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Canto XXV Inferno di Dante: analisi e figure retoriche

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

​ Il Canto XXV dell’inferno di Dante Alighieri rappresenta una delle sezioni più intense e simbolicamente ricche della Divina Commedia. In questo canto, il poeta continua la sua esplorazione del settimo bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i ladri. Le scene descritte sono caratterizzate da trasformazioni mostruose e da una forte componente simbolica, offrendo al lettore una profonda riflessione sulla natura del peccato e della punizione divina.​

Riassunto del canto 25 dell’inferno

Il canto si apre con l’invettiva di Vanni Fucci, un ladro pistoiese, che, dopo aver predetto a Dante la sconfitta dei guelfi bianchi, rivolge un gesto blasfemo a Dio, mostrando la sua ribellione anche nell’aldilà. Immediatamente, tre furie infernali, identificate come le Furie mitologiche, lo attaccano, simboleggiando la vendetta divina contro la sua bestemmia.​

Proseguendo nel loro cammino, Dante e Virgilio assistono a scene di metamorfosi raccapriccianti: un serpente avvinghia un dannato, fondendosi con lui in una creatura ibrida; un altro serpente morde un peccatore, causando una trasformazione reciproca in cui l’uomo diventa serpente e viceversa. Queste trasformazioni rappresentano la natura subdola e ingannevole del furto, che altera l’ordine naturale delle cose.​

I personaggi principali

Nel canto emergono figure emblematiche:​

  • Vanni Fucci: ladro pistoiese noto per la sua violenza e arroganza, che, anche nell’Inferno, manifesta la sua natura ribelle attraverso gesti blasfemi.​
  • Cianfa Donati: membro di una nobile famiglia fiorentina, punito per furto, che subisce una metamorfosi con un serpente, perdendo la propria identità umana.​
  • Agnello Brunelleschi: altro ladro fiorentino, coinvolto in una fusione mostruosa con Cianfa, a simboleggiare l’interconnessione dei peccati e la perdita dell’individualità.​
  • Buoso degli Abati: dannato che scambia la sua forma con quella di un serpente, rappresentando la natura mutevole e ingannevole del peccato di furto.​
  • Francesco de’ Cavalcanti: coinvolto nelle trasformazioni, la sua figura sottolinea la diffusione del peccato tra le famiglie nobili fiorentine.​

La struttura e l’analisi del canto 25

Il canto è composto da 150 versi, suddivisi in terzine dantesche, con rima incatenata (ABA BCB CDC). La struttura ritmica conferisce al testo una musicalità incalzante, accentuando la tensione delle scene descritte.​

Dante utilizza un linguaggio vividissimo e dettagliato per descrivere le metamorfosi, creando immagini potenti che evocano repulsione e meraviglia. L’uso di similitudini e metafore arricchisce la narrazione, rendendo le trasformazioni ancora più impressionanti.​

La scelta di rappresentare i ladri attraverso continue mutazioni sottolinea la loro natura instabile e la perdita dell’identità, conseguenza diretta del loro peccato. La metamorfosi diventa così una punizione simbolica, in cui il contrappasso riflette la colpa commessa.​

Le figure retoriche

Dante impiega diverse figure retoriche per arricchire il testo e amplificare l’impatto emotivo delle scene descritte. Le similitudini svolgono un ruolo fondamentale nella rappresentazione delle metamorfosi, poiché i cambiamenti fisici dei dannati sono paragonati a fenomeni naturali o mitologici. Un esempio significativo è la fusione tra uomo e serpente, assimilata alla cera che si fonde, un’immagine che evidenzia la fluidità delle forme e la loro progressiva deformazione, simbolo della perdita dell’identità umana.

Le metafore rafforzano ulteriormente il senso di punizione divina, attribuendo ai serpenti un significato che va oltre la loro semplice presenza fisica. Essi incarnano il tradimento e l’inganno, qualità che contraddistinguono i ladri puniti in questa bolgia. Le stesse metamorfosi diventano metafore della corruzione dell’anima, segno di un’esistenza vissuta nella disonestà e nella menzogna.

Un’altra figura retorica ampiamente utilizzata è l’anastrofe, ovvero l’inversione dell’ordine normale delle parole, un espediente che Dante usa per enfatizzare concetti chiave o per creare un effetto di sorpresa nel lettore. Questo tipo di costruzione sintattica contribuisce a trasmettere un senso di disorientamento, riflettendo l’alterazione dell’ordine naturale delle cose che caratterizza il peccato e la punizione dei ladri.

Dal punto di vista fonetico, le allitterazioni svolgono un ruolo cruciale nel conferire musicalità ai versi e nel rendere ancora più vivide e inquietanti le immagini evocate. In particolare, la ripetizione dei suoni sibilanti richiama il sibilo dei serpenti, amplificando la sensazione di angoscia e pericolo che permea il canto.

