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Sinestesia: significato, quando si usa, esempi (da copiare)

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

La sinestesia è una figura retorica molto particolare e, a suo modo, unica. Si basa, infatti, sulla fusione, o “confusione”, di percezioni sensoriali differenti: vista-udito, tatto-olfatto e via dicendo, con tutte le mescolanze consentite. Non è un caso che il termine indichi innanzitutto un determinato fenomeno neurologico, che può avere risvolti anche cognitivi, attraverso il quale le stimolazioni che si ricevono per mezzo di una particolare canale sensoriale, come per esempio l’udito, hanno ripercussioni anche attraverso un canale sensoriale differente, come l’olfatto o la vista.

L’utilizzo della sinestesia in campo artistico

Non è difficile comprendere come un fenomeno del genere possa generare appigli e risvolti nel campo artistico, in senso lato, prima ancora di arrivare allo specifico letterario e poetico. In questo caso, un esempio su tutti, a livello di citazione: un maestro nell’ambito pittorico quale era Vasilij Vasil’evič Kandinskij amava ripetere che lui era in grado di sentire, letteralmente, la “voce dei colori”.

Le suggestioni evocate dalla sinestesia

La sinestesia, dunque, spostandoci dal campo scientifico a quella vasta ma tutt’altro che desolata terra di mezzo rappresentata dall’ambito delle suggestioni, agisce sul modo in cui l’individuo recepisce le manifestazioni reali, prima di codificarle o razionalizzarle. Potremmo allora ribadire che siamo in molti ad avere tutti e cinque i sensi che lavorano in un modo o nell’altro attraverso una serie di contaminazioni, per quanto blande o latenti. In questo senso, non esiste esempio migliore e più autorevole, anche per il pregio artistico, del celeberrimo episodio della Madeleine nella “Recerche” di Marcel Proust: semplicemente avvertendo il profumo di quel particolare dolce di pastafrolla, il protagonista viene “trascinato” istintivamente in un periodo della sua vita precedente che nei suoi ricordi era stato accantonato. L’accensione di questa memoria involontaria non è, nello specifico, un fenomeno assimilabile in toto alla sinestesia; rende però l’idea di quale potenziale poetico si possa attivare quando i vari strumenti percettivi della realtà si mescolano, almeno in parte, generando le suggestioni di cui sopra.

Come la sinestesia agisce sull’area del significato

Anche la sinestesia presenta una caratteristica quasi sempre presente, quando scendono in campo le figure retoriche: il potenziamento semantico, potremmo dire l’irrobustimento del potenziale del significato, che straripa oltre gli argini della funzione che ha nel linguaggio tradizionale per trascinare le parole nel campo dell’evocazione: descrivere la bellezza di un suono attraverso l’associazione con un colore, evoca suggestioni supplementari, che spesso prescindono dalla comune valenza letterale per comunicare anche al lettore le associazioni inconsce germogliate nella creazione del poeta o dello scrittore.

Con quali altre figure retoriche può essere confusa la sinestesia?

Possiamo affermare che la sinestesia non è, tra le varie figure retoriche, quella che corre i maggiori rischi di essere confusa con altre; è invece interessante, come dimostra in modo evidente l’opera di Pascoli in primis, che per dispiegare il massimo del potenziale evocativo viene spesso associata a procedimenti fonetici come l’anafora, l’onomatopea, l’allitterazione, in modo tale da trascinare il lettore ancora più efficacemente sul terreno della suggestione operata dal potenziamento semantico delle parole adoperate ad arte.

Come illustrare il suo significato agli studenti

Bisogna far leva sulla curiosità e anche sul divertimento generati dal “gioco” dell’individuazione della sinestesia, come di altre figure retoriche. Se si innesca la voglia di individuarla e di riconoscerla, quindi di catalogarla correttamente, avrà anche senso allora attribuire un punteggio per ogni esempio che viene correttamente indicato. Una volta avviato questo tipo di approccio, potrà aver senso invitare i ragazzi a produrre loro stessi, in un testo, un certo numero di sinestesie.

Aspetti ludici della sinestesia

L’individuazione di questa come di altre figure retoriche consente di giocare con le parole in modo differente: più libero rispetto alle consegne che si hanno quando ci si trova a dover usare le parole in un modo più convenzionale. Un po’ come se a degli automobilisti comunicassimo che in un determinato tratto di strada è stata alzata in modo considerevole la soglia di velocità.

