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Il mito di Er

Nel libro X della Repubblica, con il racconto del soldato ritornato dalla morte, Platone illustra la sua teoria sul destino e su come sia strettamente collegato all’anima dell’uomo

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Da sempre il concetto di destino è dibattuto dagli uomini, con differenti interpretazioni sul suo significato. L’accezione più comune è però quella secondo la quale viene percepito come un qualcosa che sfugge al nostro controllo, manifestandosi inesorabilmente e lasciandoci impotenti. Non per Platone, che ne parla soprattutto nel libro X della Repubblica, mettendo in stretta connessione il destino e l’anima, attraverso il racconto del mito di Er, uno dei più famosi del filosofo, in cui narra di un soldato ucciso in battaglia e tornato dalla morte per raccontare ai compagni la sua incredibile esperienza nell’aldilà. Un racconto che ha influenzato per secoli la metafisica occidentale.

L’immortalità dell’anima

Il racconto di Er prende le mosse dalla ben più ampia teoria platonica dell’immortalità dell’anima. Platone infatti credeva nella metempsicosi, dottrina inizialmente attribuita a Pitagora, ma già diffusa nei culti orifici. Secondo questa concezione, l’anima, che è composta della stessa sostanza delle idee, al momento della morte fisica, compie una trasmigrazione, passando ad abitare un altro corpo. Un passaggio però non necessariamente immediato, come spiegato nel mito di Er, tramite il quale scopriremo nel dettaglio quel che accade nel mezzo.

Il racconto di Er

Er è un valoroso soldato della Panfilia, una regione Mediterranea dell’Asia Minore, che resta ucciso in battaglia e il cui corpo viene ritrovato intatto una decina di giorni dopo tra i cadaveri putrefatti degli altri caduti. Quando, dopo ulteriori due giorni, è il turno della salma di Er di essere cremata sulla pira, questi torna in vita, ma lo fa portando con sé la memoria della sua incredibile esperienza nell’aldilà. E quel che racconta ai suoi compagni è oltre ogni immaginazione.

Uscita dal corpo, la sua anima si era accodata alle altre, procedendo fino a ritrovarsi di fronte a due voragini contigue, una in cielo e una in terra, tra esse sedeva la giuria, che anima dopo anima emanava la sua sentenza, apponendola al collo dei giusti e sulle spalle degli ingiusti. Ai primi veniva poi indicato di imboccare la voragine in alto a destra, mentre in basso a sinistra sarebbero dovuti scendere i secondi.

Quindi Er aggiunge quello che sembra un particolare, ma che in realtà costituisce la sua missione: quando era venuto il suo turno di presentarsi davanti ai giudici, questi gli avevano ingiunto di prestare attenzione a tutto quello che avrebbe visto e sentito, perché poi lo avrebbe dovuto raccontare.

Ecco allora che Er nota che nelle voragini non si entra solamente, perché è un continuo fuoriuscire di anime, alcune pure e luminose, altre sporche e impolverate. Sia le une che le altre hanno compiuto un viaggio di espiazione lungo mille anni, nel corso del quale quelle pie sono state ricompensate per le loro azioni giuste in vita, mentre quelle dannate hanno pagato con dolori dieci volte superiori a quelli provocati, per punire ogni ingiustizia compiuta durante il loro soggiorno terreni.

Tutti i castighi hanno una durata temporanea, eccezion fatta per i tiranni, che vanno in contro ad un fine pena mai, la cui alternativa è anche peggiore. Er racconta infatti di aver sentito un’anima chiedere ad un’altra se avesse notizie del grande Ardieo, che Er conosceva bene per essere stato mille anni prima un tiranno della sua città, Panfilia. La risposta è perentoria: “Non tornerà mai più”. Evidentemente anche lui, come altri tiranni che non avevano accettato la condanna, aveva tentato di uscire dalla voragine, addestrata però a riconoscere gli “ergastolani” e ad emettere una sorta di muggito di allarme, in modo che i fuggitivi venissero immediatamente catturati, scorticati e trascinati nel Tartaro, l’inferno.

