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Canto XXVI Inferno di Dante: personaggi e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

​Il Canto XXVI dell’Inferno di Dante Alighieri, noto anche come il Canto di Ulisse, è uno dei più celebri e studiati della Divina Commedia. Ambientato nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, dove sono puniti i consiglieri fraudolenti, questo canto offre una profonda riflessione sul desiderio umano di conoscenza e sui limiti imposti dalla morale e dalla fede.​

Canto 26 dell’Inferno: riassunto

Il canto si apre con una invettiva contro Firenze, in cui Dante esprime il suo dolore per la corruzione e la decadenza morale della sua città natale. Proseguendo il viaggio attraverso l’ottava bolgia, Dante e Virgilio osservano numerose fiammelle che si muovono all’interno della valle; ciascuna di esse avvolge un dannato, celandolo alla vista. Virgilio spiega che all’interno di queste fiamme sono puniti i consiglieri fraudolenti, coloro che usarono l’intelletto per ingannare gli altri.​

Tra queste fiamme, una in particolare attira l’attenzione di Dante: una doppia fiamma che avvolge insieme le anime di Ulisse e Diomede, eroi della mitologia greca, accomunati nella pena per aver commesso inganni durante la guerra di Troia. Dante, desideroso di parlare con loro, chiede a Virgilio di intercedere. Virgilio si rivolge alle anime, e Ulisse inizia a raccontare l’ultimo viaggio che intraprese dopo il ritorno a Itaca.​

Spinto da un irrefrenabile desiderio di conoscenza, Ulisse convinse i suoi compagni a seguirlo oltre le Colonne d’Ercole, limite estremo del mondo conosciuto. Dopo cinque mesi di navigazione, avvistarono una montagna altissima (che rappresenta il Purgatorio), ma una tempesta si scatenò e la loro nave affondò, ponendo fine al loro “folle volo”.​

Canto 26 dell’Inferno: personaggi

Nel Canto XXVI emergono figure di grande rilievo simbolico:​

  • Ulisse: l’eroe greco è rappresentato da Dante come un simbolo dell’intelletto umano spinto al limite, del desiderio insaziabile di conoscenza che supera i confini imposti dalla natura e dalla divinità. La sua figura incarna sia la nobiltà dell’ingegno umano sia la sua potenziale arroganza nel voler oltrepassare i limiti concessi.​
  • Diomede: compagno di Ulisse in molte imprese ingannevoli durante la guerra di Troia, tra cui il furto del Palladio e l’inganno del cavallo di legno. Nel canto, condivide con Ulisse la stessa fiamma e la stessa pena, a sottolineare la complicità nei consigli fraudolenti.​
  • Virgilio: la guida di Dante attraverso l’Inferno, rappresenta la ragione e la saggezza. In questo canto, funge da intermediario tra Dante e le anime dannate, mostrando rispetto e comprensione per la grandezza tragica di Ulisse.​
  • Dante: oltre a essere il narratore e protagonista del viaggio, in questo canto si mostra profondamente coinvolto emotivamente dall’incontro con Ulisse, simbolo del suo stesso desiderio di conoscenza e delle insidie che esso comporta.

La struttura e l’analisi

Il Canto XXVI è composto da 151 versi, organizzati in terzine dantesche con schema rimico ABA BCB CDC. La struttura metrica conferisce al canto un ritmo incalzante, che accompagna il crescendo emotivo della narrazione.​

L’introduzione del canto è caratterizzata da una invettiva contro Firenze, espressa attraverso un tono aspro e doloroso. Dante utilizza immagini forti per descrivere la corruzione della sua città, evidenziando il contrasto tra la grandezza passata e la decadenza presente.​

La descrizione dell’ottava bolgia è dominata dall’immagine delle fiammelle che si muovono nella valle, ciascuna delle quali cela un’anima dannata. Questa rappresentazione visiva crea un’atmosfera suggestiva e inquietante, enfatizzando la pena dei consiglieri fraudolenti, il cui ingegno fu usato per ingannare e che ora sono nascosti alla vista, consumati dal fuoco della loro stessa astuzia.​

Il dialogo con Ulisse rappresenta il cuore del canto. Il suo racconto è un monologo drammatico che esprime l’essenza del desiderio umano di conoscenza, ma anche la tragedia dell’hybris, l’arroganza di voler oltrepassare i limiti imposti dalla condizione umana. La narrazione dell’ultimo viaggio di Ulisse è carica di tensione e pathos, culminando nella descrizione della tempesta che pone fine alla sua avventura.​