Esempi poetici sulla sinestesia

Nei testi letterari di ogni epoca possiamo individuare l’utilizzo di questo che è anche un espediente psicologico, oltre che una “normale” figura retorica; sin dal Medioevo ne veniva fatto un uso se non proprio sistematico, perlomeno diffuso.
• In questo senso, possiamo pescare direttamente tra i versi del Poeta per antonomasia della nostra tradizione letteraria, ovvero Dante Alighieri. Soltanto due esempi, tra i versi della Divina Commedia, per rendere l’idea di come anche la descrizione dei più semplici fenomeni naturali può generare un’impressione nitida e molto più marcata nella sensibilità del lettore: “Là dove ‘l sol tace” o “Io venni al loco d’ogne luce muto”. La descrizione del buio attraverso l’associazione al fenomeno uditivo, in questo caso per l’assenza di quest’ultimo, potenzia in modo evidente l’efficacia del significante, per rendere indelebile, oltre che poeticamente indelebile, l’effetto del significato.

• Detto ciò, nella storia letteraria italiana ed europea c’è un’epoca, che potremmo contestualizzare tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, durante la quale la suggestione operata dal procedimento retorico della sinestesia conquista in modo totalizzante il centro della scena poetica. Siamo nel bel mezzo del Decandentismo e soprattutto della corrente poetica del Simbolismo, ossia in una fase artistica e letteraria durante la quale alla valenza sentimentale del Romanticismo si è sostituito un approccio totalmente inconscio alla percezione degli elementi della realtà, fossero anche i più comuni. Soltanto il poeta sa orientarsi nel mezzo di quella “foresta di simboli” che è la natura, o la realtà in generale; riesce a farlo in virtù della sua sensibilità eccezionale, della sua coscienza di eletto, privilegio e dannazione al tempo stesso, perché il rovescio della medaglia dato dal possesso di un’anima e di una sensibilità così poco comuni sono la goffaggine e la pressoché totale impossibilità di “camminare tra gli uomini comuni”, come il maestoso albatros dell’omonima poesia di Charles Baudelaire, nel momento in cui atterra sul ponte delle navi, deriso da mozzi e marinai. A una vena poetica connotata in questa maniera, la sinestesia risulta non soltanto utile e funzionale, ma indispensabile; forse, se esistesse una graduatoria in tal senso, diremmo che si tratta della principale figura retorica alla quale deve ricorrere, obbligatoriamente aggiungiamo, il poeta che voglia esprimersi secondo i canoni del Simbolismo, plasmando i suoi versi senza alcuna mediazione della razionalità e nemmeno del sentimento, perché anche quest’ultimo implica in un modo o nell’altro un filtro razionale. Visto che lo abbiamo già nominato, allora ci permettiamo anche di dire che proprio Baudelaire ha probabilmente scritto quello che, oltre che un capolavoro, è anche il manifesto poetico del potenziale della sinestesia per la poesia ottocentesca, ovvero il testo di “Corrispondenze”, nel quale, dopo aver premesso per l’appunto che la Natura, con la maiuscola, va intesa da chi riesce a intenderla come una miniera di simboli, si addentra in una serie di associazioni basate sulla fusione, o confusione, ché piacevolmente labile resta il confine, in campo poetico, di varie percezioni sensoriali. Nei versi troviamo la descrizione di suoni che rispondono ai colori, così come a loro volta i colori rispondono ai profumi. Ecco allora che ci sono profumi per rendere la freschezza dei quali si utilizza come esempio la morbidezza della pelle di un bambino; per dire della loro dolcezza li si associa al suono di un oboe; per descrivere la naturalezza della loro essenze si usa tutto l’impatto visivo del potenziale cromatico, come quando Baudelaire, senza bisogno di altri orpelli testuali, scrive che alcuni profumi sono:

“Verdi come i prati”

• Dopo aver reso omaggio al padre e, anagraficamente, precursore del Decadentismo, possiamo scendere di qualche grado di latitudine, per addentrarci nella non meno florida poesia italiana del diciannovesimo secolo. Nella celeberrima “San Martino” Giosuè Carducci scrive per esempio che: “Va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar”, rendendo il profumo del mosto attraverso una nota olfattiva; oppure, ne “Il bove”: “Il divino del pian silenzio verde”, con evidente connubio vista-udito.

