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Canto XXVI del Purgatorio di Dante: riassunto e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto ventiseiesimo del Purgatorio si svolge nell’ultima cornice del monte, la settima, in cui si trovano le anime dei lussuriosi, coloro che in vita hanno seguito in modo disordinato e sfrenato i desideri carnali. Siamo ormai prossimi alla conclusione del cammino purgatoriale, e Dante, accompagnato da Virgilio e Stazio, si addentra in un ambiente spiritualmente e simbolicamente carico di tensione: qui il fuoco è l’elemento dominante, non più come strumento di dannazione eterna, come nell’Inferno, ma come mezzo di purificazione.

Le anime espiano la lussuria camminando attraverso le fiamme, che bruciano senza distruggere, e recitano esempi di castità e passioni virtuose come monito e guida. Il fuoco, che in vita ha alimentato il peccato, diventa ora fuoco redentore, in un chiaro rovesciamento simbolico che anticipa la trasformazione definitiva dell’anima. All’interno di questo scenario, Dante incontra due figure emblematiche, Guido Guinizelli e Arnaut Daniel, entrambi poeti, e attraverso il dialogo con loro il canto si trasforma in una riflessione profonda non solo sulla lussuria, ma anche sull’amore e sulla poesia come strumenti di elevazione o di perdizione, a seconda di come vengono vissuti.

La purificazione attraverso il fuoco e la dinamica del desiderio

La settima cornice è dominata dal fuoco, elemento purificatore per eccellenza, e Dante lo descrive con vivida intensità. Le anime dei lussuriosi procedono all’interno di lingue di fuoco, cantando esempi di virtù contrarie al loro peccato: si citano Maria e Diana come modelli di purezza, in un alternarsi di invocazioni e richiami biblici che riequilibrano la memoria del desiderio. La pena è terribile: il fuoco non distrugge, ma tormenta, costringe l’anima a confrontarsi con la passione che in vita non ha saputo controllare. Tuttavia, questa sofferenza non è disperata: è volontaria, accettata, segno di una volontà redenta che desidera purificarsi per giungere finalmente alla luce.

La lussuria, in Dante, è il peccato che più di ogni altro riguarda il corpo e la sua inclinazione naturale al piacere. Ma proprio per questo è anche il peccato più facile da giustificare e da minimizzare, ed è per questo che la pena deve essere intensa e purificatrice. Il fuoco diventa così la metafora del desiderio redento, dell’amore che non è più cieca brama, ma consapevolezza e tensione verso l’alto.

L’anima non rinnega il proprio passato, ma lo trasfigura, e in questo processo il dolore diventa strumento di liberazione. La cornice dei lussuriosi è dunque una delle più complesse e profonde del Purgatorio, perché affronta non solo la dimensione morale del peccato, ma anche quella emotiva e psicologica, mostrando come la redenzione passi attraverso la consapevolezza del proprio desiderio e la sua riorganizzazione secondo l’ordine divino.

L’incontro con Guido Guinizelli: amore e poesia

Una delle scene centrali del canto è l’incontro di Dante con Guido Guinizelli, poeta che egli riconosce immediatamente e che saluta con grande rispetto. Guinizelli è l’autore considerato il padre del dolce stil novo, la corrente poetica che ha rinnovato il linguaggio lirico amoroso, fondando l’amore su una visione spirituale ed elevata della donna. L’incontro con Guinizelli è un momento di altissimo valore simbolico e affettivo, perché Dante riconosce in lui una figura fondatrice, un maestro.

Il poeta bolognese racconta la sua espiazione con umiltà, accettando la propria colpa e testimoniando la potenza trasformatrice della grazia divina. L’amore che in vita aveva ispirato i suoi versi, seppure orientato verso l’alto, aveva in parte ceduto alla dimensione sensuale, e per questo necessita ora di essere purificato. Questo passaggio è cruciale: anche l’amore più nobile, se vissuto senza piena consapevolezza, può condurre al peccato. Dante, però, non condanna il suo predecessore: anzi, lo onora con parole di grande ammirazione, riconoscendo il debito poetico e spirituale che ha nei suoi confronti. La poesia d’amore diventa, in questo contesto, espressione dell’anima che cerca la luce, ma che, nel suo slancio, può anche deviare se non guidata dalla grazia.