La scelta di Dante di collocare Ulisse tra i consiglieri fraudolenti ha suscitato numerose interpretazioni critiche. Alcuni vedono in essa una condanna del sapere non guidato dalla fede, altri una critica all’uso dell’intelletto per fini ingannevoli. In ogni caso, Ulisse rappresenta una figura complessa, emblema delle potenzialità e dei pericoli dell’ingegno umano.​

Le figure retoriche del 26° canto dell’inferno

Dante arricchisce il Canto XXVI con una varietà di figure retoriche che amplificano l’espressività del testo e coinvolgono profondamente il lettore.​

L’uso dell’apostrofe è evidente sin dall’inizio del canto, quando Dante si rivolge direttamente a Firenze con toni accorati e accusatori. L’apostrofe rafforza il carattere personale e politico dell’invettiva, sottolineando il disprezzo del poeta per la degenerazione morale della sua città.

Un’altra figura retorica predominante è la metafora, che si manifesta in diverse immagini evocative. Le fiammelle che avvolgono i dannati rappresentano il fuoco della loro astuzia ingannatrice, che ora li consuma per l’eternità. Questa metafora sottolinea il legame tra la colpa commessa in vita e la punizione subita nell’aldilà.

L’iperbole è usata per accentuare la grandezza dell’impresa di Ulisse, quando descrive il suo viaggio oltre le Colonne d’Ercole come un atto estremo e straordinario. Il concetto del “folle volo” è reso con un linguaggio altamente drammatico, enfatizzando la temerarietà dell’eroe greco e il destino tragico che ne consegue.

Nel monologo di Ulisse emerge anche l’uso dell’anafora, ovvero la ripetizione di parole all’inizio di versi successivi, come nel celebre passo «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Qui, la ripetizione rafforza il messaggio e lo trasforma in un monito universale, rendendolo uno dei passaggi più celebri della Divina Commedia.

L’enjambement è ampiamente impiegato nel canto per conferire fluidità e tensione narrativa. I versi si susseguono con un ritmo serrato, specialmente nel racconto di Ulisse, trasmettendo la sensazione di una corsa inarrestabile verso l’ignoto, fino al tragico naufragio finale.

Infine, la similitudine è una delle figure più potenti del canto. Un esempio significativo è quando Dante paragona le fiamme alla lingua biforcuta di un serpente, enfatizzando il legame tra il peccato dell’inganno e il fuoco che ora divora le anime dei consiglieri fraudolenti. La scelta di immagini così vivide contribuisce a creare un’atmosfera cupa e suggestiva, che amplifica il senso di dannazione eterna.

Il simbolismo del “Folle Volo”

Il concetto del “folle volo” rappresenta il cuore tematico del canto ed è una delle immagini più iconiche della Divina Commedia. Il viaggio di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole simboleggia il desiderio umano di superare i limiti imposti dalla conoscenza e dalla morale. Tuttavia, il suo destino tragico suggerisce che tale aspirazione, se priva di un fondamento etico e spirituale, conduce alla rovina.

Dante sembra suggerire che l’intelletto, se usato senza guida morale, diventa pericoloso e autodistruttivo. Ulisse, pur essendo un eroe e un simbolo di ingegno, è collocato tra i dannati perché il suo desiderio di conoscenza lo ha spinto a sfidare il volere divino. Questa interpretazione ha dato origine a numerose riflessioni filosofiche e letterarie, rendendo il canto una delle parti più complesse e affascinanti dell’intero Inferno.

Il ruolo della conoscenza

Un aspetto centrale di questo canto è il rapporto tra conoscenza e peccato. Mentre Dante esalta la ricerca del sapere come una delle caratteristiche distintive dell’uomo, condanna l’uso dell’intelletto per scopi fraudolenti o eccessivamente ambiziosi.

Ulisse rappresenta la tensione tra la virtù della conoscenza e il rischio di oltrepassare i confini stabiliti dalla legge divina. L’eroe greco non è punito per la sua sete di sapere in sé, ma perché ha violato un limite imposto, dimostrando un’hybris che lo porta alla rovina. Questo tema si ricollega alla condizione stessa di Dante, che nel suo viaggio ultraterreno sta cercando la verità, ma lo fa sotto la guida di Virgilio e, successivamente, di Beatrice, simboli della ragione e della fede.