“La responsabilità è di chi sceglie”

Passati sette giorni in quel non-luogo, le anime si rimettono in cammino e dopo altri quattro giorni giungono in prossimità di un arcobaleno che attraversa tutto il cielo, alle cui estremità è sospeso un fuso, che gira tra le ginocchia di Ananke, la divinità che rappresenta il destino. A tenere in equilibrio il fuso del destino, un contrappeso con otto vasi concentrici, su ciascuno dei quali altrettante sirene emettono un’unica nota e, ruotando, producono armonia, rappresentando gli otto cieli della cosmologia antica, stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, Sole e Luna.

Attorno ad Ananke siedono in cerchio, ad uguale distanza, sui rispettivi troni, le tre figlie, le Moirai, conosciute ai latini come Parche. Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, il futuro.

Lachesi, Moira del passato, è la prima ad accogliere le anime, che vengono messe in fila da un araldo, il quale, dopo aver preso dalle ginocchia della divinità dei “bion paradéigmata”, ossia dei modelli di vite, annuncia:

Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke: anime, che vivete solo un giorno comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte. Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile

Dunque, se il dàimon, nella mitologia greca, rappresenta la creatura divina che presiede alla sorte di ciascuno, quel che dichiara l’araldo significa che ciò che siamo, dipende dalle scelte che facciamo.

Non ha padroni la virtù; quanto più di ciascuno di voi l’onora tanto più ne avrà; quanto meno l’onora, tanto meno ne avrà

“Proprio qui si annida ogni rischio per l’uomo”

Il racconto di Er prosegue dettagliato e svela che l’ordine con cui le anime potranno scegliere il loro dàimon sarà esito di un sorteggio. Tanto è vasta però la proposta di paradigmi di vita, che anche gli ultimi estratti avranno la possibilità di compiere una scelta dignitosa, se assennata. Vite di animali, di uomini, di donne, di tiranni, di persone famose e di successo, oppure oscure e fallimentari, non esiste alcuna disposizione, perché ogni anima che sceglie, cambia nel momento stesso in cui lo fa. L’importante è prendere la decisione giusta perché, narra lo stesso Er, dopo potrebbe essere troppo tardi. Come nel caso della prima anima che, venuta dal cielo dove aveva praticato la virtù per mera abitudine, sceglie senza esitazione una vita da tiranno, per accorgersi un attimo dopo che prevede dolori e sciagure, finendo per prendersela con il destino. Le anime che provengono dalla voragine della terra, viceversa, compiono scelte più ponderate, avendo sperimentato direttamente le conseguenze di una vita costellata di peccati. Inoltre, nota Er, la maggior pare delle anime tende a scegliere basandosi sull’esperienza della vita precedente, così se Agamennone decide di diventare un’aquila, l’avventuriero Ulisse, stanco del suo girovagare, opta per una vita anonima e tranquilla da privato cittadino.

Il ritorno

Una volta effettuata la scelta, le anime vengono passate in rassegna dalle Parche, prima Lachesi, da cui ottengono ciascuna il suo dàimon, poi Cloto che tesse le fila del suo destino, infine Atropo, che lo rende inalterabile. Quindi sono condotte nell’afosa pianura del Lete, dov’è il trono di Ananke, e lì si accampano lungo le sponde del fiume Amelete, la cui acqua non può essere contenuta in nessun vaso, ma dalla quale tutte, tranne Er, vengono obbligate a dissetarsi. Più ne berranno e meno memoria avranno delle vite precedenti. Così il soldato si risveglia sulla pira funeraria, serbando il ricordo di tutto ciò a cui ha assistito.

Ci toccherà, insomma, felicità quaggiù sulla terra e nel viaggio millenario che abbiamo illustrato