Le figure retoriche: quali sono, come usarle e qualche esempio
Cosa sono le figure retoriche e come agiscono sulla lingua? La guida definitiva di Virgilio Sapere che scioglierà tutti i vostri dubbi (grandi o piccoli che siano)
Potremmo paragonarle alle spezie che rendono più saporita una pietanza, che ne caratterizzano sapore e profumo. Come a dire: la normalità del linguaggio usuale sottoposta a un trattamento che ne esalti le caratteristiche o ne suggerisca un utilizzo che possa risultare, in misura variabile, differente rispetto a quello conosciuto.
- Che cos’è la similitudine
- Quando e come usare la metafora
- Quando è efficace un’allegoria
- L’ossimoro, uno strumento potentissimo
- La usiamo spesso, non sempre a proposito: l’antonomasia
- La figura più amata da politici e comunicatori: l’iperbole
- La litote, per molti ma non per tutti
- Quando e come si usano
- Come si distinguono
- Come spiegarle ai ragazzi
- Gli esempi più famosi in poesia e nelle canzoni
Che cos’è la similitudine
Ora che ci riflettiamo, abbiamo già utilizzato una delle figure retoriche più comuni: la similitudine, che consiste nel chiarire un concetto esemplificandolo attraverso un altro, istituendo un parallelismo per mezzo di una serie di connettivi: come, quale, similmente a… per fare un esempio molto comune: “bello come il sole”. Oppure “veloce come il vento”, “forte come un toro”, “nero come il carbone”.
Quando e come usare la metafora
Una sorta di similitudine che potremmo definire più poetica, meno mediata o mediata e di conseguenza più misteriosa, quindi di registro più alto, è la metafora: l’accostamento in questo caso è diretto perché il connettivo linguistico che si una per istituire il termine di paragone (“come”) non viene utilizzato, è sottinteso. È nella mente del lettore che viene suscitato, attraverso una formula a effetto; per esempio: “la fungaia degli ombrelli si sollevò all’unisono dagli spalti, quando venne realizzato il gol”.
Quando è efficace un’allegoria
Ulteriore evoluzione della similitudine e della metafora appena nominate, è l’allegoria, che nella Commedia dantesca vede la sua più aulica celebrazione e al tempo stesso la molteplicità dei suoi utilizzi. Si usa quando si affida ad alcuni termini un senso allusivo diverso da quello che è il contenuto logico delle parole, ecco perché la Selva Oscura, se letta nella Commedia, non è un bosco fitto e buio, come sembrerebbe dal significato letterale, ma rivela una attinenza con l’oscurità del peccato in cui si perde l’uomo.
L’ossimoro, uno strumento potentissimo
L’ossimoro, uno dei procedimenti retorici tra i più divertenti per gli studenti, si bada sull’accostamento di due termini che si collocano agli antipodi del campo semantico, per rendere efficace un concetto. Ecco perché si può parlare di “assordante silenzio” o di “sole buio” per evocare particolari sensazioni o stati d’animo.
La usiamo spesso, non sempre a proposito: l’antonomasia
Come dimenticare l’antonomasia? Lo indica anche l’etimologia: chiamare con nome differente una persona, o una cosa, utilizzando una qualità caratteristica e molto conosciuta. A volte con l’utilizzo, rafforzativo, della maiuscola; ecco perché se diciamo “il Poeta” tutti pensano innanzitutto a Dante, o se nominiamo “l’Avvocato” ancora oggi viene in mente per primo Gianni Agnelli a chi ascolta l’espressione.
La figura più amata da politici e comunicatori: l’iperbole
Utilizziamo spesso, non solo nei testi specificamente letterari, l’iperbole, ossia l’esagerazione di un concetto per rendere più efficace il messaggio in esso contenuto. Esagerazione per eccesso o per difetto, beninteso: “ho mangiato una montagna di tortellini”; “nel serbatoio non c’è un goccio di benzina”.
La litote, per molti ma non per tutti
La litote è l’affermazione di un concetto con la negazione del suo contrario. È un espediente retorico tra i più interessanti e dalla potenzialità più elevata in testi o discorsi dal registro argomentativo; non è un caso che venga adoperata nelle arringhe dei più abili fra i grandi avvocati, o anche nei monologhi dei più mordaci comici o cabarettisti. In questo senso, l’esempio forse più alto per suffragare il nostro discorso sono i numerosi, spassosissimi monologhi esibiti da Woody Allen nelle sue pellicole più celebri che utilizza, per esempio, per attenuare la crudità di un’espressione o di una particolare situazione. Uno dei più comuni esempi di litote è “Non mi sento molto bene”, adoperato in luogo del più lineare “Mi sento male”. Per citare un esempio poetico particolarmente raffinato potremmo declamare il “si dieron colpi non troppo soavi”, di Ludovico Ariosto.
