Purgatorio, Canto II: l’angelo nocchiero
Sulla spiaggia Dante e Virgilio incontrano l'essere celeste incaricato di accogliere sulla propria barca le anime dei penitenti, tra le quali c'è quella del musico Casella
L’angelo nocchiero e le anime penitenti
Il sole sta tramontando all’orizzonte di Gerusalemme, mentre la notte, che gira opposta al sole, sorge dal Gange nella costellazione della Bilancia: così, sulla spiaggia del Purgatorio, l’aurora, da rossa, muta progressivamente verso l’arancione. Dante e Virgilio sono ancora sul bagnasciuga, pensando al cammino li attende, quando dal mare s’intravede una luce simile a quella di Marte, quando è velato dai vapori che lo avvolgono, che si avvicina rapidamente a riva. Il poeta fiorentino le distoglie lo sguardo per pochi secondi, giusto il tempo di parlare brevemente a Virgilio, e quando si rigira è diventata ben più grande e splendente. Poco dopo, ai suoi lati e in basso compare qualcosa di bianco: il maestro rimane in silenzio, finché si rende conto che sono delle ali e, allora, grida a Dante di inginocchiarsi e di giungere le mani in segno di preghiera, perché si sta avvicinando un angelo del Paradiso. Gli spiega, poi, che l’essere celeste non usa né remi né vele o altri strumenti umani, ma fende l’aria con le sue penne eterne, che non cadono mai. Man mano che l’angelo si avvicina, Dante non riesce più a reggere lo sguardo e si sente costretto a volgere gli occhi a terra. Il nocchiero, quindi, giunge a riva spingendo una barchetta tanto leggera da non affondare minimamente nell’acqua: sta a poppa e nella barca ci sono oltre cento anime, che intonano il salmo ‘In exitu Israel de Aegytpo’. L’angelo fa loro il segno della croce e, non appena ognuna di loro si è gettata sulla spiaggia, riparte alla medesima velocità con cui è arrivato. Gli spiriti si guardano intorno, spaesati, mentre il sole è ormai alto e la costellazione del Capricorno sta già declinando dalla metà del cielo, e si rivolgono ai due poeti chiedendo di mostrar loro la via per il monte, ma Virgilio li informa che anch’essi sono appena arrivati in quel luogo, attraverso una via tanto aspra, che la salita sembrerà uno scherzo. Quando, però, le anime si accorgono che Dante sta respirando, e che quindi è ancora vivo, impallidiscono per lo stupore e si accalcano intorno a lui per la curiosità, quasi dimenticandosi della loro missione di purificarsi dai peccati.
Casella e il rimprovero a Catone
Dante vede una delle anime andargli incontro per abbracciarlo e fa altrettanto ma, per tre volte, il suo tentativo va a vuoto, in quanto le braccia attraversano lo spirito, del tutto inconsistente. Rimane stupito e lo spirito gli sorride, invitandolo a separarsi dagli altri penitenti. Una volta appartatisi, riconosce l’amico Casella e lo implora di fermarsi a parlargli, il quale prima ammette di volergli bene da morto tanto quanto gliene voleva da vivo, poi gli chiede perché si trovi in quel luogo. Dante risponde che sta compiendo questo viaggio allo scopo di salvare la propria anima e chiede a sua volta a Casella perché sia giunto soltanto ora in Purgatorio dopo la sua morte. Il penitente spiega che non gli è stato fatto alcun torto se l’angelo nocchiero gli ha negato più volte di condurlo lì, poiché la sua volontà riflette quella di Dio. In realtà, sono ormai tre mesi che l’angelo ha raccolto tutti quelli che sono voluti salire sulla barca ed è stato allora che è stato preso alla foce del Tevere, dove si raccolgono tutte le anime non destinate all’Inferno e dove l’angelo si è diretto dopo aver lasciato la spiaggia del Purgatorio. Dante prega Casella, se niente glielo vieta, di confortarlo col suo canto come faceva quand’era in vita, poiché si sente particolarmente affaticato. L’amico, allora, inizia a intonare ‘Amor che ne la mente mi ragiona’, cantando con una tale dolcezza che essa è ancora ben presente nell’animo di Dante. Anche Virgilio e gli altri spiriti restano in silenzio ad ascoltare, privando gioia e appagamento, come se non avessero altri pensieri. All’improvviso, però, ricompare Catone Uticense, che rimprovera aspramente le anime, accusandole di lentezza e negligenza e spronandole a correre sul monte per purificarsi dai peccati che impediscono loro di vedere Dio. I penitenti, quindi, di disperdono disordinatamente, come colombi spaventati durante il pasto: allo stesso identico modo, anche i due poeti scappano.