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Canto VI del Purgatorio di Dante: riassunto e personaggi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il Canto 6 del Purgatorio segna un momento di transizione, in cui la narrazione si apre a questioni politiche e spirituali di grande rilievo. Dopo aver ascoltato i racconti commossi delle anime morte in stato di pentimento nel canto precedente, Dante si trova ora immerso in una folla di spiriti che lo accerchiano e lo interrogano, colpiti dalla sua condizione di vivo.

Questo canto si distingue per l’intreccio tra la dimensione personale e quella collettiva: da un lato prosegue la riflessione sul destino delle anime che si affidano alla preghiera dei vivi, dall’altro si allarga a un’amara considerazione sullo stato di decadenza morale e politica dell’Italia del tempo.

È un canto che unisce commozione e denuncia, che parte dalla sorte dei singoli per arrivare a un’analisi lucida e dolorosa della fragilità delle istituzioni umane. Dante alterna registri lirici e civili con maestria, trasformando il paesaggio purgatoriale in uno specchio delle ferite del mondo terreno.

Le anime e la speranza della preghiera

Il canto si apre con una scena corale: numerose anime si avvicinano a Dante chiedendogli di portare notizia di loro ai vivi, affinché i loro cari possano intercedere con preghiere e messe per la diminuzione della pena. Questo elemento ribadisce il ruolo fondamentale della solidarietà tra vivi e morti nel cammino purgatoriale. Le anime sanno che, pur avendo ottenuto la salvezza, la loro purificazione dipende anche dal ricordo e dall’amore dei viventi. Dante si trova così nella posizione di mediatore spirituale, e la sua presenza nel Purgatorio diventa ancora più significativa.

Le anime non chiedono vendetta o giustizia terrena, ma intercessione, dimostrando come il Purgatorio sia un luogo di attesa fiduciosa, in cui il passato non è cancellato ma trasfigurato dalla speranza. L’autore mette in luce l’importanza della memoria, non solo come atto affettivo, ma come gesto concreto di partecipazione al destino eterno dell’altro. È una visione della vita come comunità di salvezza, dove nessuno si salva da solo e dove ogni atto d’amore ha valore eterno.

L’incontro con Sordello e il sentimento della patria

In mezzo a questa scena, Dante incontra Sordello da Goito, poeta mantovano vissuto circa un secolo prima. La scoperta della comune origine mantovana dà luogo a uno dei momenti più intensi del canto, perché Sordello, fino a quel momento distante e silenzioso, si illumina di affetto e rispetto per Dante.

Questo semplice riconoscimento diventa il punto di partenza per una profonda riflessione politica, che occupa la parte centrale del canto. L’incontro tra due concittadini, anche se separati da epoche diverse, mostra quanto possa essere forte il legame della patria, intesa come identità spirituale e culturale, non solo geografica. Ma proprio da questo spunto positivo nasce un contrasto amaro: Dante riflette sull’Italia del suo tempo, lacerata da guerre intestine, tradimenti e incapacità di guida. La patria, che dovrebbe essere motivo di unione, è invece divenuta simbolo di disgregazione e dolore.

Il poeta introduce così uno dei suoi grandi lamenti civili, trasformando il canto da meditazione religiosa in una denuncia politica appassionata, che trascende la cronaca e assume valore universale.

La degenerazione dell’Italia e il vuoto imperiale

Dante prosegue la sua invettiva con toni di amara constatazione, accusando i signori italiani di occuparsi solo di se stessi, di essere incapaci di governare con giustizia e visione comune. Denuncia la moltiplicazione dei conflitti, le alleanze effimere, l’assenza di uno Stato unitario.

In questo contesto, il poeta critica anche l’Impero, che secondo la concezione medievale avrebbe dovuto garantire l’ordine universale, ma che nella realtà contemporanea appare debole e assente. Dante si rivolge direttamente a Alberto d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, accusandolo di trascurare l’Italia, permettendo che diventi un “giardino senza custode”.

Il poeta denuncia non solo la corruzione dei governanti locali, ma anche l’assenza di una guida superiore capace di restituire all’Italia una direzione spirituale e politica. In questa parte del canto si fondono idealismo e amarezza, desiderio di giustizia universale e consapevolezza delle miserie storiche. È un grido che supera il tempo, rivolto non solo ai potenti della sua epoca, ma a ogni coscienza chiamata a prendersi cura del bene comune.

La funzione etica e politica della poesia

Il Canto 6 si distingue anche per la riflessione implicita sul ruolo del poeta. Dante, pur immerso in un viaggio ultraterreno, non dimentica mai la sua responsabilità nei confronti del mondo reale. Attraverso il dialogo con le anime e la denuncia civile, emerge una concezione della poesia come strumento di verità e di giustizia, non come semplice esercizio estetico. Il poeta non è colui che si rifugia nell’arte per ignorare il mondo, ma colui che usa la parola per illuminare le coscienze, per risvegliare il senso del dovere e della responsabilità.

In questo senso, il Canto 6 è un manifesto morale, che richiama ciascun lettore alla necessità di guardare alla propria epoca con occhi critici, senza cedere alla rassegnazione. La poesia diventa così una forma di resistenza etica, uno spazio in cui si coltiva la speranza di un mondo diverso, fondato su giustizia, memoria e compassione.

Conclusione: il Purgatorio come specchio della storia

Il Canto 6 del Purgatorio si chiude lasciando un’impressione di profonda inquietudine, ma anche di lucida consapevolezza. Attraverso l’intreccio tra vicende individuali e denuncia collettiva, Dante mostra che il Purgatorio non è solo il luogo dell’espiazione personale, ma anche uno specchio della storia umana.

Le anime che aspettano la salvezza non dimenticano il mondo da cui provengono, e il poeta stesso non può fare a meno di rivolgere il suo sguardo a quella terra che ha lasciato, ma che resta ferita e bisognosa di redenzione. Questo canto unisce l’altezza della teologia alla concretezza della cronaca, trasformando il cammino spirituale in un atto di impegno civile e culturale.

Dante invita il lettore a non considerare mai la salvezza come un fatto isolato, ma come un percorso che coinvolge anche la comunità, la giustizia, la politica. Così, la montagna del Purgatorio diventa metafora non solo dell’elevazione dell’anima, ma della possibilità di riscattare il mondo attraverso la verità, la parola e la responsabilità condivisa.