• Per scendere direttamente sul terreno del Decadentismo italiano, non possiamo non citare il Vate Gabriele D’Annunzio e la sua poetica dal suadente impatto retorico e immaginifico, il quale ne “La sera fiesolana”, immaginando di rivolgersi a un’ipotetica donna amata, non importa se reale o immaginaria, le dice: “Fresche le mie parole nella sera…”, a metà strada tra tatto e udito.

• Ma se D’Annunzio risulta essere, indiscutibilmente, il più appariscente poeta decadente nell’Italia di fine Ottocento, è Giovanni Pascoli colui i cui versi sono più assimilabili ai maestri del Simbolismo francese. Ci viene subito alla mente: “L’odore di fragole rosse” ne “Il gelsomino notturno”, con la potenza della fusione vista-olfatto; oppure, nella innovativa e anticonvenzionale “L’assiuolo”: “Soffi di lampi”, con tutta la resa subitanea della commistione vista-tatto. Del resto, in quella sorta di manifesto programmatico della versificazione pascoliana che è la “poetica del fanciullino”, quando l’autore romagnolo esemplifica il modo in cui il poeta deve approcciare la realtà con lo stesso sguardo incontaminato e “vergine” di qualsivoglia esperienza che ha il bambino molto piccolo di fronte alla scoperta delle cose, degli elementi anche più semplici della natura, già nelle premesse sottintende che la “riscoperta” della realtà attraverso uno sguardo diverso, necessita di una transcodificazione delle cose, attraverso un modo differente e più profondo di rendere la loro natura, per fare emergere il loro aspetto più segreto e misterioso, la loro recondita essenza. L’impatto che un veicolo descrittivo come la sinestesia può dunque avere sull’allestimento dei versi è esattamente quello della “riscoperta” dell’effetto che le cose stesse, sempre partendo dalle più semplici, possono avere sui sensi, che a loro volta vengono utilizzati non più nella maniera usuale, ma in modo tale da essere reinventati essi stessi attraverso l’attraversamento del confine tra gli uni e gli altri. L’efficacia di un’operazione retorica del genere è dimostrata dal fatto che questa specie di commistione non depotenzia l’una o l’altra percezione sensoriale: al contrario, risultano potenziate a vicenda: l’odore delle fragole, ovviamente ben presente a ogni lettore, attraverso la resa cromatica nel verso specifico di Pascoli, è come se risultasse, più forte, più persistente. Al tempo stesso, attraverso la descrizione, quell’aggettivo “rosse” non ci aiuta soltanto a visualizzare nella mente l’invitante frutto di bosco, ma ci appare a quel punto inscindibile dalla nota olfattiva evocata dal colore, che non nostro cervello era già “abbinato” a quel frutto e al suo profumo, per quella sorta di memoria genetica che è la nostra consolidata esperienza sensoriale. Ancora, Giovanni Pascoli risulta essere l’esempio più evidente del potenziale di questa figura retorica perché, allo stesso modo in cui la sinestesia reinventa suoni, colori o profumi decodificandoli attraverso l’ausilio di codici sensoriali differenti, così il poeta di San Mauro utilizza accenti e cadenze ritmiche all’interno dei suoi versi in maniera tale da colpire l’attenzione del lettore con sonorità inconsuete: rime interne, suoni e rumori inseriti nei versi hanno in comune con la sinestesia la potenzialità dell’inconsueto, dell’inedito pur raccontando di paesaggi, sentimenti o elementi naturali ben conosciuti dalla totalità dei lettori, anzi decisamente comuni, ordinari.

• Sconfinando ai primi anni del Novecento e scartabellando tra i versi di alcuni maestri transitati attraverso la poetica dell’Ermetismo per poi approdare a un’individuale maturità artistica, non possiamo non citare Salvatore Quasimodo, che in “Alle fronde dei salici” descrive: “L’urlo nero della madre” per sintetizzare le atrocità della guerra attraverso l’associazione udito-vista, con una straziante immediatezza, con un “pugno” visivo e uditivo che attraverso la lettura si abbatte sull’animo del lettore per renderlo drammaticamente partecipe di un dolore ineguagliabile, che non fa piangere ma soltanto urlare, per poi approdare al terreno arido della desolazione di chi, per l’appunto, non ha più lacrime.

• Oppure, Eugenio Montale, che in un passaggio de “I limoni” descrive il colore di questi agrumi associandolo a: “Le trombe d’oro della solarità”. Attraverso l’evocazione del sono dirompente di quel particolare strumento musicale, non sembrano ancora più gialli e persino più profumati i limoni della poesia?