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Canto XXIV del Purgatorio di Dante: personaggi e riassunto

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto ventiquattresimo del Purgatorio si colloca nella settima cornice del monte, dedicata alla purificazione dei golosi, coloro che in vita hanno ceduto al piacere smodato del cibo e della bevanda, anteponendo il godimento sensibile al dominio della ragione e alla misura morale. In questo contesto, Dante prosegue il suo cammino insieme a Virgilio e Stazio e incontra un altro personaggio significativo del suo passato: Bonagiunta Orbicciani da Lucca, poeta del Duecento, appartenente alla scuola “siculo-toscana” e tra i rappresentanti della poesia stilnovistica più rozza e convenzionale. L’incontro tra Dante e Bonagiunta offre l’occasione per una riflessione sulla poetica e sulla lingua, in particolare sulla novità rappresentata dal dolce stil novo, movimento letterario di cui Dante si proclama portavoce.

Questo canto unisce così temi morali e spirituali a una profonda riflessione metapoetica, diventando uno dei momenti chiave per comprendere la concezione dantesca dell’arte poetica come strumento di elevazione spirituale e non semplice gioco stilistico. A questo si aggiunge la prosecuzione del tema della fame come desiderio non solo corporale, ma soprattutto spirituale, che caratterizza profondamente la condizione delle anime purganti.

La pena dei golosi e la fame di giustizia

La cornice della gola è ancora lo scenario del canto, e Dante insiste sulla descrizione della sofferenza che le anime devono affrontare per purificarsi da un desiderio terreno che ha alterato il loro rapporto con la misura e la ragione. Le anime appaiono deperite, consumate dalla fame e dalla sete, e continuamente tentate dalla vista di alberi carichi di frutti e di acqua limpida, che rimangono però inaccessibili. È un contrappasso altamente simbolico: chi in vita ha dato troppa importanza alla soddisfazione sensibile, ora deve imparare a desiderare senza possedere, a domare l’istinto attraverso la privazione, a purificare il desiderio.

La fame che tormenta queste anime non è solo un castigo, ma un mezzo pedagogico, una forma di educazione interiore. Essa diventa metafora del desiderio più profondo che l’uomo può provare: la fame di giustizia, di verità, di Dio. In questa cornice, la sofferenza ha una funzione salvifica e rigeneratrice: non spegne il desiderio, ma lo riordina, lo ridireziona verso il bene autentico. Il corpo, ridotto all’essenziale, non è più ostacolo ma alleato dell’anima, nel cammino di purificazione che conduce alla beatitudine. Questa tensione tra privazione e attesa, tra desiderio e rinuncia, costituisce l’orizzonte spirituale in cui si colloca l’incontro con Bonagiunta.

L’incontro con Bonagiunta e la poetica del dolce stil novo

Nel cuore del canto, Dante incontra Bonagiunta da Lucca, che lo riconosce e gli si rivolge con deferenza, stupore e interesse. Bonagiunta è una figura significativa per la riflessione letteraria dantesca, in quanto rappresenta una poetica ormai superata, legata a un uso convenzionale della lirica amorosa, centrata su formule stereotipate e su un concetto dell’amore puramente terreno. Il dialogo tra i due è breve ma incisivo, e ruota attorno a un’unica domanda: cosa distingue la poesia di Dante da quella degli altri poeti, compreso lo stesso Bonagiunta?

Dante risponde in modo semplice ma radicale: la sua poesia nasce da un’esperienza interiore autentica, da un “dettar d’amore” che sgorga direttamente dal cuore, ispirato da un amore nobilitante e orientato al bene. Questa è l’essenza del dolce stil novo, un nuovo modo di intendere l’amore e la poesia, in cui l’esperienza amorosa non è fine a sé stessa, ma diventa via di conoscenza, percorso spirituale, movimento dell’anima verso Dio. Bonagiunta, con umiltà, riconosce la superiorità di questa visione, ammette il proprio limite e saluta in Dante il vero poeta dell’amore spirituale.

Questo scambio ha una forza straordinaria: non è solo un confronto tra due scuole poetiche, ma una rivelazione morale e culturale. Dante non si limita a esporre una teoria, ma la incarna con la propria vita e con la propria opera. La poesia, nel suo nuovo modello, diventa strumento di elevazione, capace di purificare il desiderio e orientarlo verso il vero bene.

La tensione spirituale e la fame di verità

Il canto, pur breve nella sua struttura, è attraversato da una forte tensione spirituale, espressa non solo attraverso i dialoghi, ma anche nella descrizione del cammino dei poeti lungo la cornice. Stazio, che accompagna Dante e Virgilio, contribuisce a rendere l’atmosfera ancora più riflessiva e intima, condividendo con loro il desiderio di comprensione e di purificazione.

La presenza di questi tre personaggi, uniti dal vincolo della parola e della ricerca, rappresenta simbolicamente la comunione dei giusti, coloro che, in epoche diverse, hanno cercato la verità attraverso la poesia e la ragione. In questo contesto, la fame di cui si parla non è più legata solo al cibo, ma assume un significato esistenziale e mistico. È la fame di verità, di salvezza, di luce. Le anime che si purificano nella settima cornice sono mosse da un desiderio che non è più cieco istinto, ma tensione verso un bene superiore, che ha trasformato la carne in spirito e la debolezza in forza.

Dante mostra come il percorso di purificazione non elimini il desiderio, ma lo nobiliti, e come la vera libertà non consista nella soddisfazione immediata, ma nella capacità di attendere, di ascoltare, di trasformarsi. In questo senso, il canto è anche una meditazione sulla natura umana, sulla possibilità di cambiare, di redimersi, di riscoprire il valore profondo del limite.

Il valore della parola e l’ascesa come atto di fede

Nel finale del canto, l’atmosfera si fa più leggera e proiettata in avanti. Dopo l’incontro con Bonagiunta e il breve scambio poetico, Dante riprende il cammino con i suoi compagni. La cornice si trasforma in preparazione per l’ascesa, e il canto lascia intravedere la possibilità di proseguire verso l’ultima parte del Purgatorio, quella che culminerà con l’incontro con Beatrice e l’ingresso nel Paradiso terrestre. Ma prima di ciò, è necessario completare il percorso di purificazione, portare a termine l’espiazione della lussuria, e salire ancora un tratto del monte.

Il canto si chiude in modo semplice ma eloquente: la salita continua, e con essa la tensione del desiderio redento. In questo contesto, la parola poetica assume un ruolo decisivo. La parola è ciò che ha unito Dante, Virgilio e Stazio; è il ponte tra la memoria e la profezia, tra la terra e il cielo.

La poesia, quando è autentica, diventa atto di fede, preghiera laica, esperienza del divino. Non è un ornamento, ma una via, un esercizio di verità. Dante ha fatto della parola il suo strumento di salvezza, e in questo canto, attraverso il confronto con Bonagiunta, egli conferma che la sua voce è nuova non solo nel contenuto, ma nella direzione verso cui guarda: non più l’amore terreno, ma l’amore eterno, non più il piacere, ma la luce che illumina ogni cosa.