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Purgatorio, Canto IX: il sogno dell’aquila

Dopo essersi addormentato nella valletta e aver visto Santa Lucia accompagnarlo all'ingresso del regno, Dante incontra l'angelo guardiano, che incide le sette P sulla sua fronte

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Il sogno di Dante

Mentre l’aurora imbianca a poco a poco il cielo d’oriente, nel Purgatorio sono già trascorse circa tre ore dall’inizio della notte. Dante è particolarmente affaticato per il viaggio, soprattutto a causa del suo corpo in carne e ossa, e decide di sdraiarsi sull’erba nella valletta, addormentandosi pressoché subito. Sogna di veder planare sopra di sé un’aquila dalle penne d’oro, la quale poi volteggia e sembra sul punto di scendere a terra, e pensa di essere sul monte Ida, dove Ganimede venne rapito da Giove, tramutandosi proprio nel rapace. Quindi, immagina che l’animale piombi su di lui e lo ghermisca, portandolo in alto con sé fino alla sfera del fuoco, dove ha il sentore di bruciare. Nel sogno, il poeta prova dolore, il che lo induce a svegliarsi improvvisamente e, dopo essersi scosso come Achille a Sciro, quando non sapeva dove si trovasse poiché la madre Teti lo aveva ‘sottratto’ a Chirone mentre dormiva, impallidisce e si raggela: il sole è già alto nel cielo e accanto a lui c’è solo Virgilio, il quale si affretta a spiegargli che non ha nulla da temere, anzi, dovrebbe confortarsi del fatto che il viaggio stia procedendo bene e che sia ormai giunto, indicandogliela, alla porta del Purgatorio, scavata nella parete rocciosa del monte. Il poeta latino, poi, gli spiega anche che, poco prima, è giunta nella valletta una donna, che ha detto di essere Santa Lucia, che lo ha preso con sé ancora addormentato, per condurlo in alto. Quindi, lo ha trasportato fino alla porta del Purgatorio alle prime luci dell’alba, seguito da egli Virgilio, cui Lucia aveva indicato con gli occhi l’accesso al monte. Poi, al momento del suo risveglio, se n’è andata. Tale racconto conforta Dante e, ormai privo di dubbi e paure, procede verso la porta al seguito della propria guida.

L’angelo guardiano e l’ingresso nel Purgatorio

A questo punto, Dante avvisa il lettore che la materia del suo poema si innalzerà e che il suo stile diventerà, d’ora in avanti, ben più elevato. I due poeti, quindi, si avvicinano al punto in cui la parete rocciosa del monte è spaccata: lì, custodita da un angelo, si trova una porta, che si raggiunge salendo tre gradini, ognuno di colore diverso. Dante osserva l’essere celeste, seduto su quello più alto, il cui volto è così luminoso che è pressoché impossibile vederlo, esattamente come la spada che brandisce, la quale riflette i raggi del sole. A questo punto, l’angelo chiede loro cosa vogliano e chi li abbia condotti lì, avvisandoli che l’accesso alla porta potrebbe recar loro danno. Virgilio, allora, risponde che, poco prima, è stata Santa Lucia ad indicar loro la porta, ricevendo quindi il permesso di salire. Dante inizia a salire i tre gradini, dal primo, di marmo bianco e candido, talmente chiaro da potercisi specchiare, passando per il secondo, molto scuro e formato da una pietra ruvida che presenta una spaccatura sia in lunghezza che in larghezza, fino al terzo, che sembra di porfido, rosso come il sangue. Virgilio, davanti al proprio discepolo, lo invita a chiedere umilmente di aprire la porta, il quale si getta con devozione ai piedi dell’angelo, chiedendo misericordia dopo essersi battuto per tre volte il petto. Il custode gli incide sette P, tante quante sono i vizi capitali, sulla sua fronte con la punta della spada, raccomandandogli di lavare queste piaghe una volta avuto accesso alle Cornici. Poi, estrae dalla sua veste color grigio cenere due chiavi, una d’oro e una d’argento, con cui apre la porta, avvertendoli che, se una delle due non dovesse funzionare, non ci sarebbe modo di aprire l’uscio. Aggiunge, inoltre, che quella d’oro è più preziosa, ma quella d’argento richiede molta scienza e acutezza, in quanto è quella che permette al penitente di entrare. Le chiavi gli vennero date da San Pietro, il quale si raccomandò di sbagliare nell’aprirla piuttosto che nel tenerla chiusa, a patto che i penitenti mostrino una sincera contrizione. Infine, la spinge delicatamente, invitando i due poeti ad entrare e avvertendoli di non voltarsi perché, chi guarda indietro, viene rispinto fuori. Gli spigoli della porta, fatti di metallo massiccio, ruotano intorno ai cardini ed emettono un forte stridore, come se volessero mostrare che essa è restia ad aprirsi, più di quanto lo fu la rupe Tarpea dopo la rimozione di Metello. Dante ascolta ogni rumore con attenzione e gli sembra di udire – a fasi alterne, come i canti che subentrano al suono dell’organo – una voce che canta l’inno ‘Te Deum laudamus‘.