Canto XXIV del Purgatorio di Dante: personaggi e riassunto
Il canto ventiquattresimo del Purgatorio si colloca nella settima cornice del monte, dedicata alla purificazione dei golosi, coloro che in vita hanno ceduto al piacere smodato del cibo e della bevanda, anteponendo il godimento sensibile al dominio della ragione e alla misura morale. In questo contesto, Dante prosegue il suo cammino insieme a Virgilio e Stazio e incontra un altro personaggio significativo del suo passato: Bonagiunta Orbicciani da Lucca, poeta del Duecento, appartenente alla scuola “siculo-toscana” e tra i rappresentanti della poesia stilnovistica più rozza e convenzionale. L’incontro tra Dante e Bonagiunta offre l’occasione per una riflessione sulla poetica e sulla lingua, in particolare sulla novità rappresentata dal dolce stil novo, movimento letterario di cui Dante si proclama portavoce.
Questo canto unisce così temi morali e spirituali a una profonda riflessione metapoetica, diventando uno dei momenti chiave per comprendere la concezione dantesca dell’arte poetica come strumento di elevazione spirituale e non semplice gioco stilistico. A questo si aggiunge la prosecuzione del tema della fame come desiderio non solo corporale, ma soprattutto spirituale, che caratterizza profondamente la condizione delle anime purganti.
- La pena dei golosi e la fame di giustizia
- L’incontro con Bonagiunta e la poetica del dolce stil novo
- La tensione spirituale e la fame di verità
- Il valore della parola e l’ascesa come atto di fede
La pena dei golosi e la fame di giustizia
La cornice della gola è ancora lo scenario del canto, e Dante insiste sulla descrizione della sofferenza che le anime devono affrontare per purificarsi da un desiderio terreno che ha alterato il loro rapporto con la misura e la ragione. Le anime appaiono deperite, consumate dalla fame e dalla sete, e continuamente tentate dalla vista di alberi carichi di frutti e di acqua limpida, che rimangono però inaccessibili. È un contrappasso altamente simbolico: chi in vita ha dato troppa importanza alla soddisfazione sensibile, ora deve imparare a desiderare senza possedere, a domare l’istinto attraverso la privazione, a purificare il desiderio.
La fame che tormenta queste anime non è solo un castigo, ma un mezzo pedagogico, una forma di educazione interiore. Essa diventa metafora del desiderio più profondo che l’uomo può provare: la fame di giustizia, di verità, di Dio. In questa cornice, la sofferenza ha una funzione salvifica e rigeneratrice: non spegne il desiderio, ma lo riordina, lo ridireziona verso il bene autentico. Il corpo, ridotto all’essenziale, non è più ostacolo ma alleato dell’anima, nel cammino di purificazione che conduce alla beatitudine. Questa tensione tra privazione e attesa, tra desiderio e rinuncia, costituisce l’orizzonte spirituale in cui si colloca l’incontro con Bonagiunta.
L’incontro con Bonagiunta e la poetica del dolce stil novo
Nel cuore del canto, Dante incontra Bonagiunta da Lucca, che lo riconosce e gli si rivolge con deferenza, stupore e interesse. Bonagiunta è una figura significativa per la riflessione letteraria dantesca, in quanto rappresenta una poetica ormai superata, legata a un uso convenzionale della lirica amorosa, centrata su formule stereotipate e su un concetto dell’amore puramente terreno. Il dialogo tra i due è breve ma incisivo, e ruota attorno a un’unica domanda: cosa distingue la poesia di Dante da quella degli altri poeti, compreso lo stesso Bonagiunta?
Dante risponde in modo semplice ma radicale: la sua poesia nasce da un’esperienza interiore autentica, da un “dettar d’amore” che sgorga direttamente dal cuore, ispirato da un amore nobilitante e orientato al bene. Questa è l’essenza del dolce stil novo, un nuovo modo di intendere l’amore e la poesia, in cui l’esperienza amorosa non è fine a sé stessa, ma diventa via di conoscenza, percorso spirituale, movimento dell’anima verso Dio. Bonagiunta, con umiltà, riconosce la superiorità di questa visione, ammette il proprio limite e saluta in Dante il vero poeta dell’amore spirituale.
Questo scambio ha una forza straordinaria: non è solo un confronto tra due scuole poetiche, ma una rivelazione morale e culturale. Dante non si limita a esporre una teoria, ma la incarna con la propria vita e con la propria opera. La poesia, nel suo nuovo modello, diventa strumento di elevazione, capace di purificare il desiderio e orientarlo verso il vero bene.
La tensione spirituale e la fame di verità
Il canto, pur breve nella sua struttura, è attraversato da una forte tensione spirituale, espressa non solo attraverso i dialoghi, ma anche nella descrizione del cammino dei poeti lungo la cornice. Stazio, che accompagna Dante e Virgilio, contribuisce a rendere l’atmosfera ancora più riflessiva e intima, condividendo con loro il desiderio di comprensione e di purificazione.
La presenza di questi tre personaggi, uniti dal vincolo della parola e della ricerca, rappresenta simbolicamente la comunione dei giusti, coloro che, in epoche diverse, hanno cercato la verità attraverso la poesia e la ragione. In questo contesto, la fame di cui si parla non è più legata solo al cibo, ma assume un significato esistenziale e mistico. È la fame di verità, di salvezza, di luce. Le anime che si purificano nella settima cornice sono mosse da un desiderio che non è più cieco istinto, ma tensione verso un bene superiore, che ha trasformato la carne in spirito e la debolezza in forza.
Dante mostra come il percorso di purificazione non elimini il desiderio, ma lo nobiliti, e come la vera libertà non consista nella soddisfazione immediata, ma nella capacità di attendere, di ascoltare, di trasformarsi. In questo senso, il canto è anche una meditazione sulla natura umana, sulla possibilità di cambiare, di redimersi, di riscoprire il valore profondo del limite.
Il valore della parola e l’ascesa come atto di fede
Nel finale del canto, l’atmosfera si fa più leggera e proiettata in avanti. Dopo l’incontro con Bonagiunta e il breve scambio poetico, Dante riprende il cammino con i suoi compagni. La cornice si trasforma in preparazione per l’ascesa, e il canto lascia intravedere la possibilità di proseguire verso l’ultima parte del Purgatorio, quella che culminerà con l’incontro con Beatrice e l’ingresso nel Paradiso terrestre. Ma prima di ciò, è necessario completare il percorso di purificazione, portare a termine l’espiazione della lussuria, e salire ancora un tratto del monte.
Il canto si chiude in modo semplice ma eloquente: la salita continua, e con essa la tensione del desiderio redento. In questo contesto, la parola poetica assume un ruolo decisivo. La parola è ciò che ha unito Dante, Virgilio e Stazio; è il ponte tra la memoria e la profezia, tra la terra e il cielo.
La poesia, quando è autentica, diventa atto di fede, preghiera laica, esperienza del divino. Non è un ornamento, ma una via, un esercizio di verità. Dante ha fatto della parola il suo strumento di salvezza, e in questo canto, attraverso il confronto con Bonagiunta, egli conferma che la sua voce è nuova non solo nel contenuto, ma nella direzione verso cui guarda: non più l’amore terreno, ma l’amore eterno, non più il piacere, ma la luce che illumina ogni cosa.