Il riconoscimento tra i due poeti è commosso e autentico, e rappresenta uno dei rari momenti della Commedia in cui la continuità letteraria viene celebrata in chiave etica e spirituale. Dante si pone come erede, ma anche come riformatore: da Guinizelli apprende la dignità dell’amore, ma si propone di portare quella visione oltre, verso la beatitudine vera, che non è mai solo terreno desiderio, ma tensione verso Dio.

Arnaut Daniel e la tradizione trobadorica

Subito dopo Guinizelli, Dante incontra Arnaut Daniel, poeta provenzale che egli aveva già citato altrove con grande ammirazione. Arnaut si presenta con grande modestia e si esprime in lingua d’oc, il provenzale, dettaglio che Dante usa per sottolineare la varietà linguistica dell’Europa medievale e la dignità poetica anche delle lingue volgari diverse dal toscano. Il suo breve intervento, pur nella sua essenzialità, è carico di pathos: Arnaut si dichiara penitente, consapevole delle sue colpe, ma fiducioso nella misericordia divina.

La scelta di far parlare Arnaut nella sua lingua originale ha un valore culturale altissimo: è un riconoscimento del valore universale della poesia, al di là dei confini linguistici, e una dichiarazione implicita dell’ambizione dantesca di creare una lingua poetica che sia insieme radicata nella realtà e capace di esprimere l’assoluto. La presenza di Arnaut accanto a Guinizelli conferma il legame tra poesia e lussuria, ma anche la possibilità di trasformare la parola in strumento di redenzione.

Entrambi i poeti rappresentano, in modi diversi, la bellezza della parola e il rischio della sua deviazione: l’arte che eleva può anche corrompere, se non è orientata verso il bene. Dante riconosce in Arnaut una voce vera, un’anima sincera, e gli rende omaggio lasciandogli l’ultima parola del canto. È un gesto di umiltà e di rispetto, ma anche di affermazione poetica: è Dante che, dando la parola ad Arnaut, legittima la memoria e la forza della poesia pregressa, e al tempo stesso si prepara a superarla nel suo progetto spirituale e universale.

La lussuria redenta e il significato del desiderio

Il canto ventiseiesimo, nella sua struttura e nel suo contenuto, è un lungo discorso sul desiderio umano e sulla sua possibile redenzione. La lussuria, nel pensiero dantesco, è il peccato che più di tutti ha a che fare con la debolezza della carne, con il legame indissolubile tra corpo e anima. Ma proprio per questo è anche il peccato che, più di ogni altro, può essere trasfigurato, può essere assunto in una logica di amore ordinato, disciplinato, capace di condurre alla verità.

I poeti incontrati in questa cornice sono stati lussuriosi non per vizio brutale, ma per un amore eccessivamente attaccato alla forma, alla bellezza, alla passione terrena. La loro colpa non è stata l’odio o l’inganno, ma l’eccesso di slancio, l’amore non ancora pienamente purificato. Per questo motivo la loro pena non è disperata, ma è carica di speranza: attraverso il fuoco, attraverso la parola, attraverso la memoria, questi spiriti stanno tornando a Dio.

Il canto si fa così meditazione poetica e teologica insieme: l’amore, se ben diretto, salva; se mal diretto, travolge. L’uomo, creatura desiderante, non può non amare, ma deve imparare a scegliere cosa e come amare. Dante stesso, nel porre questi poeti sul suo cammino, mostra come anche la sua vocazione sia sottoposta a prova: solo chi purifica il proprio amore può essere guida e profeta, solo chi ha attraversato il fuoco può condurre altri verso la luce.