Canto VII Inferno di Dante: analisi e figure retoriche
Il Canto VII dell’inferno di Dante Alighieri rappresenta una tappa fondamentale nel viaggio del poeta attraverso i gironi infernali, offrendo una riflessione profonda sulla natura umana e sulle conseguenze dei vizi legati al denaro e alle emozioni incontrollate.
- Canto 7 dell'inferno: riassunto e sintesi dei temi
- La struttura e l'analisi
- Le figure retoriche
- Il ruolo della Fortuna
- Il simbolismo della palude dello Stige
- La figura di Pluto
Canto 7 dell’inferno: riassunto e sintesi dei temi
Nel Canto VII, Dante e la sua guida, Virgilio, si trovano al cospetto di Pluto, il demone guardiano del quarto cerchio dell’Inferno. Questo cerchio è destinato agli avari e ai prodighi, due categorie di peccatori che in vita hanno avuto un rapporto distorto con la ricchezza: i primi accumulando eccessivamente, i secondi sperperando senza misura.
La punizione per questi peccatori consiste nel spingere enormi massi con il petto, in un movimento circolare che li porta a scontrarsi continuamente, insultandosi reciprocamente con frasi come “Perché tieni?” e “Perché burli?”. Questo eterno sforzo simboleggia l’inutilità delle loro azioni in vita e rappresenta il contrappasso per la loro mancanza di equilibrio nel gestire i beni materiali.
Successivamente, i due poeti giungono alla palude dello stige, dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi. Gli iracondi sono immersi nel fango e si percuotono incessantemente, mentre gli accidiosi sono sommersi sotto la superficie della palude, gorgogliando tristemente. Queste pene riflettono la natura dei loro peccati: la rabbia incontrollata e l’apatia verso la vita.
Un tema centrale del canto è la riflessione sulla Fortuna, personificata come una figura divina che distribuisce i beni terreni secondo il volere divino. Virgilio spiega a Dante come la Fortuna sia spesso incompresa dagli uomini, che la maledicono per le loro sventure, ignorando il suo ruolo nel mantenere l’equilibrio dell’universo.
La struttura e l’analisi
Il Canto VII si apre con l’enigmatica esclamazione di Pluto: “Papé Satàn, papé Satàn aleppe!”, una frase che ha suscitato numerose interpretazioni nel corso dei secoli. Questo incipit crea un’atmosfera di mistero e tensione, introducendo il lettore al mondo oscuro del quarto cerchio.
La struttura del canto può essere suddivisa in tre parti principali:
- Incontro con Pluto: dopo l’invocazione iniziale, Virgilio affronta Pluto, rassicurando Dante e permettendo loro di proseguire il viaggio.
- Descrizione del quarto cerchio: qui vengono presentati gli avari e i prodighi, con una dettagliata descrizione della loro pena e delle dinamiche interne al cerchio.
- Transizione al quinto cerchio: i poeti attraversano la palude dello Stige, osservando le pene degli iracondi e degli accidiosi, e si avvicinano alla città di Dite.
Dal punto di vista stilistico, Dante utilizza un linguaggio aspro e duro, con rime difficili e consonanti doppie, per riflettere la natura dei peccati trattati e l’ambiente infernale.
Le figure retoriche
Nel Canto VII, Dante impiega diverse figure retoriche per arricchire il testo e sottolineare i temi trattati, conferendo maggiore forza espressiva alla narrazione e rendendo più vivida l’immagine dell’Inferno.
Un’importante figura retorica presente nel canto è l’allitterazione, ossia la ripetizione di suoni consonantici simili in parole vicine. Questo espediente stilistico contribuisce a creare un effetto ritmico e sonoro che enfatizza l’atmosfera cupa e opprimente dell’Inferno. Un esempio significativo di allitterazione si trova nei versi 121-126, dove la ripetizione della lettera “r” in parole come “Tristi”, “aere”, “allegra”, “portando”, “dentro”, “or”, “attristiam”, “negra”, “gorgoglian”, “strozza” amplifica la sensazione di malinconia e oppressione che caratterizza la palude dello Stige.
Un’altra figura retorica rilevante è l’onomatopea, che consiste nell’uso di parole che imitano suoni reali. Nel verso 125, il termine “gorgoglian” richiama il rumore prodotto dalle anime immerse nelle acque dello Stige, contribuendo a rendere più concreta e tangibile la loro sofferenza. Questo espediente accentua il senso di inquietudine e angoscia, immergendo il lettore nella desolazione del luogo.
L’enumerazione è un altro elemento stilistico utilizzato da Dante per rendere più incisiva la descrizione delle pene infernali. La lista di azioni compiute dai dannati, come nel passo “si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi” (vv. 112-113), sottolinea la violenza e la disperazione che caratterizzano i peccatori immersi nel fango dello Stige. L’uso della coordinazione cumulativa enfatizza il caos e l’irrazionalità della loro condizione, mettendo in evidenza la condanna eterna cui sono sottoposti.
