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Il mito di Pan

Metà umano e metà capra, è una figura di spicco nella mitologia greca, alla base di fondamentali studi psicologici sull’inconscio collettivo. Perché la sua ‘presenza’ alberga in tutti noi

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Sono numerose le leggende che narrano del dio Pan e della sua origine, ma la più accreditata è la versione di Erodoto, secondo la quale nacque dall’unione tra Hermes e la ninfa Penelope, figlia di Driope, che subito dopo averlo messo al mondo lo abbandonò per il suo aspetto mostruoso, più simile ad un animale che ad un essere umano.

Corna ircine gli sovrastano la fronte, incurvandosi al di sopra dell’incolta capigliatura o del cranio spelacchiato; orecchie d’asino, mobili e ricoperte di fine calugine, sporgono ai lati della testa; occhi di pantera fiammeggiano al di sotto dei curvi sopraccigli. Tra gli alti zigomi sporgenti il naso è grinzoso e adunco, con larghe volute intorno alle narici dilatate; la bocca è larga, le labbra cascanti, il mento prominente al di sotto della barbetta appuntita. Dal collo alla vita, se si eccettua la coda, le fattezze sono quelle di un uomo con larghe spalle irsute e braccia vigorose, ma la parte inferiore del corpo è vellosa, le membra in tutto simili a quelle di un caprone, con le zampe sottili e nervose e i piedi provvisti di uno zoccolo spaccato”.

Hermes, impietosito, decise di portare il piccolo Pan nell’Olimpo, dove gli dei, divertiti anziché inorriditi dal suo aspetto lo accolsero con benevolenza, in particolare Dioniso, che ne fece il suo compagno prediletto di scorribande tra boschi e campagne. Nasce così il mito di Pan.

Il mito

Il nome di Pan deriverebbe dal greco antico “Πάν”, “tutto”. Dio dei pascoli, della vegetazione, della forza vitale della natura, della fertilità, ma anche dell’istinto primitivo e della paura, era dotato di un urlo spaventoso, capace di terrorizzare anche i più coraggiosi. Di qui l’eredità dell’espressione “timor panico” e della reazione di panico a livello di inconscio collettivo.

Generalmente gioviale, Pan appare come un essere selvaggio e sgraziato, ma dotato di una prodigiosa agilità, grazie alla quale si arrampica con destrezza sulle rocce e risale senza fatica le pendici dei monti, dalle quali diffonde il terrore tra le valli con il suo agghiacciante urlo. Veloce nella corsa, percorre in lungo e in largo la boscosa Arcadia, spesso accompagnato da un corteo di ninfe danzanti. Pan è anche considerato il “dio del riposo meridiano”, perché colto improvvisamente dalla necessità di solitudine, era solito trascorrere le ore più calde del giorno al fresco delle fronde e delle sorgenti, lasciandosi cullare dai suoni della foresta.

Noto per il suo incontrollabile impulso sessuale, inseguiva con la stessa passione ninfe e giovinetti, ma all’occorrenza anche gli animali delle greggi. Infaticabile seduttore, fu amante di Eco, dalla quale, prima che finisse ossessionata da Narciso, ebbe due figlie, Iunge e Iambe, di Eufeme, nutrice delle muse, da cui ebbe Croto, il dio dell’applauso, di Pitis e anche della dea Artemide, ma la storia più nota è quella che riguarda la ninfa Siringa.

Il flauto di Pan

Siringa era una splendida ninfa dell’acqua, figlia del dio dei fiumi Ladone, che un giorno, tornando dalla caccia, ebbe la sventura di incrociare la strada di Pan, che come sempre si aggirava tra i boschi. Il dio, colpito dalla sua bellezza, la insegui per possederla e Siringa, giunta in prossimità del fiume, pregò le Naiadi di essere trasformata per sfuggire alla violenza. Così quando Pan la raggiunse, anziché la ninfa, si ritrovò ad abbracciare una canna palustre, che attraversata dal vento, emise un suono così delicato che il dio decise di coglierla e farne il caratteristico strumento musicale con il quale verrà da allora in poi rappresentato Pan, un particolare flauto, detto anche siringa.

Pan che, mentre tornava dal colle Liceo, la vide, col capo cinto d’aculei di pino, le disse queste parole…». E non restava che riferirle: come la ninfa, sorda alle preghiere, fuggisse per luoghi impervi, finché non giunse alle correnti tranquille del sabbioso Ladone; come qui, impedendole il fiume di correre oltre, invocasse le sorelle dell’acqua di mutarle forma; come Pan, quando credeva d’aver ghermito ormai Siringa, stringesse, in luogo del suo corpo, un ciuffo di canne palustri e si sciogliesse in sospiri: allora il vento, vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile a un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: «Così, così continuerò a parlarti», disse e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, mantenne allo strumento il nome della sua fanciulla” (Ovidio, Metamorfosi)

La lotta contro Tifone

Un altro episodio che vide Pan protagonista, fu quello della lotta tra gli dei e Tifone, un mostro generato da Gea e Tartaro per contendere a Zeus il dominio sul mondo. Tifone inizialmente sembrò avere la meglio: gli dei dell’Olimpo, terrorizzati, fuggirono in Egitto, assumendo le forme più svariate, da Zeus che si fece Ariete, ad Afrodite che si trasformò in un pesce, da Apollo che si tramutò in un corvo, a Dioniso che prese le fattezze di una capra. Anche Pan camuffò la parte inferiore del suo corpo, diventando metà pesce e nascondendosi in un fiume. L’unica a non scappare di fronte a Tifone fu Atena, che convinse il padre Zeus a battersi con il mostro, che però recise i tendini di mani e piedi del capo degli dei, riducendolo in catene in una grotta della Cilicia. Fu a questo punto che Pan entrò in scena, spaventando il mostro con il suo famigerato urlo, consentendo a Hermes di liberare Zeus, che recuperati i suoi tendini si mise all’inseguimento di Tifone a bordo di un carro trainato da cavalli alati e raggiunto il mostro nei pressi della Sicilia, lo finì con i suoi fulmini, seppellendolo sotto l’Etna. Quindi il padre degli dei premiò il coraggio di Pan, trasformando il suo aspetto ibrido di pesce e capra in una costellazione, quella del Capricorno.

La morte di Pan

Il mito di Pan, caso unico tra gli dei dell’Olimpo, si conclude con la notizia della sua morte. A darne l’annuncio è Plutarco, che racconta la storia del marinaio Tamo, marinaio di un vascello romano di ritorno verso le coste italiche dal mar Egeo. Di colpo il vento si fermò, non vi era più nessuna brezza a gonfiare le vele. E nel silenzio si udì una voce gridare “Pan il Grande è morto”. A quella notizia da ogni parte scoppiarono pianti, gemiti e singhiozzi e il dolore per la scomparsa si propagò su tutta la terra e assieme a Pan sparirono anche le ninfe, le naiadi, i satiri e gli spiriti della natura…