Salta al contenuto

Allitterazione: significato, come riconoscerla, esempi in poesia

Marta Rovagna

Marta Rovagna

GIORNALISTA PROFESSIONISTA E DOCENTE DI LETTERE

Sono una giornalista professionista, docente di Lettere, appassionata di tematiche legate al sociale. Da sempre racconto storie, sia nei miei reportage sia a scuola con i miei alunni. Sono una persona curiosa, amo ascoltare, conoscere e viaggiare, sia nello spazio sia nel tempo attraverso la letteratura.

Che cos’è l’allitterazione?

L’allitterazione è la regina delle figure retoriche di suono, quelle cioè che si riconoscono subito in un testo poetico leggendolo ad alta voce perché danno una particolare musicalità al testo. Il gioco stilistico è infatti nella scelta delle parole che, a partire da una coppia fino a interessare interi versi, si legano tra loro per la ripetizione di un suono dato da una stessa lettera, una stessa sillaba o una stessa parola in diverse posizioni. L’allitterazione, che deriva dal latino allitteratio – allitterationis, derivazione di littĕra ‘lettera’ è una ripetizione, spontanea o ricercata (per finalità stilistiche o come aiuto mnemonico), di un suono o di una serie di suoni, acusticamente uguali o simili, all’inizio (più raramente all’interno) di due o più vocaboli successivi; è un fenomeno che non interessa soltanto l’arte retorica ma appartiene anche alla lingua comune dalla pubblicità ai testi della musica pop agli scioglilingua.

L’allitterazione nella storia della letteratura, un must

L’allitterazione, largamente usata in epoca classica sia dai greci che dai latini è stata una preziosa eredità anche per la lingua italiana volgare già alla sua nascita: gli stilnovisti la utilizzavano per rendere i loro sonetti gradevoli e melodiosi (uno degli obiettivi principali del movimento del Dolce Stil Novo era proprio quello di evitare suoni aspri e sgradevoli, molto frequenti nel primo periodo di transizione dalla lingua latina a quella italiana). È rimasta nella storia della letteratura e non solo un vero e proprio must: l’allitterazione è la regina delle figure retoriche, maggiormente utilizzata nei testi poetici di tutti i tempi, nelle pubblicità, nei cori dello stadio e nelle filastrocche dei bambini. Oltre alla musicalità aiuta infatti a memorizzare più facilmente un testo, anche per potere essere meglio tramandato.

L’allitterazione nell’Epoca Classica

Fondamentale in questo senso è stato il suo uso nel periodo dell’epica classica, quando gli aedi andavano di corte in corte (tra le varie città stato greche, fino alla Siria e alla Palestina) narrando le epopee di dei ed eroi e che – dovendo ricordare storie lunghissime – le raccontavano spesso con l’aiuto dell’allitterazione che consentiva loro di ripercorrere più facilmente le varie gesta. Troviamo quindi già nell’”Iliade”, “Odissea” e poi in epoca augustea nell’“Eneide” moltissimi esempi in tal senso.
• Celebri sono quelle dei primi versi del proemio dell’“Iliade”:

“Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide, rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei/ gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde d’eroi/ ne fece bottino dei cani, di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva – da quando prima si divisero contendendo l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso/ Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?”.

Nell’“Odissea” quando Ulisse incontra Nausicaa, dalla quale dipende la sua salvezza, l’uso dell’allitterazione viene utilizzato ad arte per essere maggiormente convincente: era proprio di Ulisse infatti usare la retorica e l’abilità nel parlare per incantare e convincere le persone che aveva accanto.
• Nel Libro VI dal verso 150 al 155 troviamo il suo convincente discorso che inizia così:

“Subito [Odisseo] dolce e astuta parola disse: “Ti supplico, signora: sei una dea o una creatura mortale? 150 Se sei una dea, di quelle che abitano l’ampio cielo, invero io ad Artemide, figlia del grande Zeus, per la bellezza, per la statura, per l’aspetto ti giudico in tutto simile; se invece tu sei una delle creature mortali che abitano sulla terra, tre volte beati tuo padre e la tua augusta madre, 155 e tre volte beati i fratelli: certamente molto a loro il cuore sempre si addolcisce di gioia per te, quando ammirano un tale virgulto che si accinge alla danza”.

