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Purgatorio, Canto XV: la legge del contrappasso positivo

Dante e Virgilio incontrano l'angelo della misericordia, commentano una frase di Guido del Duca e, dopo alcuni esempi di mansuetudine, fanno il loro ingresso nel fumo della III Cornice

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

L’angelo della misericordia e Guido del Duca

In Purgatorio è il vespro – mentre in Italia è ancora mezzanotte – e, i raggi del sole colpiscono Dante e Virgilio che hanno appena girato intorno al monte e stanno procedendo verso occidente. Il poeta fiorentino si meraviglia quando si accorge che la luce è aumentata d’intensità e si ripara gli occhi con la mano: lo colpisce come se fosse riflessa, in modo analogo a quando batte contro una superficie d’acqua o uno specchio, ed è talmente forte che non può far altro che distogliere lo sguardo. Chiede, quindi, alla sua guida cosa sia quel fulgore, il quale lo invita a non stupirsi se rimane abbagliato alla vista dei messi celesti: poco distante, infatti, c’è l’angelo della misericordia, che li sta invitando a salire. Man mano che si avvicina Dante prova sempre meno disagio, anzi, inizia a sentirsi lieto e, raggiunto l’essere sovrannaturale, questi li esorta a salire lungo una scala meno ripida delle precedenti. I due obbediscono e, alle loro spalle, sentono intonare il canto ‘Beati i misericordiosi’. Mentre percorrono i gradini, il poeta fiorentino chiede al suo maestro di spiegargli cosa intendesse dire Guido del Duca parlando di beni il cui possesso esclude la condivisione e Virgilio risponde che il penitente conosceva il proprio peccato d’invidia: gli uomini, infatti, desiderano quei beni materiali il cui godimento è tanto minore quanto maggiori sono i beneficiari, una situazione che genera un’accesa gelosia in chi ne rimane escluso. Tuttavia, se l’amore di Dio facesse desiderare i beni celesti, ciò non avverrebbe, perché nell’Empireo quanto più numerosi sono i possessori di un bene, tanto maggiori sono il godimento e l’ardore di carità. La risposta della guida, però, non soddisfa del tutto Dante, che stenta a capire come sia possibile che un bene posseduto da molti sia goduto in maggior misura rispetto a uno a disposizione di pochi. Il poeta latino, allora, afferma che non deve pensare ai beni terreni, perché quelli spirituali sono immediatamente rivolti a chi ama: del resto, Dio si concede a seconda della carità che trova nell’animo umano e, in cielo, l’amore è tanto maggiore quanto più numerosi sono coloro che provano tale nobile sentimento, esattamente come un raggio di luce che viene riflesso da uno specchio all’altro. Quindi, conclude che, se anche tale spiegazione non risulterà soddisfacente, sarà allora Beatrice ad offrirgliene una più chiara: pertanto, ha ora il compito di affrettarsi al fine di cancellare le cinque P incise sulla sua fronte.

Esempi di mansuetudine e ingresso nel fumo della III Cornice

Prima ancora di ringraziare il maestro, Dante si accorge che è ormai giunto alla III Cornice e si guarda intorno, con curiosità e attenzione, alla ricerca di cose nuove. Rimane rapito da una visione estatica, che gli mostra molte persone radunate in un Tempio, mentre una donna – la Vergine Maria – entra e rimprovera dolcemente Gesù, che ha fatto preoccupare sia lei che suo padre. Appena visione svanisce, ne compare immediatamente un’altra, in cui una donna piange, mentre si rivolge a Pisistrato, pregandolo di vendicarsi di colui che ha osato baciare in pubblico la loro figlia. Il tiranno di Atene, però, risponde che, se viene condannato chi li ama, sarà allora troppo dura la punizione per chi li odia. Quindi, gli appaiono alcune persone che, in preda all’ira e incitandosi l’un l’altro, lapidano un giovane martire – Santo Stefano – che cade a terra morente e volge gli occhi al cielo, chiedendo Dio di perdonare i suoi assassini. A questo punto, Dante torna in sé e si rende conto di aver avuto delle visioni e Virgilio, vedendolo camminare lentamente come qualcuno che si è appena sveglia da un sonno pesante, gli chiede cosa gli sia successo, avendolo persino visto, per un bel tratto di strada, con gli occhi velati e le gambe impacciate, come un uomo totalmente ubriaco o estremamente assonnato. Il poeta fiorentino risponde che gli racconterà ogni cosa vista, ma il maestro lo interrompe, affermando di aver già letto ogni cosa nella sua mente: lo informa che gli sono stati mostrati degli esempi di mansuetudine, allo scopo di distoglierlo dal peccato d’ira. Aggiunge, poi, di non avergli domandato cosa avesse per conoscere la ragione del suo barcollare, bensì per esortarlo ad affrettare il passo, come si è soliti fare con i pigri, sempre molto restii a muoversi quando aprono gli occhi al mattino. I due poeti, quindi, proseguono il proprio cammino mentre è ormai sopraggiunto il vespro, guardando in avanti con attenzione, perlomeno quando i raggi bassi del sole glielo consentono. All’improvviso, però, vedono avvicinarsi un fumo acre e denso, oscuro come la notte, dal quale risulta impossibile scansarsi, che li acceca completamente e che impedisce loro di respirare aria pura.