Quando e come si usano
Le varie figure retoriche, a cominciare dalle più consuete che abbiamo esemplificato, si riconoscono quando si conosce preventivamente il meccanismo linguistico che le caratterizza, quindi la pietra di posa per la loro individuazione sarà sempre la padronanza del significato delle parole e la loro corretta contestualizzazione. Del resto, non esisterebbero questi espedienti stilistici se non esistesse la possibilità di ampliare il campo semantico, ossia l’ambito del significato. Potremmo allora dire che, una volta che si conosce con esattezza il significato letterale di un vocabolo, si può anche “giocare” con il significato stesso, perché è la lingua in sé che, oltre alla sua funzione principale, offre anche una sponda per poter giocare con le parole. È ciò che fanno i poeti, con maggiore o minore efficacia a seconda della loro bravura e del loro talento, quando cesellano i versi delle loro opere; quando dosano gli accenti e la successione delle sillabe per creare un effetto fonetico, o quando attraverso una similitudine rappresentano un sentimento.
Come si distinguono
Si può scambiare una figura retorica per un’altra? Può capitare di confondere una similitudine con una metafora, a volte, ma proprio per questo bisogna forgiare la capacità conoscitiva del lettore attraverso una serie di esempi, non necessariamente celebri solo nell’ambito letterario. Con gli studenti, per esempio, è molto efficace la veicolazione di determinate nozioni sulle figure retoriche attraverso gli esempi che provengono da un certo stile di linguaggio della cronaca sportiva, in particolare di quello adoperato da radiocronisti e telecronisti durante il racconto in diretta degli eventi: in quei casi sono usate in maniera ricorrente figure retoriche come l’iperbole (frequentissima), la similitudine, un certo tipo di allegoria che pesca nella fittissima simbologia ben nota agli appassionati di questa o quella disciplina sportiva. È del resto comprensibile che per richiamare l’attenzione dei giovanissimi possa, all’inizio, tornare più utile ricorrere ad argomenti che richiamano le loro passioni, per poi rendere riconoscibili ai loro occhi determinati espedienti stilistici quando li troveranno in Dante, in Shakespeare, in Manzoni o in Garcia Lorca.
Come spiegarle ai ragazzi
Come veicolare ai lettori e agli studenti più giovani la conoscenza delle figure retoriche?
Abbiamo già detto degli esempi derivanti dalla cronaca sportiva, ma il passaggio ulteriore per illustrarle agli studenti più giovani è stimolare in loro la voglia di individuarle, riconoscerle, catalogarle. Questo si può ottenere, con buona possibilità di successo, adoperando il più possibile un meccanismo che potremmo definire “giocoso”: per esempio, un punteggio per ogni figura retorica che viene riconosciuta e definita dallo studente. In secondo luogo, invitando i ragazzi a produrre loro stessi, in una qualsivoglia tipologia di testo, un certo numero di figure retoriche. Questo tipo di esortazione fa registrare, nella maggior parte dei casi, una risposta positiva, quando non addirittura entusiastica, da parte degli studenti: questo è facilmente spiegabile perché – sollecitandoli a produrre un testo con determinate caratteristiche – è come se si consentisse loro di giocare con le parole in un modo differente, più libero, rispetto alle consegne che hanno quando vengono incaricati di redigere un altro tipo di testo. Un po’ come se a degli automobilisti comunicassimo che in un determinato tratto di strada è stata alzata in modo considerevole la soglia del limite di velocità. Giudichi ora il lettore se siamo più vicini al confine con la similitudine o con la metafora.
Gli esempi più famosi in poesia e nelle canzoni
Un po’ di esempi, più o meno noti, pescati “a strascico” (metafora) nei testi poetici o in quelli di alcune canzoni, indipendentemente dal pregio artistico di queste ultime:
“Quali colombe dal disio chiamate”
è la similitudine che Dante adopera per descrivere il volo delle anime di Paolo e Francesca verso lui e Virgilio
“Come un vaso di terracotta tra due vasi di ferro”
è la metafora di Alessandro Manzoni per indicare una posizione di debolezza in mezzo a interlocutori forti e potenti
“Ghiaccio bollente”
è l’ossimoro sul quale è imperniato il concetto del titolo della celebre canzone degli Anni Sessanta cantata da Tony Dallara
“Io amo essere odiato”
altro ossimoro canoro, stavolta in “Cyrano” di Francesco Guccini
“Sembrava un giovane puledro”
tratto da la “Locomotiva” del medesimo autore, con evidente similitudine basata sulla potenza della corsa inarrestabile
“Vivesti solo un giorno come le rose”
la raffinatezza poetica, in musica, di Fabrizio De André, perché abbiamo sia la similitudine tra Marinella e le rose, sia l’iperbole per rendere la brevità della vita della ragazza
Chiudiamo con un’antonomasia: se dicessimo che
“la Pulce si insinua tra le trincee croate”
non dovremmo nemmeno specificare che la pulce in questione è Leo Messi (tra l’altro, le trincee del forte centrocampo croato sono una efficace metafora.