Anche Virgilio usa l’allitterazione nell’ “Eneide”, nel famoso libro VI in cui Didone, disperata per l’abbandono del suo amato, predispone il suo suicidio con un macabro e ben preciso rituale.
• Leggiamo dal verso 51 al 54:

“O nutrice a me cara, chiama qui la sorella Anna: di’ di affrettare a cospargersi il corpo con acqua di fiume e a condurre con sé le pecore e le vittime indicate. Venga così, e tu stessa copriti le tempie con pie bende”.

L’uso della figura retorica all’inizio della letteratura italiana

La letteratura italiana inizia, nel tredicesimo secolo con opere che utilizzano l’allitterazione come cardine e struttura se pensiamo al “Cantico delle Creature” di San Francesco o

“S’i’ fossi foco”

di Cecco Angiolieri con la ripetizione della F.
Dante Alighieri ne fa un grandissimo uso nella “Divina Commedia”: uno dei passaggi più famosi è sicuramente quello del suo secondo svenimento, nel corso del suo viaggio nell’Inferno, in cui dice, nel libro V al verso 142

“E caddi come corpo morto, cade”

la sonorità del verso è tale che si ha davvero la sensazione della pesantezza del corpo e del rumore sordo che deriva dal suo cadere a terra, momentaneamente inanimato.
Francesco Petrarca nei suoi sonetti è un virtuoso dell’allitterazione, che varia di verso in verso scegliendo una musicalità sempre diversa e che rende per questo i suoi componimenti unici, come nella poesia

“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”

ai versi 11 e 12:

“di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto”.

Il Romanticismo ama l’allitterazione che viene utilizzata come base per la creazione di altre figure retoriche come il climax, l’onomatopea o viene accompagnata spesso con l’anafora.
Giovanni Pascoli usa moltissimo questa figura retorica come ad esempio nel “Tuono”:

“E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d’arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s’udì, di madre, e il moto di una culla”.

L’effetto che crea è proprio quello di un crescendo di tensione che culmina nel gesto materno e protettivo della mamma che culla il suo bimbo svegliato dal rombo, sintesi bellissima della poetica pascoliana del nido e del fanciullo.
Giacomo Leopardi è un altro autore a cui l’allitterazione è molto cara, la usa in moltissime poesie tra le più famose, come l’incipit de “Il Passero Solitario”.

“D’in su la vetta della torre antica, passero solitario, alla campagna cantando vai finché non more il giorno”

oppure nell’“Infinito”:

“Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”.

In questi celebri versi l’allitterazione principale è “sovraumani silenzi” e l’effetto che crea, una forte assonanza tra le due parole, rende perfettamente la quiete immobile e il senso di isolamento esclusivo e di solitudine umana del poeta.
• Tutta la letteratura fino ai nostri giorni continua ad usare l’allitterazione, a volte con la ripetizione di parole intere, come nella poesia di Giuseppe Ungaretti, “Veglia”:

“Un’intera nottata/ Buttato vicino/ A un compagno/ Massacrato/ Con la bocca/ Digrignata/ Volta al plenilunio”, dove la scelta della ripetizione del suono T aumenta la sensazione di crudezza della scena descritta.

L’uso dell’allitterazione nella pubblicità

Anche la pubblicità non disdegna l’allitterazione, proprio nella sua funzione di aiutare la memorizzazione.
• Una delle pubblicità più celebri, datata anni ’80, è quella della merendina Fiesta, prodotta dalla Ferrero:

“Fiesta ti tenta tre volte tanto”

dove la ripetizione della T rende la breve frase incalzante e facile da ricordare.
• Oppure la pubblicità brevissima della birra Ceres,

“Ceres c’è”

che in una brevissima frase rende la bevanda indimenticabile.

