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Canto XXIII del Purgatorio di Dante: riassunto e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto ventitreesimo del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nella settima cornice del monte, quella dove si purificano le anime colpevoli di gola, uno dei peccati legati al desiderio eccessivo dei piaceri sensibili. Si tratta di un canto profondamente segnato dall’affettività e dal tema del riconoscimento reciproco, grazie all’incontro commovente tra Dante e Forese Donati, amico intimo del poeta nella vita terrena. Questo episodio è centrale nell’economia emotiva e narrativa della cantica, poiché introduce un momento di profonda umanità e dolcezza, in netto contrasto con la durezza delle pene purgatoriali.

Accanto a questa dimensione personale, il canto affronta anche una riflessione ampia sul corpo e l’anima, sulla giustizia divina e sul rapporto tra penitenza e redenzione, costruendo un intreccio di temi che si fondono armoniosamente nel dialogo tra i due protagonisti. Il tono è toccante, intimo, pacato, e segna un rallentamento nel ritmo della narrazione, permettendo al lettore di concentrarsi sulla dimensione relazionale e sulla trasformazione spirituale che la purificazione comporta.

La pena dei golosi e il valore simbolico della fame

La cornice dei golosi è descritta da Dante con una forza simbolica notevole. Le anime dei penitenti sono emaciate, magrissime, scheletriche, ridotte a una condizione di estremo deperimento fisico. Il loro tormento consiste nel vedere davanti a sé alberi carichi di frutti succosi e profumati, dai quali proviene anche l’acqua più fresca e limpida, ma non poterne mai gustare né toccare nulla. Il desiderio sensibile, che in vita era stato coltivato in maniera disordinata, ora si trasforma in uno stimolo al pentimento e alla purificazione.

L’immagine della fame e della sete come punizione per i golosi è un contrappasso perfetto: l’anima, privata di ciò a cui aveva dato troppa importanza, è costretta a riscoprire i veri valori spirituali. Questa fame non è solo fisica, ma anche morale, e rappresenta il bisogno di giustizia, di bellezza, di pienezza che può essere saziato solo nella contemplazione di Dio.

Le anime che Dante incontra sono dunque affamate non solo di cibo, ma di verità e salvezza, e la loro magrezza indica la rinuncia al superfluo e la tensione verso l’essenziale. Il paesaggio stesso, dominato da questi alberi che ricordano quelli dell’Eden, evoca il tema della caduta originaria e della necessità di ritrovare l’ordine perduto, non attraverso il piacere, ma mediante la disciplina e la purificazione interiore.

L’incontro con Forese Donati: riconoscimento e affetto

Al centro del canto si colloca uno degli episodi più toccanti del Purgatorio: l’incontro tra Dante e Forese Donati, che riconosce il poeta mentre questi si aggira tra le anime purganti. Il riconoscimento è immediato e carico di emozione. Forese, emaciato dalla fame, si rivolge a Dante con affetto, sorpresa e gioia, esprimendo la sua meraviglia nel vedere un uomo ancora vivo attraversare le cornici del monte.

Questo incontro è tanto più significativo se si considera il passato burrascoso tra i due: in vita, Dante e Forese si erano scambiati sonetti satirici anche molto aspri, ma il loro legame era profondo e sincero. Ora, nel Purgatorio, ogni attrito è superato, e rimane solo l’amicizia che si rinnova nella luce della carità. Il dialogo tra i due è denso di nostalgia, ma anche di speranza: Forese racconta la propria morte, la propria penitenza, e soprattutto ringrazia Dante per le preghiere ricevute, che hanno accorciato il suo tempo di purgazione. Questo dettaglio rivela uno degli aspetti fondamentali della visione dantesca: il potere delle preghiere dei vivi nel favorire la purificazione delle anime.

La comunione tra terra e aldilà è continua, e il legame tra gli affetti non si spezza con la morte, ma si trasforma in un mutuo aiuto spirituale. Il loro scambio è profondo, segnato da rispetto, tenerezza e da una gioia composta che nasce dalla consapevolezza del cammino condiviso verso Dio.

La critica alla corruzione morale di Firenze

All’interno del dialogo con Forese, Dante inserisce una critica aspra alla Firenze del suo tempo, tema che ricorre più volte nell’opera. Forese, nel commentare la propria purificazione, si lascia andare a una riflessione sul comportamento dissoluto della propria moglie, Nella, la quale però – con sua sorpresa – ha mostrato una fede e una dedizione tali da aver ottenuto il favore divino.

Questo passaggio permette a Dante di sottolineare come la grazia divina possa manifestarsi anche dove meno ci si aspetta, e come la vera nobiltà d’animo risieda nelle opere e nella fede, non nel lignaggio o nel prestigio sociale. Subito dopo, Forese denuncia il degrado morale della sua città, in particolare l’immodestia delle donne fiorentine, che si espongono in pubblico con abiti sfarzosi e atteggiamenti vanitosi. È una critica morale che si estende a tutta la società cittadina, accusata di aver smarrito il senso del pudore, dell’umiltà e del rispetto.

Attraverso le parole di Forese, Dante costruisce un quadro inquietante di una Firenze corrotta, in cui il culto dell’apparenza ha sostituito la ricerca del bene. La satira si fa invettiva profetica, e il tono affettuoso del dialogo cede il passo, per un momento, a una riflessione amara sul presente. Tuttavia, anche questa denuncia non è mai fine a se stessa, ma nasce da un desiderio autentico di riforma e redenzione, coerente con lo spirito del Purgatorio.

La dimensione del corpo trasfigurato e la tensione spirituale

Un altro elemento centrale del canto è la riflessione sul rapporto tra corpo e anima, affrontato in modo implicito ma profondo attraverso la descrizione dei corpi emaciati dei golosi. Le anime, pur essendo incorporee, assumono un’apparenza visibile che riflette la loro colpa e il loro stato di purificazione. Forese, come gli altri penitenti, appare consumato dalla fame, ma questa condizione non è solo simbolica: è anche manifestazione della verità interiore.

Il corpo spirituale nel Purgatorio non è più il corpo terreno, ma mantiene una funzione rappresentativa, diventa specchio della coscienza. La fame che lo tormenta è segno visibile della fame di Dio, della tensione verso un bene che non è materiale ma eterno. Questo aspetto mostra come, per Dante, la salvezza non coincida con l’annullamento del corpo, ma con la sua trasfigurazione in una forma più alta, purificata dal desiderio egoistico.

Il corpo, da strumento di peccato, diventa veicolo di redenzione, e questa prospettiva si riflette anche nel linguaggio del canto, che alterna termini legati alla fisicità (fame, pelle, ossa) con espressioni di forte carica spirituale (grazia, carità, salvezza). La poesia di Dante riesce così a rendere visibile l’invisibile, a raccontare l’anima attraverso le immagini del corpo, creando un legame indissolubile tra la dimensione terrena e quella celeste.