Infine, l’uso dell’enjambement, cioè la prosecuzione di una frase oltre la fine del verso, contribuisce a creare un ritmo incalzante e spezzato, riflettendo l’incessante mutamento delle forme e l’instabilità che caratterizza il tormento dei dannati. Questo artificio stilistico rafforza la percezione della sofferenza eterna e della perdita di un’identità stabile, sottolineando il carattere ineluttabile della giustizia divina.

Simbolismo delle metamorfosi

Le metamorfosi descritte nel canto hanno un profondo significato simbolico. La fusione tra uomo e serpente rappresenta la degradazione dell’essere umano che, attraverso il peccato del furto, perde la propria identità e dignità. Il serpente, simbolo tradizionale dell’inganno e del male, incarna la natura subdola del ladro. La continua trasformazione sottolinea l’instabilità e l’inaffidabilità di chi vive nel peccato, incapace di mantenere una forma stabile e definita.​

Riferimenti mitologici e biblici

Dante arricchisce il canto con numerosi riferimenti alla mitologia classica e alla tradizione biblica, amplificando il valore simbolico delle punizioni e dei peccati. Alcuni riferimenti chiave includono:

  • La metamorfosi mitologica: Dante si ispira alle trasformazioni narrate nelle Metamorfosi di Ovidio, in particolare a quelle che coinvolgono uomini e serpenti. L’idea della mutazione perpetua richiama le storie di Glauco, Cadmo e Tiresia, sottolineando il carattere irreversibile della pena.
  • Il serpente biblico: la figura del serpente è un richiamo evidente al peccato originale narrato nella Genesi. Così come il serpente ingannò Eva inducendola alla disobbedienza, i ladri sono simbolicamente legati all’inganno e alla perdita dell’innocenza.
  • I centauri e la vendetta divina: all’inizio del canto, le Furie e i Centauri armati di serpenti appaiono per punire Vanni Fucci. Il centauro Caco, figura della mitologia romana, è particolarmente significativo: descritto da Virgilio nell’Eneide come un mostro ladro di bestiame, è inserito da Dante tra i dannati, rafforzando il concetto di giustizia divina inflessibile.

Il contrappasso

Il principio del contrappasso è un elemento chiave della Divina Commedia, e in questo canto si manifesta in modo particolarmente evidente. I ladri, colpevoli di aver sottratto beni altrui, si ritrovano ora privati della loro stessa forma umana.

  • La perdita dell’identità: la condanna più crudele per i dannati di questa bolgia è l’impossibilità di mantenere una forma stabile. Essi passano da uno stato all’altro, senza mai trovare una condizione definitiva, come simbolo del loro carattere ingannevole in vita.
  • Il furto della forma: così come hanno rubato agli altri durante la loro esistenza, ora subiscono il furto della loro stessa essenza. I serpenti, con le loro spire, tolgono ai peccatori l’aspetto umano e li trasformano in creature mostruose.
  • L’eterna insicurezza: i dannati sono destinati a un tormento infinito, in cui non esiste stabilità o certezza. Questa condizione riflette l’inquietudine dell’anima del ladro, sempre in bilico tra la menzogna e la realtà.

Il linguaggio e lo stile

Il linguaggio utilizzato da Dante in questo canto è tra i più vivi e dinamici di tutto l’Inferno. Attraverso un lessico carico di immagini forti e suggestive, il poeta rende visivamente potenti le metamorfosi e i tormenti dei dannati, immergendo il lettore in una dimensione in cui il dolore e la punizione diventano quasi tangibili.

Il realismo crudo con cui Dante descrive le trasformazioni è particolarmente evidente. I dettagli delle mutazioni sono quasi anatomici, permettendo di percepire il dolore fisico che accompagna questi cambiamenti. Le ossa che si accorciano, la pelle che si squama, i corpi che si fondono e si separano in un ciclo senza fine sono immagini di grande impatto visivo, capaci di evocare repulsione e meraviglia al tempo stesso.

Il tono drammatico che caratterizza la narrazione accentua ulteriormente la tensione e la violenza di questo canto. I versi sembrano affannosi, spezzati dal ritmo incalzante delle continue trasformazioni, quasi a voler riflettere il tormento senza fine dei dannati. Il senso di angoscia e instabilità è palpabile, e la scelta stilistica di Dante contribuisce a rendere la rappresentazione ancora più efficace.

Un elemento di grande rilievo è anche l’uso dell’invettiva, che emerge con forza nella figura di Vanni Fucci. Il ladro pistoiese, anziché sottomettersi al volere divino, manifesta tutta la sua rabbia con un gesto blasfemo, sfidando apertamente Dio. Questo atto di estrema arroganza introduce nella narrazione un ulteriore elemento di ribellione, che Dante non si limita a raccontare in modo neutrale. Il poeta, infatti, giudica severamente Vanni Fucci, esprimendo un tono indignato e moralmente inflessibile, coerente con la sua concezione della giustizia divina.