“Ci sono cose che non hanno prezzo, per tutto il resto c’è Mastercard”

famosissima pubblicità della carta di credito che utilizza la C per rafforzare il concetto di preziosità e di utilità assoluta della carta. La finalità commerciale dell’uso retorico è chiara: più facilmente si memorizza lo slogan maggiori possibilità ci sono, durante il momento degli acquisti, di cedere alla tentazione di provare almeno una volta quel prodotto.

Le filastrocche e gli scioglilingua trionfo dell’allitterazione

Tutti almeno una volta ci siamo cimentati nei giochi dello scioglilingua, sia quando eravamo piccoli a scuola o con i propri amici, sia da genitori con i nostri figli.
• Chi non ha mai ripetuto ad alta voce, sempre sbagliando,

“Trentatré trentini entrarono in Trento, tutti e trentatré trotterellando”

oppure

“Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa”.

Così come

“Tre tigri contro tre tigri, tre tigri contro tre tigri”.

In questi casi l’uso dell’allitterazione è rafforzato anche da quello dell’anafora, la ripetizione di una parola intera, ma rimane molto evidente come l’esercizio sia e di tipo mnemonico e di tipo fonologico, quindi del suono delle lettere. La logopedia per i bambini attinge molto al mondo delle filastrocche per aiutare coloro che hanno difficoltà nell’emissione di alcuni suoni: la loro ripetizione costante in modo giocoso ed enfatizzato aiuta a memorizzare il suono della lettera, la sua corretta pronuncia e a creare quindi una sorta di “matrice” in testa che possa servire poi da passpartout in ogni situazione.

L’allitterazione nella musica pop, il cantautorato

Quali sono però i “versi” che ci rimangono maggiormente impressi? Sicuramente quelli delle canzoni, che impariamo a memoria da sempre senza neanche bisogno di avere davanti il testo. Le sentiamo alla radio, ce le ascoltiamo mentre facciamo un’attività sportiva, prima le sentivamo sul giradischi con il vinile, poi le musicassette e il cd. Adesso nella nostra selezione preferita di Spotify.
• Un autore amato dai 60enni come dai 20enni è sicuramente Vasco Rossi. Uno dei testi più celebri del cantante di Zocca è sicuramente “Albachiara” che – sorpresa – inizia il famoso testo proprio con un’allitterazione:

“Respiri piano per non far rumore Ti addormenti di sera e ti risvegli col sole”.

Oppure una canzone che è un’allitterazione già nel titolo

“Siamo solo noi”

, che utilizza poi per tutto il testo sia l’allitterazione che la sua amica anafora con la ripetizione di alcune parole nel corso di tutto il testo.
• Non è da meno Rino Gaetano, nel testo di “Gianna” ritroviamo alcune coppie di parole in allitterazione:

“Ma la notte, la festa è finita, evviva la vita”

dove festa e finita sono legate dalla F iniziale mentre evviva e vita sono legate dalla V in seconda e prima posizione.
• Anche Francesco De Gregori, con le sue canzoni che sono poesie, usa l’allitterazione, accompagnata dalla sorella anafora:

“Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole mentre il mondo sta girando senza fretta”

inizia uno dei testi più famosi del cantautore romano, e insieme alla ripetizione gatti e il verbo guardare in diverse persone sentiamo il suono della G che crea un forte legame sonoro nel primo verso.
Per concludere possiamo dire che nessuno di noi vive senza allitterazione, che ne siamo pervasi in ogni istante, noi stessi la usiamo spesso senza rendercene conto in discorsi orali o in testi scritti, perché tutti sentiamo la necessità di rendere maggiormente musicale e dare maggiore enfasi al nostro parlare e forza al nostro pensiero.