L'evoluzione ideologica di Aristofane
Tra i principali esponenti della Commedia antica insieme a Cratino ed Eupoli, le sue opere restituiscono l’immagine di un convinto conservatore
Vita, opere e pensiero
Aristofane nacque ad Atene intorno al 450 a.C., ma tutto ciò che sappiamo della sua vita deriva dalle sue opere. Ebbe possedimenti nell’isola di Egina ed esordì come commediografo da giovanissimo, nel 427 a.C. con ‘I Banchettanti’, la Guerra del Peloponneso combattuta dalla ‘sua’ polis contro Sparta. Due anni più tardi, con ‘Gli Acarnesi’, auspicò un rapido ritorno della pace, ma col tempo iniziò a criticare aspramente la democrazia ateniese, considerata fittizia, e l’emblema di tale pensiero è racchiuso ne ‘I Cavalieri’, commedia rappresentata nel 424 a.C., in cui il personaggio di Paflagone – volutamente di nome barbaro – personifica l’odiato demagogo Cleone che, tra inganni e calunnie, ruba alle spalle del popolo. L’anno successivo mise in scena la sua opera più famosa, ‘Le nuvole’, nella quale illustrò l’impatto disastroso della sofistica sulla democrazia: lo fece raccontando la storia del vecchio Strepsiade che, indebitato a causa del figlio Fidippide, mandò il giovane a studiare da Socrate, dove però, oltre a come non pagare i debiti, imparò anche a picchiare i genitori. Incredibilmente, però, la commedia non ebbe successo e Aristofane, che non riuscì a capacitarsene, compose una seconda versione, quella che ci è pervenuta, che tuttavia non rappresentò mai. Anche ‘Le Vespe’, del 422 a.C., trattò i temi della demagogia, del popolo e delle differenze tra vecchie e nuove generazioni, senza risparmiare un violento attacco al sistema giuridico. Alla morte di Cleone iniziò a lavorare a ‘La pace’, rappresentata nel 421 a.C., mentre sette anni più tardi – in un periodo di caos geopolitico – fu il turno de ‘Gli uccelli’, nella quale due ateniesi, alla ricerca di un posto dove vivere, fondarono una città sulle nuvole dove, grazie a una strategia vincere, ebbero la meglio su dei e uomini. Le ultime due commedie che Aristofane scrisse con la sua tipica causticità e fantasia risalgono al 411 a.C.: ‘Le Tesmoforiazuse’, che riguardò la celebrazione di una festa riservata alle donne, e ‘Le Tesmoforie’, in cui derise Euripide, la sua analisi dei personaggi femminili e la sua attenzione alla psicologia individuale e alle vicende private. Nella ‘Lisistrata’, poi, raccontò la storia di una donna – agli antipodi rispetto al modello euripideo – dedita agli interessi della comunità e che, pur di porre fine a un’atavica e logorante guerra, organizzò uno “sciopero sessuale” a cui parteciparono le mogli di tutta la Grecia, affinché gli uomini smettessero di uccidersi tra loro. Dopo il colpo di Stato oligarchico, il ritorno della democrazia e l’inasprimento dei rapporti con Sparta, supportata dai Persiani, Aristofane si dedicò a ‘Le Rane’, in cui tornò a occuparsi della situazione culturale: nella desolante scena ateniese, il dio Dioniso discese nell’Ade per recuperare Euripide, morto da poco tempo, riportando tuttavia in vita Eschilo. Ne ‘Le Ecclesiazuse’ (cioè, le donne a parlamento), rappresentate nel 392 a.C., mise invece in scena un’utopia: la protagonista Prassagora, vestita da uomo, si infiltrò nell’Assemblea e fece approvare – come unica possibilità di salvezza per Atene – il passaggio del governo alle donne. L’ultima opera di Aristofane, che morì probabilmente attorno al 385 a.C., fu ‘Pluto’, trattò della ricchezza e della sua ingiusta distribuzione tra gli uomini. Quel che appare evidente dalle sue ultime commedie è il cambiamento di mentalità, che da comunitaria divenne prettamente privatistica e individualista.
L’ideologia aristofanea
Le opere di Aristofane ci restituiscono l’immagine di un conservatore convinto, paladino – oltre che ironico osservatore – di un ceto sociale, quello del piccolo proprietario terriero che, nonostante le sue tradizioni radicate e le sue debolezze, che considerò come il nucleo più antico e più sano della società ateniese. Fu proprio da qui, in un’ottica prettamente pacifista, che nacque la critica sia nei confronti della democrazia post-periclea, giudicata corrotta e guerrafondaia, sia dei rappresentanti delle nuove correnti come i sofisti, Socrate e, all’interno del mondo della produzione teatrale, Euripide e i suoi seguaci. Aristofane, ad ogni modo, dimostrò di essere un grande conoscitore di tutta quella schiera di artisti e intellettuali che derise e parodiò per tutto l’arco della sua produzione. Ritenuto già da vivo uno dei massimi esponenti della poesia comica, e sin dagli Alessandrini il più grande commediografo attico, dai moderni Aristofane è considerato uno dei più importanti autori di tutta l’antichità greco-latina. Sintetizzarne le ragioni è una missione impossibile, ma è importante sottolineare l’eccezionalità dell’impegno politico-ideologico (al punto da offrire un’ampia documentazione sulla vita sociale e culturale della sua epoca), così come la straordinaria ricchezza linguistica e la smisurata varietà di soluzioni comiche, dalla parodia e la trivialità scatologica all’ironia sottile, la satira esplicita, il gioco letterario e la caricatura dei tipi sociali più iconici. In tale contesto s’inserisce anche la sua visione della donna, una sorta di primordiale femminismo inserito, tuttavia, in un contesto paradossale e burlesco. Soprattutto dai frammenti delle opere andate perdute emergono altri temi che Aristofane trattò con competenza e dovizia di particolari, come l’economia, la cultura, la filosofia, la pedagogia e la letteratura, oltre a un frequente ricorso a parodie e allusioni tanto per l’ambito della sfera sessuale, quanto riguardo a riti e miti, specie nei drammi di critica religiosa.