Canto X Inferno di Dante: riassunto, analisi e figure retoriche
Il Canto X dell’Inferno di Dante Alighieri rappresenta una delle sezioni più intense e significative della Divina Commedia, offrendo una profonda riflessione sulle dinamiche politiche e personali della Firenze del XIII secolo. In questo canto, ambientato nel sesto cerchio dell’Inferno, Dante incontra gli eretici, in particolare gli epicurei, coloro che in vita negarono l’immortalità dell’anima.
- Canto 10 dell'Inferno: il riassunto
- La struttura del canto
- Canto 10 Inferno: le figure retoriche
- Il contrappasso degli eretici
- Il rapporto tra Dante e Farinata
- Il dramma di Cavalcante
Canto 10 dell’Inferno: il riassunto
Nel Canto X, Dante e la sua guida, Virgilio, attraversano la città di Dite, dove sono puniti gli eretici all’interno di sepolcri infuocati. Durante il cammino, emergono dalle tombe due figure di spicco: Farinata degli Uberti, leader dei ghibellini fiorentini, e Cavalcante de’ Cavalcanti, padre del poeta Guido Cavalcanti.
Il dialogo tra Dante e Farinata si concentra sulle divisioni politiche di Firenze. Farinata, con fierezza, rivendica il suo ruolo nella storia della città, mentre Dante esprime la sua appartenenza alla fazione guelfa. Farinata profetizza l’esilio di Dante, anticipando le sofferenze che il poeta dovrà affrontare.
L’intervento di Cavalcante introduce un tema più personale. Egli chiede notizie del figlio Guido e, fraintendendo le parole di Dante, crede che sia morto. Questo equivoco provoca in lui una profonda disperazione, mostrando l’amore paterno e la sofferenza derivante dalla separazione.
I temi principali del canto includono la riflessione sull’eresia, intesa come negazione dell’immortalità dell’anima, e le divisioni politiche che laceravano Firenze. La conversazione con Farinata mette in luce l’importanza delle radici familiari e dell’identità cittadina, mentre l’incontro con Cavalcante sottolinea la fragilità delle relazioni umane di fronte al destino.
La struttura del canto
Il Canto X si sviluppa attraverso una struttura dialogica che alterna momenti di tensione politica a riflessioni personali. La narrazione inizia con la descrizione del paesaggio infernale, caratterizzato da sepolcri infuocati, e prosegue con gli incontri con Farinata e Cavalcante. La sequenza degli eventi è scandita da un ritmo incalzante, che mantiene alta l’attenzione del lettore.
Dal punto di vista stilistico, Dante utilizza un linguaggio ricco di immagini e metafore. Le descrizioni dei sepolcri e delle figure dei dannati sono vivide e dettagliate, contribuendo a creare un’atmosfera cupa e opprimente. L’uso di similitudini e personificazioni arricchisce ulteriormente il testo, rendendo palpabile la sofferenza delle anime dannate.
La scelta di inserire personaggi storici come Farinata e Cavalcante conferisce al canto una dimensione realistica. Le loro storie personali si intrecciano con la storia politica di Firenze, offrendo al lettore una prospettiva privilegiata sulle tensioni dell’epoca. Questo intreccio tra realtà storica e finzione poetica è una delle caratteristiche distintive della Divina Commedia.
Canto 10 Inferno: le figure retoriche
Dante impiega nel Canto X diverse figure retoriche per arricchire il testo e sottolineare i temi trattati. L’allitterazione, ossia la ripetizione di suoni consonantici simili in parole vicine, crea un effetto ritmico e sonoro che enfatizza l’atmosfera cupa del canto. Ad esempio, l’allitterazione della lettera “r” nei versi 121-126: “Tristi, aere, allegra, portando, dentro, or, attristiam, negra, gorgoglian, strozza”.
L’onomatopea, l’uso di parole che imitano suoni reali, come “gorgoglian” al verso 125, evoca il rumore delle anime immerse nello Stige.
L’enumerazione, la lista di azioni compiute dalle anime, come “si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi” (vv. 112-113), sottolinea la violenza e la disperazione delle pene infernali.
La similitudine, il paragone tra la caduta di Pluto e una vela che si affloscia quando l’albero si spezza (“come le vele gonfiate cadono, quando l’albero si spezza”, vv. 13-15), enfatizza la sconfitta del demone di fronte alla volontà divina rappresentata da Virgilio.
La personificazione della Fortuna, descritta come una figura femminile divina che governa la distribuzione dei beni terreni, rende tangibile un concetto astratto e offre una riflessione sulla volatilità delle ricchezze mondane.
