Canto V del Purgatorio di Dante: analisi e commento
Il Canto 5 del Purgatorio si colloca nella fase iniziale dell’ascesa di Dante e Virgilio lungo il monte della purificazione. Dopo aver incontrato le anime negligenti del canto precedente, i due poeti proseguono nel primo girone del Purgatorio, dedicato a coloro che si sono pentiti in extremis, ossia in punto di morte. Questo canto rappresenta un momento particolarmente denso di umanità e dolore, in cui la narrazione si concentra su alcune figure emblematiche, segnate da un passato violento ma redente dal pentimento ultimo.
Le anime che Dante incontra sono vittime di morte violenta, sorprese dalla fine prima di poter compiere un percorso spirituale completo, ma che hanno saputo rivolgere il cuore a Dio nel momento decisivo. Attraverso il racconto delle loro storie, il canto mette in scena il dramma della colpa e della misericordia, mostrando come la speranza non venga mai negata a chi si affida, anche all’ultimo istante, alla grazia divina.
- La pena delle anime morte violentemente pentite
- La figura di Jacopo del Cassero: la preghiera come ponte
- Buonconte da Montefeltro: il potere del pentimento estremo
- La storia tragica di Pia de’ Tolomei: dolore e discrezione
- Salvezza, memoria e grazia
La pena delle anime morte violentemente pentite
L’inizio del canto è segnato da un gesto umano e simbolico: Dante si volta, attirato dalle voci commosse delle anime che lo hanno riconosciuto come corpo vivo. Questo dettaglio sottolinea il contrasto tra la sua condizione terrena e quella delle anime purganti, e allo stesso tempo rende evidente la curiosità e l’attesa con cui i penitenti accolgono ogni possibile occasione di intercessione e aiuto.
Le anime che abitano questo tratto del monte sono accomunate da una morte violenta, ma non sono dannate perché, nel momento estremo, hanno invocato il nome di Dio. La loro pena è l’attesa, perché il pentimento tardivo ha bisogno di essere purificato dal ritardo con cui è stato espresso.
È il peso della negligenza spirituale che devono espiare, e il monte stesso, nella sua forma e nel suo ordine, diventa lo spazio in cui si rimedia al tempo perduto. La loro posizione all’inizio del cammino purgatoriale riflette una gradualità della colpa, che non cancella la salvezza, ma ne ritarda l’effetto.
La figura di Jacopo del Cassero: la preghiera come ponte
Il primo personaggio a parlare è Jacopo del Cassero, figura storica legata alle lotte politiche del XIII secolo. Colpito a morte da nemici a tradimento, Jacopo racconta la sua fine senza rancore, ma con un profondo senso di rimpianto e speranza.
La sua preoccupazione principale non è la vendetta, bensì la possibilità che le sue preghiere siano sostenute da quelle dei vivi. Egli chiede a Dante, in quanto uomo ancora in vita, di farsi intermediario presso i suoi cari affinché si ricordino di lui nelle orazioni. Questa richiesta rivela uno degli elementi centrali del Purgatorio: la forza della preghiera dei vivi per abbreviare la pena delle anime.
Non si tratta di una semplice narrazione di morte, ma di un grido silenzioso che si affida alla solidarietà spirituale tra mondo terreno e mondo ultraterreno. Jacopo diventa così simbolo della comunicazione interrotta ma ancora possibile tra i due mondi, e mostra quanto anche un atto apparentemente piccolo come una preghiera possa avere conseguenze eterne.
Buonconte da Montefeltro: il potere del pentimento estremo
Segue il racconto di Buonconte da Montefeltro, altro personaggio storico la cui vicenda è strettamente legata alla guerra e alla morte improvvisa. Buonconte narra di essere caduto durante la battaglia di Campaldino, trafitto a morte e abbandonato nel fiume.
Ma proprio in quel momento, ormai vicino alla fine, riesce a pronunciare con le ultime forze il nome di Maria, aprendo così il suo cuore a un pentimento sincero, anche se tardivo. Il suo racconto è attraversato da un’intensità lirica e spirituale straordinaria: l’agonia, il corpo trascinato dalle acque, il contrasto tra l’anima salvata dall’angelo di Dio e il corpo conteso da un demonio rabbioso. In questa scena, Dante rappresenta con grande forza poetica la lotta tra bene e male, tra giustizia e misericordia, che si consuma nel momento della morte.
Il fatto che Buonconte sia salvo, nonostante una vita segnata dal conflitto, dimostra che la grazia può intervenire anche nell’ultimo respiro, se accompagnata da un atto di fede autentica. È un messaggio di speranza radicale, che non cancella la responsabilità morale, ma sottolinea l’onnipotenza del perdono.
La storia tragica di Pia de’ Tolomei: dolore e discrezione
Infine, con un tono completamente diverso, si presenta Pia de’ Tolomei, una figura femminile avvolta nel mistero e nella dolcezza dolorosa. Pia si limita a poche parole, pronunciate con garbo e discrezione, chiedendo a Dante di ricordarla una volta tornato tra i vivi.
Non racconta i dettagli della sua morte, che fu violenta e probabilmente causata dal marito, ma affida tutto il suo dolore a una frase intensa e composta, che lascia intravedere una sofferenza profonda ma anche una dignità serena. La sua presenza chiude il canto con una nota intima e umana, che contrasta con le tensioni delle storie precedenti. Pia rappresenta la voce sommessa del dolore femminile, spesso invisibile e dimenticato, ma capace di lasciare una traccia eterna.
Il suo volto, quasi evanescente nella narrazione, resta impresso come simbolo di un’umanità ferita ma redenta, che non cerca vendetta ma solo memoria e compassione.
Salvezza, memoria e grazia
Il Canto 5 del Purgatorio si configura come un canto della memoria, della misericordia e della possibilità offerta anche a chi si è svegliato tardi alla consapevolezza spirituale. Le tre anime protagoniste sono unite non solo dalla morte violenta, ma soprattutto dalla scelta di rivolgersi a Dio nel momento estremo.
Il canto mostra che, nel Purgatorio, la giustizia divina non è cieca, ma tiene conto dell’intenzione, della verità del cuore, della sincerità anche tardiva. Al tempo stesso, viene ribadito il valore fondamentale della preghiera dei vivi, che può abbreviare le pene e accorciare il tempo dell’attesa.
Attraverso i toni diversi delle tre voci – il fervore di Jacopo, la passione di Buonconte, la dolcezza di Pia – Dante costruisce un quadro ricco e variegato della speranza che non muore, anche di fronte alla morte. È un canto che invita alla riflessione profonda, sulla responsabilità della propria salvezza ma anche sulla solidarietà che lega tutti gli esseri umani, in vita e oltre la vita.