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Do ut des: cosa vuol dire e quando si usa

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Nascita dell’espressione

L’espressione latina – Do ut des – compare per la prima volata nel terzo secolo d.C., con accezione giuridica, in particolare per quanto riguarda un atto di compravendita. Viene adoperata da Giulio Paolo nel Digesto e nel corso dei secoli successivi è venuta sempre più affermandosi come semplificazione del più ampio – Aut enim do tibi ut des, aut do ut facias, aut facio ut des, aut facio ut facias -, che per semplificazione potremmo tradurre in un essenziale – Dopo quello che ti ho dato, ora aspetto che tu dia qualcosa a me -.

Il concetto originario contenuto nell’espressione

Trattandosi di una formula almeno in origine di natura giuridica, ciò che filosoficamente va sottolineato dell’espressione è il patto che impegna entrambe le parti contraenti l’accordo a rispettare ciascuna l’obbligo nei confronti dell’altra. Molto spesso la formula sottintendeva dunque il trasferimento di proprietà di un bene materiale o di una somma di monete a fronte del trasferimento, già in precedenza avvenuto, di qualche altra cosa.

Utilizzo moderno dell’espressione e risvolti filosofici e morali

L’espressione, nel corso dei secoli successivi, è stata utilizzata di continuo e ha proceduto di pari passo con una semplificazione progressiva del concetto; non con una banalizzazione dello stesso, però. Poche altre espressioni come – Do ut des – sono infatti la cartina di tornasole di quello che è diventato nel tempo il modo di pensare e di agire del cosiddetto “Homo economicus”, ossia secondo la teoria economica classica l’individuo che ha come caratteristiche precipue la razionalità e il conseguente interesse esclusivo per la cura dei suoi interessi individuali; per il suo “particulare” avrebbe detto Francesco Guicciardini.

La declinazione più in voga oggi del concetto è più o meno quella secondo la quale: – Nessuno fa niente per niente – o, per essere ancora più diretti: – Se faccio qualcosa per te mi aspetto qualcos’altro in cambio -. Ecco che allora basta una semplice espressione di tre sillabe e soprattutto l’attualizzazione progressiva della sua accezione per farci capire i valori, o la mancanza di valori se il lettore preferisce, che segnano e caratterizzano i tempi che stiamo vivendo. Tutto ha un prezzo, dunque, di conseguenza tutto è o sarebbe mercificabile. Secondo questa logica e soprattutto secondo tutti quelli che ne fanno un’ispirazione fondante per il loro modo di agire e di rapportarsi al mondo che ci circonda, sembrerebbero esclusi dei concetti come la generosità o la gratuità dell’atto, l’altruismo, l’agire disinteressato e tanti altri comportamenti che in realtà nobilitano l’animo umano e la stessa definizione di umanità.

Riflettendoci ulteriormente, potremmo dire che il motto in sé, che in origine era circostanziato e riferito a un ambito della vita importante ma circoscritto come quello economico e giuridico, dall’epoca classica fino all’attualità ha compiuto un percorso di diffusione che lo ha reso buono e valido per sintetizzare il modo che gli individui hanno, nel mondo occidentale, di rapportarsi ai loro simili.