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Canto VI Inferno di Dante: analisi e figure retoriche

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Nel sesto canto dell’Inferno della Divina Commedia, Dante Alighieri prosegue il suo viaggio ultraterreno, giungendo al terzo cerchio, dove sono puniti i golosi. Questo canto è particolarmente significativo per l’incontro con Ciacco, un’anima dannata che offre a Dante una profezia sul futuro politico di Firenze, introducendo così una forte componente politica nel poema.​

Canto 6 dell’Inferno: cosa succede

Dante si risveglia dal precedente svenimento e si trova nel terzo cerchio dell’Inferno, caratterizzato da una pioggia incessante, fredda e sporca, mista a grandine e neve, che tormenta eternamente i dannati. Questi giacciono nel fango, immersi in una melma putrida, mentre sono sorvegliati da Cerbero, il mostruoso cane a tre teste che li graffia e li squarta con i suoi artigli.​

Alla vista di Dante e Virgilio, Cerbero tenta di ostacolarli, ma Virgilio, con prontezza, getta nelle sue fauci una manciata di terra, placando temporaneamente la sua furia e permettendo il passaggio. Mentre proseguono, un’anima si solleva dal fango e si rivolge a Dante, riconoscendolo come concittadino fiorentino. È Ciacco, che in vita fu noto per la sua golosità.​

Ciacco racconta a Dante delle future divisioni politiche di Firenze, prevedendo conflitti tra le fazioni dei Guelfi Bianchi e dei Guelfi Neri, con la vittoria di questi ultimi e l’esilio dei Bianchi, tra cui lo stesso Dante. Alla domanda di Dante sul destino di alcuni illustri fiorentini, Ciacco risponde che essi sono collocati in cerchi più profondi dell’Inferno, puniti per peccati più gravi. Prima di congedarsi, Ciacco chiede a Dante di essere ricordato tra i vivi.​

Dopo l’incontro, Dante, turbato dalle rivelazioni, chiede a Virgilio se le pene dei dannati aumenteranno dopo il Giudizio Universale. Virgilio spiega che, riuniti al proprio corpo, i dannati sentiranno più intensamente le loro sofferenze, poiché l’unione di anima e corpo rende più completa la percezione del dolore.​

L’analisi e la struttura

Il sesto canto dell’Inferno si distingue per la sua struttura tripartita: l’incontro con Cerbero, il dialogo con Ciacco e la discussione sul destino delle anime dopo il Giudizio Universale. Questa suddivisione permette a Dante di esplorare temi che spaziano dalla descrizione delle pene infernali alla riflessione politica e teologica.​

La presenza di Cerbero, guardiano dei golosi, è simbolica: rappresenta l’avidità e l’ingordigia, con le sue tre teste che divorano incessantemente. La sua furia viene placata da Virgilio con della terra, suggerendo che l’appetito bestiale può essere temporaneamente soddisfatto con ciò che è terreno, ma non completamente appagato.​

Il dialogo con Ciacco introduce una dimensione politica nel poema. Attraverso le parole di un dannato, Dante offre una critica alla corruzione e alle lotte intestine di Firenze, mostrando come i peccati terreni abbiano ripercussioni nell’aldilà. La profezia di Ciacco, che prevede l’esilio di Dante, aggiunge una nota personale e tragica alla narrazione.​

La discussione sul Giudizio Universale e sull’intensificazione delle pene dopo la resurrezione dei corpi riflette le credenze teologiche dell’epoca e offre a Dante l’opportunità di approfondire temi escatologici, mostrando come la Divina Commedia sia un’opera che unisce poesia, politica e teologia in un’unica, complessa struttura.​

I personaggi principali del canto 6 dell’Inferno

Nel sesto canto emergono figure chiave che arricchiscono la narrazione e offrono spunti di riflessione sui temi trattati.:

  • Cerbero: descritto come un mostro feroce con tre teste, occhi rossi, barba unta e ventre largo, rappresenta l’incarnazione della golosità e dell’avidità. Il suo compito è tormentare i dannati del terzo cerchio, graffiandoli e squartandoli con i suoi artigli. La sua presenza sottolinea la bestialità insita nel peccato di gola.​
  • Ciacco: il cui nome significa “porco”, è un fiorentino noto per la sua golosità. Nonostante il suo peccato, si rivela a Dante come una fonte di informazioni sulle future vicende politiche di Firenze. Attraverso il suo dialogo, emerge una critica alla corruzione e alle divisioni della città, offrendo una prospettiva interna sulle lotte tra Guelfi Bianchi e Neri.​

Canto 6 Inferno: figure retoriche

Dante arricchisce il sesto canto con una serie di figure retoriche che amplificano l’intensità espressiva e la vividezza delle descrizioni.​

L’anafora è evidente nei versi iniziali, dove la ripetizione di “Io” all’inizio di più frasi consecutive crea un ritmo incalzante, enfatizzando lo stato d’animo del poeta che si risveglia in un nuovo cerchio infernale.​

L’allitterazione contribuisce a creare un effetto sonoro che intensifica l’atmosfera cupa del canto. Ad esempio, la ripetizione della consonante “r” in “orribilmente ringhia” richiama il suono gutturale del ringhio di Cerbero, accentuando l’effetto sonoro della sua ferocia. Questo espediente fonico amplifica il senso di paura e disgusto, rendendo la figura di Cerbero ancora più terrificante.

