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Il mito degli Androgini

Scritto da Aristofane, fa parte del Simposio di Platone e narra di un terzo genere preesistente alla divisione tra uomini e donne, che costò una difficile decisione agli dei dell’Olimpo

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Ancor prima dell’uomo e della donna, esisteva un terzo genere, indifferentemente accoppiato come uomo-donna, uomo-uomo, donna-donna e chi vi apparteneva era di forma tondeggiante, con le schiene attaccate tra loro, quattro braccia e altrettante gambe, due organi genitali distinti, un solo collo ed una sola testa, divisa in due volti, che guardavano in direzioni opposte. L’androgino. È il mito narrato da Aristofane, commediografo della Grecia antica, nativo di Cidatene e vissuto tra il 450 e il 385 avanti Cristo, ospitato nel Simposio di Platone, uno dei dialoghi più noti del filosofo e che si differenzia dagli altri suoi scritti proprio per il fatto di contenere ampi discorsi di interlocutori di prestigio, scelti tra i migliori pensatori ateniesi, che si dedicano all’esposizione delle loro teorie su Eros, l’Amore.

Il mito

Aristofane racconta dunque che, secondo il mito, gli androgini, talmente superbi da sentirsi perfetti e temibili per forza e vigore, erano invisi agli dei e che Zeus, dopo che questi osarono scalare l’Olimpo, convocò un consiglio tra divinità proprio per decidere come comportarsi. L’ala ‘oltranzista’ propose di sterminarli, come fatto con i giganti, ma a questi ‘falchi’ venne fatto notare che in questo modo sarebbero venuti meno anche gli onori e i sacrifici. D’altro canto l’affronto degli androgini andava punito severamente. Fu Zeus a rompere gli indugi dopo una lunga riflessione, decidendo che la soluzione migliore fosse quella di dividere gli androgini in due, così sarebbero stati più numerosi, ma anche più deboli e non più in grado di osare sfidare gli dei.

[…] Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. “Io credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri […]". (Aristofane)

Così fu proprio il re dell’Olimpo a separare uno ad uno gli androgini, ordinando ad Apollo di ricomporne i corpi, rivoltandone il collo ed i volti, ricucendo la pelle sul ventre e legandola nel mezzo, originando l’ombelico, come ricordo della punizione subita. Non più un solo genere abitava la terra, ma due, gli uomini e le donne.

Divise dagli dei, però, le due metà non smisero di cercarsi, mosse dall’unico desiderio di ricongiungersi l’una all’altra. Si abbracciavano e si stringevano, tentando invano di tornare a formare insieme un nuovo essere, ma al contempo disinteressandosi completamente delle loro vite, morendo di fame e di inazione, per il rifiuto di fare qualunque cosa senza la metà mancante. Ogni volta che una di esse moriva, l’altra subito andava a cercarne un’altra e subito le si stringeva, a prescindere se fosse “compatibile", una metà maschile o una femminile, e così la specie rischiava ormai l’estinzione.

Fu ancora Zeus, preoccupato dall’evolversi della situazione, ma anche impietosito dalle sofferenze scaturite dalla sua decisione di dividere gli androgini, ad intervenire spostando gli organi della generazione sul davanti. Già, perché dopo la divisione degli androgini, gli esseri umani li avevano sulla parte esterna del corpo e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra. In tal modo, gli uomini potevano accoppiarsi con le donne, assicurando il perpetuarsi della specie, e se per caso un maschio si fosse accoppiato con un suo simile, presto avrebbe raggiunto la sazietà nel rapporto e si sarebbe calmato, tornando alle proprie occupazioni e provvedendo finalmente ai suoi bisogni primari.

Da quel momento, ogni essere umano iniziò a cercare la metà mancante che lo completasse, tentando di ritrovare l’unione di un tempo un tempo.

Analisi

Il mito degli androgini si rivela molto utile per spiegare la sessualità al tempo degli antichi greci ed il valore che essi attribuivano alla relazione erotica, nonché la visione rispetto all’omosessualità, addirittura esaltata da Aristofane in un passaggio del mito. Questioni considerate di secondo piano rispetto al messaggio di cui si fa portatore l’episodio del Simposio di Platone, che propone una visione diversa dell’amore rispetto a quella dell’autore e che fa di Eros il desiderio di colmare una mancanza, quella dell’altra metà, necessaria per sentirsi nuovamente completi ed appagati.

[…] Mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell’Eros. Se se ne rendessero conto, certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici, e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è oggi, quando nessuno di questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico degli uomini: viene in loro soccorso, porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini la più grande felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, e voi fate altrettanto con gli altri. […]" (Aristofane)

Ciascun individuo è una frazione di quello che era originariamente e il suo innato desiderio è quello di ritrovare la sua completezza. Per ogni persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare e che non necessariamente è del sesso opposto: la sua inclinazione infatti dipenderà da che tipo di androgino era in passato, se bisessuale o composto da due metà dello stesso sesso. L’attrazione verso la metà mancante, che peraltro non è vincolata allo scopo della procreazione, non si esaurisce neanche nell’attrazione sessuale, che non avrebbe la forza di essere da sola alla base della felicità, c’è qualcosa di più, che le due metà intuiscono con immediatezza, ma che non sanno esprimere, e che pure si sublimerebbe nel desiderio di fondersi l’una all’altra per l’eternità. Non più due, ma un’anima sola, per tornare alla forma originaria, quando era un tutto. E la ricerca di questo tutto non è altro che l’amore.

[…] Eros, nostra guida e nostro capo. A lui nessuno resista – perché chi resiste all’amore è inviso agli dèi. Se diverremo amici di questo dio, se saremo in pace con lui, allora riusciremo a incontrare e a scoprire l’anima nostra metà, cosa che adesso capita a ben pochi […]". (Aristofane)