Il contrappasso degli eretici
Nel sesto cerchio dell’Inferno, Dante colloca gli eretici, puniti per la loro negazione dell’immortalità dell’anima. Il contrappasso che subiscono è particolarmente significativo: sono rinchiusi in sepolcri infuocati, un’immagine che richiama la loro condizione di morte spirituale. In vita, questi peccatori rifiutarono la visione cristiana della resurrezione, credendo che l’anima si dissolvesse con la morte del corpo; ora, nell’aldilà, sono condannati a una morte eterna, privati della speranza di una vita dopo la morte. Il fuoco, elemento purificatore nella tradizione cristiana, qui diventa un simbolo di dannazione, un tormento incessante che arde i corpi senza mai consumarli.
L’ambientazione del sesto cerchio, con i suoi sepolcri aperti, contribuisce a rafforzare l’idea della pena eterna. Dante e Virgilio osservano che, nel Giorno del Giudizio, quando i corpi risorgeranno per ricevere il loro destino definitivo, le tombe saranno definitivamente sigillate, e gli eretici rimarranno per sempre intrappolati nel fuoco. Questo dettaglio evidenzia l’ironia del contrappasso: coloro che in vita negarono la resurrezione saranno proprio coloro destinati a una condizione di morte perpetua, senza possibilità di redenzione.
Il tema dell’eresia nel canto si intreccia con quello della conoscenza limitata dei dannati. Farinata, pur essendo un’anima dannata, possiede una capacità di preveggenza che gli permette di vedere il futuro, ma non il presente. Questo dettaglio è particolarmente interessante: nel mondo infernale, i dannati hanno una visione distorta della realtà, poiché possono vedere ciò che accadrà, ma non ciò che sta avvenendo nel momento in cui parlano. Questo spiega perché Cavalcante fraintenda le parole di Dante, credendo che il figlio Guido sia morto. L’angoscia derivante da questa condizione sottolinea l’incompletezza e la sofferenza delle anime infernali, che sono private della piena conoscenza e condannate a un’esistenza di incertezza e rimpianto.
Il rapporto tra Dante e Farinata
Uno degli aspetti più affascinanti del Canto X è il confronto tra Dante e Farinata degli Uberti. La figura di Farinata emerge con un’aura di grandezza tragica, un’anima che, pur essendo dannata, mantiene una fierezza e una dignità quasi eroiche. Dante lo dipinge come un uomo impassibile, che si solleva con il busto fuori dalla tomba e parla con tono fermo e sicuro. Il suo atteggiamento è quello di un leader politico sconfitto, che però non si piega alla sorte. Anche nella dannazione, Farinata conserva il suo orgoglio, il suo amore per Firenze e il suo disprezzo per i nemici guelfi.
Il dialogo tra Dante e Farinata è carico di tensione, poiché si basa sul contrasto tra le due fazioni avverse: guelfi e ghibellini. Dante, guelfo di nascita, incontra il capo dei ghibellini fiorentini, colui che, anni prima, aveva combattuto per il dominio della città. Nonostante la loro inimicizia politica, emerge tra i due un certo rispetto reciproco. Farinata non si abbassa mai alla supplica o al rimorso: anche nell’Inferno, rimane fedele ai suoi ideali e difende il suo operato, affermando con orgoglio che, pur avendo visto la sua fazione sconfitta, lui protesse Firenze dalla distruzione.
La conversazione tra Dante e Farinata ha anche un’importante valenza profetica. Il ghibellino annuncia a Dante il suo futuro esilio, una rivelazione che colpisce profondamente il poeta. In quel momento, Dante si trova a confrontarsi con la consapevolezza della propria sorte, un destino di sofferenza e lontananza dalla sua amata Firenze. L’incontro con Farinata assume quindi una doppia funzione: da un lato, è un dibattito politico e ideologico, dall’altro, è un momento di presa di coscienza da parte del protagonista, che inizia a comprendere le prove che lo attendono nel suo percorso.
Il dramma di Cavalcante
A differenza di Farinata, la figura di Cavalcante de’ Cavalcanti è segnata dal dolore e dalla disperazione. Il suo breve dialogo con Dante è dominato dall’angoscia paterna e dall’ansia di sapere cosa sia accaduto al figlio Guido. Quando chiede a Dante se Guido sia ancora in vita e il poeta risponde con un verbo al passato, Cavalcante interpreta erroneamente la risposta e crede che il figlio sia morto. Questo equivoco genera in lui un dolore improvviso, che lo porta a sprofondare nuovamente nella sua tomba senza dire altro.
Cavalcante rappresenta il dramma umano della separazione affettiva. A differenza di Farinata, che è guidato dall’orgoglio politico, Cavalcante è un uomo che soffre per un sentimento profondamente umano: l’amore per un figlio. Il suo dolore è acuito dall’incapacità di conoscere la verità nel presente, un limite che accomuna tutti i dannati infernali. Dante, pur essendo in contrasto ideologico con Cavalcante, mostra una certa compassione per il suo dolore, contribuendo a creare un quadro emotivamente intenso e ricco di sfumature.