibile, cogliendo le strutture logiche che reggono il reale. Il logos diventa così lo strumento privilegiato per penetrare il mistero dell’essere, senza fermarsi alla rigidità dell’identità assoluta, ma accettando la complessità e la dinamica del reale.

La dialettica platonica si configura quindi come una pedagogia dell’essere, un itinerario che conduce alla comprensione delle Idee attraverso il confronto delle opinioni, la confutazione degli errori e la scoperta delle verità eterne. In questo processo, la logica parmenidea non è abbandonata, ma trasformata in un metodo più flessibile, capace di accogliere la tensione tra uno e molti.

L’eco di Parmenide nella metafisica platonica

Nonostante il superamento, è innegabile che l’influsso di Parmenide continui a risuonare in tutta l’opera platonica. L’Idea del Bene, che nel Repubblica viene posta al vertice del mondo intellegibile, ha molte affinità con l’Essere parmenideo: è immutabile, perfetta, trascendente, ed è causa dell’essere e del conoscere.

Anche la struttura gerarchica dell’ontologia platonica rispecchia in parte la visione dell’unità assoluta: più ci si avvicina all’Idea del Bene, più si accede a un livello di realtà pura e immutabile. Tuttavia, la differenza fondamentale sta nel fatto che Platone non isola l’essere in una sfera inaccessibile, ma lo pone in relazione con il mondo umano.

L’essere diventa così oggetto di desiderio, di ricerca, di elevazione spirituale. Il filosofo non è colui che si ritira dall’esperienza, ma colui che, attraverso l’esperienza, si avvicina all’eterno. In questa prospettiva, il pensiero platonico non è solo una metafisica, ma anche un’etica e un’estetica.

Un superamento fecondo e necessario

Il confronto tra Platone e Parmenide rappresenta una delle pagine più alte della filosofia occidentale. Nel tentativo di superare l’eleatismo, Platone non si limita a criticarne gli assunti, ma li accoglie, li rielabora, li innalza. Il risultato è una visione dell’essere che unisce rigore logico e apertura al reale, immutabilità e divenire, unità e molteplicità.

Il superamento di Parmenide da parte di Platone non è una negazione, ma una trasformazione. L’essere, da principio unico e statico, diventa principio generativo, articolato, fonte di significato per l’intero universo. La filosofia si apre così alla complessità del reale, senza perdere la tensione verso l’assoluto. Ed è proprio in questa tensione che risiede la grandezza del pensiero platonico.