La similitudine, un altro importante strumento retorico, permette di stabilire un confronto visivo tra due elementi, creando immagini evocative e potenti. Nel canto, la caduta di Pluto è paragonata a una vela che si affloscia quando l’albero si spezza: “come le vele gonfiate cadono, quando l’albero si spezza” (vv. 13-15). Questa immagine enfatizza la sconfitta del demone, il quale, pur apparendo minaccioso, si rivela impotente di fronte alla volontà divina incarnata da Virgilio. La similitudine rafforza il senso di superiorità della giustizia divina rispetto alle forze infernali.
Infine, un ruolo centrale è svolto dalla personificazione, attraverso la quale Dante conferisce caratteristiche umane a concetti astratti. La Fortuna è descritta come una figura femminile divina che governa la distribuzione dei beni terreni, presentata come un’entità che opera secondo il volere divino e che, nonostante l’incomprensione degli uomini, agisce con giustizia. Questo espediente retorico rende più accessibile e concreta una tematica complessa come quella della variabilità della sorte, offrendo una riflessione profonda sulla volatilità delle ricchezze mondane e sull’inutilità dell’attaccamento eccessivo ai beni materiali.
L’uso sapiente di queste figure retoriche contribuisce a rendere il Canto VII particolarmente incisivo e coinvolgente, permettendo a Dante di trasmettere con forza il suo messaggio morale e teologico, e di rendere l’Inferno un luogo vivido e indimenticabile nella mente del lettore.
Il ruolo della Fortuna
Un elemento distintivo del Canto VII è la digressione sulla Fortuna, introdotta da Virgilio per spiegare a Dante la natura instabile dei beni terreni. La Fortuna è presentata come una ministra divina, incaricata di distribuire le ricchezze e gli onori mondani secondo un disegno superiore.
Virgilio descrive la Fortuna come una figura che, con mano celeste, guida la ruota della sorte, facendo sì che le cose terrene mutino in modo imprevedibile. Questo concetto sottolinea l’inutilità dell’attaccamento eccessivo ai beni materiali e invita a una riflessione sulla caducità delle cose mondane.
La personificazione della Fortuna riflette le credenze medievali, dove essa era vista come un’entità cap rico di determinare il destino degli uomini, al di là delle loro volontà e dei loro sforzi. Questo concetto era profondamente radicato nel pensiero medievale, influenzato sia dalla tradizione classica che dalla teologia cristiana. Dante, attraverso la spiegazione di Virgilio, suggerisce che la Fortuna non agisce in modo capriccioso o ingiusto, ma segue un ordine stabilito da Dio, sebbene gli uomini, limitati nella loro comprensione, tendano a maledire il suo operato quando le sorti volgono al peggio.
La visione dantesca della Fortuna si contrappone a quella popolare, che la dipinge come cieca e imprevedibile. Virgilio sottolinea che il suo movimento non è casuale, ma necessario per il mantenimento dell’equilibrio universale. Questo discorso funge anche da ammonimento nei confronti di coloro che inseguono la ricchezza con avidità, senza comprendere che essa può mutare in qualsiasi momento.
Il simbolismo della palude dello Stige
Un altro elemento chiave del Canto VII è la palude dello Stige, che segna l’inizio del quinto cerchio dell’Inferno, riservato agli iracondi e agli accidiosi. Il fango dello Stige rappresenta la materializzazione della rabbia e della frustrazione accumulata in vita, mentre il continuo scontro tra gli iracondi rispecchia il tormento della loro stessa ira, che non si placa neanche nella morte.
Gli accidiosi, invece, sono condannati a rimanere sommersi nelle acque nere, senza poter esprimere la loro sofferenza se non attraverso un borbottio indistinto. Questa punizione è particolarmente significativa perché riflette la loro natura: in vita hanno scelto di rimanere passivi e inerti, incapaci di prendere posizione o di reagire attivamente alle sfide. Nell’Inferno, questa mancanza di volontà si traduce nell’impossibilità di emergere e di farsi sentire.
La palude dello Stige è anche un luogo di transizione: da qui, Dante e Virgilio iniziano il loro avvicinamento alle mura della città di Dite, l’ingresso agli inferi più profondi, dove sono puniti i peccati più gravi. Questo momento segna un punto di svolta nel viaggio di Dante, poiché da ora in poi affronterà peccati più complessi e dannosi per l’anima.
La figura di Pluto
Pluto, il guardiano del quarto cerchio, è un personaggio enigmatico, il cui ruolo è stato oggetto di molte interpretazioni. Il suo grido iniziale, “Papé Satàn, papé Satàn aleppe”, rimane un enigma irrisolto della Divina Commedia, tanto che molti studiosi hanno cercato di dare spiegazioni linguistiche e teologiche a questa frase apparentemente senza senso.
Alcuni critici vedono in Pluto una fusione tra il dio romano Plutone, sovrano dell’Oltretomba, e la figura demoniaca cristiana legata all’avidità e alla ricchezza. La sua presenza nel quarto cerchio non è casuale: rappresenta l’ossessione dell’umanità per l’oro e per i beni materiali, un tema ricorrente nella Commedia e nella visione morale dantesca.
Virgilio, con la sua autorità di guida e sapienza, ridimensiona subito Pluto, dimostrando che il potere divino è superiore a qualsiasi forza infernale. Il crollo di Pluto alla sola menzione della volontà divina sottolinea come anche le figure più temibili dell’Inferno siano, in ultima istanza, soggette al volere di Dio.