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Inferno, Canto XXVI: Ulisse e l’inganno della conoscenza

Nell'VIII Bolgia dell'VIII Cerchio, in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti, Dante incontra il protagonista dell'Odissea e Diomede, avvolti dalla stessa fiamma

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Invettiva contro Firenze e la Bolgia dei consiglieri fraudolenti

Il Canto si apre con l’aspro rimprovero di Dante nei confronti di Firenze e della fama che ha acquisito ovunque, persino all’Inferno: nella VII Bolgia, infatti, egli ha incontrato ben cinque ladri suoi concittadini, che lo hanno fatto vergognare delle sue origini. Se i sogni fatti al mattino sono veritieri, allora Firenze avrà presto la punizione che in molti si augurano, e più passerà il tempo, più il castigo sarà grave. Dante e Virgilio, quindi, si allontanano dalla VII Bolgia e risalgono sul ponte roccioso, laddove erano scesi a fatica, e proseguono l’irto cammino, sovente aiutandosi con le mani. Giunti al culmine, il poeta si affaccia dal ponte e ciò che vede lo induce a tenere a freno il proprio ingegno, affinché non agisca senza l’aiuto della virtù e non si privi del bene che un destino favorevole gli ha concesso: ciò che individua in basso sono le fiamme dell’VIII Bolgia, tante quante sono d’estate, a valle, le lucciole viste dai contadini dalla collina. E come il profeta Eliseo non vide che una vampa mentre il carro che rapì Elia si allontanava nel cielo, così egli vede solo i roghi all’interno della fossa, senza riuscire a distinguere il peccatore dal fuoco. Si sporge al punto che cadrebbe se non si aggrappasse a una sporgenza rocciosa e Virgilio, notando la sua curiosità, gli spiega che ivi si trovano gli spiriti dei consiglieri fraudolenti.

L’incontro con Ulisse

Ringraziato il maestro per la spiegazione, gli chiede chi ci sia dentro il fuoco che si leva con due punte, sentendosi rispondere Ulisse e Diomede, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora scontano insieme la pena: sono dannati per l’inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse Achille a Deidamia e per il furto della statua del Palladio. Dante, a questo punto, domanda se tali dannati possono parlare e prega Virgilio di far avvicinare tale fiamma, tanto è il desiderio di interagire con loro. Il poeta latino replica che la sua richiesta è degna di lode, ma lo invita a tacere, lasciando che sia lui a interpellarli: essendo greci, potrebbero essere restii a parlare con Dante. Ad ogni modo, quando la fiamma giunge abbastanza vicina, Virgilio si rivolge a Ulisse e Diomede, pregando uno di loro di raccontare le circostanze della propria morte. La punta più alta del rogo inizia così a scuotersi, come fosse fatta vibrare dal vento, e subito dopo Ulisse inizia a raccontare che, dopo essersi separato da Circe, che l’aveva trattenuto più di un anno a Gaeta, né la nostalgia di rivedere suo figlio o il vecchio padre, né l’amore per la moglie, riuscirono a soffocare in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si rimise, pertanto, in viaggio in alto mare, insieme ai suoi fedeli compagni di avventura, si spinse con la nave verso ovest nel Mediterraneo, costeggiando Spagna, Sardegna e Marocco, giungendo infine – ormai anziano – allo stretto di Gibilterra, dove Ercole pose le famose colonne. Si rivolse allora ai suoi uomini, esortandoli a non privarsi dell’esperienza di andare a esplorare l’emisfero australe, essendo nati per seguire virtù e conoscenza e non per vivere come bestie (“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“): iniziò così il loro folle viaggio. La notte mostrava le costellazioni del polo meridionale, quello settentrionale era tanto basso che non sorgeva più al di sopra dell’orizzonte e il plenilunio si era già ripetuto cinque volte, quando apparve loro una montagna – quella del Purgatorio – scura per la lontananza e più alta di qualunque altra mai vista prima. All’inizio se ne rallegrarono, ma tale gioia si tramutò ben presto in pianto: da quella nuova terra, infatti, sorse improvvisamente una tempesta, che travolse la prua della nave, facendola ruotare tre volte su se stessa. Alla quarta, essa inabissò levando la sola poppa in alto, finché il mare non la inghiottì del tutto.