Purgatorio, Canto I: il paesaggio del Purgatorio
Nel Proemio della Cantica, Dante e Virgilio arrivano sulla spiaggia e incontrano il custode Catone Uticense
Il paesaggio del Purgatorio
Dante è pronto a lasciarsi alle spalle la crudeltà dell’Inferno e a percorrere – nel secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio – il cammino in cui l’anima umana si purifica e diventa degna di essere accolta in cielo. La poesia morta deve quindi risorgere e per tale motivo il poeta fiorentino invoca le Muse, in particolare Calliope, affinché lo assistano con lo stesso canto con cui vinsero, trasformandole in gazze, contro le figlie di Pierio. L’aria, percepita purissima fino all’orizzonte, sembra avere un bel colore, “di zaffiro orientale”, che trasmette a Dante un senso di gioia alla sola vista. Un’emozione diametralmente opposta a quella provata nella Cantica precedente, che gli ha invece rattristato tanto lo sguardo, quanto il cuore. La stella Venere illumina tutto l’Oriente, offuscando con la sua luce la costellazione dei Pesci che la segue. Dante, allora, si volta alla sua destra per ammirare il cielo australe, scorgendo quattro astri che nessuno aveva mai visto, ad eccezione dei primi progenitori. Il cielo sembra gioire della loro luce e pensa che l’emisfero settentrionale dovrebbe dolersi per essere privato di una tale grazie. Non appena, però, distoglie lo sguardo dalle stelle, rivolgendosi al cielo boreale da cui è ormai tramontato il Carro dell’Orsa Maggiore, vede accanto a sé un vecchio – Catone Uticense – dall’aspetto particolarmente autorevole. Egli ha una barba molto lunga e brizzolata, come i suoi capelli, divisi in due lunghe trecce che gli scendono lungo il petto. Il bagliore delle quattro stelle, poi, gli illumina il volto, al punto che Dante lo vede come se fosse di fronte al sole.
L’incontro con Catone Uticense e il simbolismo dell’alba
Il vecchio chiede ai due poeti chi essi siano, scambiandoli per due dannati fuggiti dall’Inferno risalendo il corso del fiume sotterraneo, chi li abbia guidati fin lì e domandandosi se le leggi infernali siano prive di valore o se in Cielo sia stato deciso che i dannati possano ora accedere al Purgatorio. Virgilio, allora, afferra Dante e lo induce a inchinarsi di fronte a Catone, abbassando lo sguardo in segno di deferenza, quindi risponde di non essere venuto lì di sua iniziativa, ma di esserne stato incaricato da una beata, Beatrice, che gli aveva chiesto di soccorrere Dante e fargli da guida. Il custode del Purgatorio, però, vuole maggiori spiegazioni e il poeta latino lo informa che il suo discepolo non è ancora morto, seppur abbia rischiato seriamente la dannazione a causa dei suoi peccati, e di avere il compito di salvarlo e proprio per tale motivo devono percorrere questa strada. Gli ha già mostrato tutti i dannati e adesso intende fargli osservare le anime dei penitenti che si stanno purificando. Narrare tutte le vicissitudini passate all’Inferno sarebbe complicato, ma il viaggio è voluto da Dio e di questo Catone deve rallegrarsene, dal momento che Dante sta cercando la libertà, cosa assai preziosa, al punto che tanti, per inseguirla, rinunciano alla loro stessa vita: esattamente come lo stesso Catone, che in nome di essa si suicidò a Utica pur essendo destinato al Paradiso e che, quindi, dovrebbe comprendere bene. Virgilio, poi, ribadisce che le leggi di Dio non sono state infrante, poiché Dante non è morto, mentre lui proviene dal Limbo, dove si trova la moglie di Catone, Marzia, ancora molto innamorata di lui. Il poeta latino, quindi, lo prega di lasciarli andare in nome dell’amore per la consorte, promettendogli di parlare di lui alla donna una volta che sarà tornato nel Limbo. Catone, però, risponde che, pur avendola amata moltissimo in vita, tanto da averle dato tutto ciò che voleva, adesso che è confinata al di là dell’Acheronte non è più in grado di commuoverlo. Tuttavia, poiché Virgilio afferma di essere guidato da una donna del Paradiso, è sufficiente invocare quest’ultima, senza la necessità di ricorrere alle lusinghe, e li invita, dunque, a proseguire, raccomandandosi con Virgilio di cingere i fianchi di Dante con un giunco liscio e di lavargli il viso, togliendo da esso ogni segno dell’Inferno, poiché non sarebbe opportuno presentarsi in quello stato davanti all’angelo guardiano alla porta del Purgatorio. Del resto, l’isola su cui sorge la montagna, nelle sue parti più basse dov’è battuta dalle onde, è piena di giunchi che crescono nel fango, unica pianta che può crescere in questo luogo grazie al suo fusto flessibile. Dopo aver compiuto tale rito, i due non dovranno, però, tornare in questa direzione, bensì seguire il corso del sole che sta ormai sorgendo. L’alba, in questo contesto, ha un forte valore simbolico: infatti, è la mattina di Pasqua, il giorno della liturgia che segna la Resurrezione di Cristo e la vittoria sul peccato, esattamente ciò che attende Dante durante la sua ascesa del Purgatorio. Terminato il proprio discorso, Catone svanisce e il poeta fiorentino si alza senza parlare, accostandosi al maestro, il quale lo invita a seguire i suoi passi e a tornare indietro, lungo il pendio che li conduce alla spiaggia. Alle prime luci del mattino, Dante può guardare in lontananza il tremolio della superficie del mare, mentre raggiunge la spiaggia deserta, con la sensazione di essere tornato sulla propria strada, precedentemente persa. Giunti in un punto in cui la rugiada è all’ombra e, quindi, non ancora evaporata, Virgilio pone entrambe le mani sull’erba bagnata e Dante, che ha capito cosa vuol fare il maestro, gli porge le guance bagnate di lacrime. La guida gli strofina bene il viso, fino a farlo tornare del colore che l’Inferno aveva coperto, poi, raggiunto il bagnasciuga, estrae dal suolo un giunco, col quale gli cinge i fianchi. Il Canto termina con lo stupore di Dante quando, lì dove Virgilio ha strappato il giunco, ne ricresce immediatamente un altro.