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Purgatorio, Canto V: Bonconte da Montefeltro

Nel secondo balzo dell'Antipurgatorio Dante e Virgilio incontrano i morti per forza e si trattengono, oltre che con il generale ghibellino, anche con Iacopo del Cassero e Pia de' Tolomei

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Il rimprovero di Virgilio e le anime dei morti per forza

Lasciato alle spalle il primo balzo dell’Antipurgatorio, un’anima si accorge che Dante proietta un’ombra e informa gli altri che c’è un uomo vivo. Il poeta fiorentino si volta e vede che tutti lo stanno indicando, quindi Virgilio lo invita a non perder tempo per le chiacchiere altrui e lo esorta a seguirlo senza ascoltare nessuno, come una torre che resta salda nonostante i venti: l’uomo che si perde in troppi pensieri, infatti, non raggiungerà mai l’obiettivo che si è prefissato. Dante accetta il rimprovero e, col viso cosparso di rossore, si rimette al seguito del proprio maestro. Nel frattempo, lungo un ripiano roccioso trasversale alla montagna, alcuni spiriti vengono loro incontro, mentre intonano il ‘Miserere’. Anch’essi, quando notano che Dante proietta un’ombra, emettono un’esclamazione di stupore e, due di loro, si avvicinano per avere spiegazioni in merito. Virgilio, allora, li informa che il suo discepolo è vivo, in carne ed ossa, e li invita a riferire il messaggio ai loro compagni in quanto ciò potrà rivelarsi particolarmente utile. Le anime, quindi, corrono su per il balzo, rapidissime, quasi fossero stelle cadenti nel cielo notturno o lampi al calar del sole, e raggiungono in fretta i due poeti insieme ad altri penitenti. Virgilio si raccomanda con Dante affinché non si dilunghi, dato il gran numero di anime, e di limitarsi ad ascoltare le loro preghiere, senza fermarsi. Gli spiriti lo seguono, implorandolo di rallentare il proprio cammino e invitandolo a prestar loro attenzione, nella speranza che possa aver conosciuto qualcuno quando era ancora in vita. Affermano, inoltre, di essere tutti morti per forza e di essere stati peccatori fino all’ultima ora, quando si pentirono delle loro colpe e morirono in grazia di Dio. Dante li osserva uno ad uno, senza notare volti familiari: tuttavia, li invita a parlare e, se potrà fare qualcosa per loro, sarà ben lieto di esaudire ogni loro richiesta in nome di quella pace di cui egli stesso è alla ricerca.

I colloqui con Iacopo del Cassero, Bonconte da Montefeltro e Pia de’ Tolomei

Uno degli spiriti, Iacopo del Cassero, gli risponde di fidarsi di lui senza bisogno di giuramenti e lo supplica, se mai si recherà nella Marca Anconetana, di implorare a sua volta i suoi conoscenti a Fano affinché essi preghino per abbreviare la sua permanenza nell’Antipurgatorio. Seppur originario della ‘Città della Fortuna’, andò incontro alla morte – per mano di Azzo d’Este – in territorio padovano dove, al contrario, era convinto di essere al sicuro: se fosse fuggito verso la Mira, sul Brenta, quando fu raggiunto dai suoi assassini ad Oriago, sarebbe ancora vivo, invece rimase impigliato nella palude e cadde a terra vedendo spargersi il suo sangue. Dopodiché, prende la parola un’altra anima, che augura al poeta fiorentino di raggiungere la sommità del monte e, al tempo stesso, lo prega di aiutarlo. Si presenta come Bonconte da Montefeltro, la cui vedova non si cura di lui sulla Terra. Dante gli chiede per quale motivo il suo corpo non fu mai ritrovato dopo la sua morte nella battaglia di Campaldino e il penitente risponde che, ai piedi del Casentino, scorre un fiume di nome Archiano, che nasce nell’Appennino e sfocia nell’Arno, dove egli arrivò con la gola squarciata, a piedi e sanguinante. Prima di morire, però, si pentì nominando Maria e, dopo il trapasso, la sua anima fu presa da un angelo, mentre un diavolo protestava perché, a causa del suo tardivo pentimento, non poteva portarlo all’Inferno. Il demone, allora, infierì sul suo corpo: Bonconte spiega che nell’atmosfera si raccoglie l’umidità che si trasforma in pioggia a causa del freddo, per cui il diavolo usò il suo potere per scatenare una terribile tempesta che coprì di nebbia tutta la pianura, riversando una gran quantità d’acqua a terra. Il suolo non riuscì ad assorbirla tutta, così i fossati, riempiti, confluirono nei fiumi e le acque dell’Archiano trascinarono il suo corpo nell’Arno, sciogliendo il segno della croce che lui aveva fatto in punto di morte: il suo cadavere, pertanto, venne seppellito sul fondale del fiume. Non appena Bonconte termina il proprio racconto, prende la parola l’anima di una penitente. La donna chiede a Dante, quando sarà tornato nel mondo dei vivi e si sarà adeguatamente riposato del suo lungo viaggio, di ricordarsi di lei: si chiama Pia de’ Tolomei, nacque a Siena e morì violentemente in Maremma, come ben sa l’uomo che l’aveva chiesta in sposa e le aveva regalato l’anello nuziale.