Un’altra figura retorica di rilievo è la similitudine, che Dante utilizza per rendere più tangibili le scene descritte. Un esempio significativo è il paragone tra Cerbero e un cane affamato, che divora il cibo con foga. Questo confronto non solo evidenzia la bestialità del guardiano infernale, ma riflette anche il peccato della gola, che porta gli uomini a perdere il controllo sui propri istinti, proprio come un cane che si avventa sul cibo senza misura.

La metafora assume un ruolo cruciale nella rappresentazione della pena dei golosi. La pioggia incessante, fredda e sporca, che cade senza tregua, non è solo un elemento fisico, ma diventa un’immagine della condizione di perenne insoddisfazione dei dannati, condannati a subire ciò che in vita hanno desiderato con eccesso. Il fango in cui giacciono è una manifestazione concreta della degradazione morale causata dal peccato.

Dante utilizza anche la personificazione, attribuendo caratteristiche umane agli elementi naturali. La pioggia, ad esempio, sembra “flagellare” i dannati, trasformandosi in uno strumento punitivo che agisce con volontà propria. Questo espediente rafforza l’idea che l’Inferno non sia solo un luogo di dannazione, ma un sistema regolato da una giustizia divina attiva e inesorabile.

Infine, l’iperbato, ovvero l’inversione dell’ordine naturale delle parole, è frequente nel discorso di Ciacco, il quale, parlando con Dante, utilizza una costruzione sintattica che enfatizza il suo stato di dannato e la gravità delle sue profezie politiche. Il suo linguaggio è solenne e quasi profetico, aggiungendo un tono drammatico alla narrazione.

Il peccato della gola e il suo significato morale

Il terzo cerchio dell’Inferno è dedicato alla punizione dei golosi, un peccato che, nella mentalità medievale, non era considerato tra i più gravi, ma che comunque portava a una perdita di controllo sugli istinti. Dante lo raffigura come una forma di degradazione dell’anima, che conduce all’abbrutimento e alla sottomissione ai desideri corporei.

Il contrasto tra il piacere della gola in vita e la condizione miserabile dei dannati nel fango è un classico esempio del contrappasso dantesco, la legge che regola le pene infernali in base alla natura del peccato commesso. I golosi, che in vita hanno cercato l’eccesso e la soddisfazione dei sensi, ora sono immersi in un ambiente squallido e ostile, privi di qualsiasi piacere.

Questa rappresentazione non è solo una condanna del peccato, ma una riflessione sulla fragilità umana. La gola non è un peccato che nasce dall’odio o dalla malvagità, ma dalla debolezza e dalla mancanza di moderazione. Ciacco, infatti, non appare come un’anima particolarmente crudele o spregevole, ma come un uomo che ha ceduto ai suoi istinti senza misura.

La dimensione politica del canto

Uno degli elementi più rilevanti del sesto canto è la sua forte connotazione politica. Con le parole di Ciacco, Dante introduce una profezia sulle future vicende di Firenze, la sua città natale. La lotta tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, che segnerà il destino di Firenze e porterà all’esilio dello stesso Dante, è presentata attraverso una visione quasi apocalittica.

Questo canto segna la prima volta in cui la Divina Commedia si sofferma sulle divisioni politiche, un tema che diventerà sempre più centrale nel poema. La visione dell’Inferno non è solo una riflessione morale, ma anche una denuncia della corruzione e della decadenza della società. Attraverso Ciacco, Dante esprime il suo disprezzo per la lotta fratricida che dilania Firenze, mostrando come le passioni umane – proprio come la gola – possano portare alla rovina.

Il fatto che la profezia sia pronunciata da un dannato aggiunge un senso di ineluttabilità: Firenze è condannata a ripetere i suoi errori, proprio come i golosi sono condannati a subire per sempre la loro pena. La città, come le anime dannate, sembra destinata a non imparare mai dai propri sbagli.

Il destino delle anime dopo il giudizio universale

Un altro tema teologico di grande rilievo in questo canto è la discussione sul giudizio universale. Quando Dante chiede a Virgilio se le pene dei dannati cambieranno dopo il giorno del giudizio, la risposta è chiara: dopo la resurrezione dei corpi, la sofferenza sarà ancora più intensa.

Questa idea si basa sulla dottrina cristiana secondo cui, alla fine dei tempi, ogni anima riacquisterà il proprio corpo, e con esso percepirà il dolore in modo più completo. Il concetto è profondamente radicato nella teologia medievale, secondo la quale la punizione e la ricompensa saranno totali solo quando l’essere umano sarà riunito nella sua interezza di anima e corpo.

La spiegazione di Virgilio non solo chiarisce un aspetto fondamentale dell’escatologia cristiana, ma sottolinea anche la giustizia divina, che prevede pene proporzionate alla colpa e destinate a diventare ancora più severe per chi ha peccato in vita. Questo rafforza l’idea che l’Inferno dantesco sia un luogo in cui ogni cosa è regolata da una legge superiore e inappellabile.