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Alea iacta est: cosa vuol dire e quando si usa

Una frase latina diffusa nella lingua corrente, un significato eterno e un modo di dire sempre attuale. Vediamo cosa significa

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Il significato metaforico

Alea iacta est (si pronuncia àlea) è un proverbio latino noto già nell’antichità, che tuttora viene utilizzato di frequente nella lingua italiana. Se vogliamo tradurre questa espressione, la frase più utilizzata in italiano è “il dado è tratto”, anche se più avanti analizzeremo meglio il significato letterale.

Alea iacta est si pronuncia quando si è presa una decisione irrevocabile o in seguito a un’azione che non è più reversibile. “Il dado è tratto”, in effetti, ha un significato metaforico legato al fatto che una decisione è stata presa e a quel punto si possono solo accettare le conseguenze: la sorte è già stata decisa.

Il significato letterale

La parola latina alea significa sorte, ma anche il gioco dei dadi, mentre il verbo iacta est, da iacio, significa lanciare. Letteralmente alea iacta est si tradurrebbe con “il dado è stato lanciato”.

Nella storia

La frase è attribuita a Svetonio, biografo latino vissuto tra la seconda metà del I e la prima metà del II sec. d. C. Alea iacta est compare nell’opera De vita Caesarum, nel libro I, Divus Iulius. In un passaggio del libro Svetonio riporta che a pronunciare la frase alea iacta est sia stato proprio Cesare, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C., quando giunse con il suo esercito presso il fiume Rubicone, collocato nell’odierna Romagna. All’epoca il fiume Rubicone segnava i confini dell’Italia ed era proibito oltrepassarlo senza il consenso del Senato. Oltrepassando tali confini con il suo esercito, Cesare violò deliberatamente la legge, un gesto che provocò la seconda guerra civile, che vide Cesare contro Pompeo.

In realtà sembra che la frase non fosse stata pronunciata per la prima volta da Cesare, ma che fosse un’espressione usata da Menandro nella commedia Arreforo (La flautista) e che Cesare ripetè in un momento così decisivo.

Quidam eximia magnitudine et forma in proximo sedens repente apparuit harundine canens; ad quem audiendum cum praeter pastores plurimi etiam ex stationibus milites concurrissent interque eos et aeneatores, rapta ab uno tuba prosiluit ad flumen et ingenti spiritu classicum exorsus pertendit ad alteram ripam. tunc Caesar: ‘eatur,’ inquit, ‘quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas uocat.

Svetonio, De vita Caesarum, Divus Iulius, 32

Mentre esitava, gli si mostrò un segno prodigioso. Un uomo di straordinaria bellezza e di taglia atletica apparve improvvisamente seduto poco distante, mentre cantava, accompagnandosi con la zampogna. Per ascoltarlo, oltre ai pastori, erano accorsi dai posti vicini anche numerosi soldati e fra questi alcuni trombettieri: l’uomo allora, strappato a uno di questi il suo strumento, si slanciò nel fiume, sonando a pieni polmoni una marcia di guerra, e si diresse verso l’altra riva. Allora Cesare disse: “Andiamo dove ci chiamano i segnali degli dei e l’iniquità dei nostri nemici. Il dado è tratto.”

Svetonio, Vita dei Cesari, Cesare, 32

Alea iacta est: un errore?

Sebbene si riconosca in questa versione ufficiale l’origine dell’espressione alea iacta est, ci sono alcune imprecisioni che hanno portato gli studiosi a concludere che la versione del proverbio latino che tutti noi oggi conosciamo sia probabilmente il frutto di un errore di trascrizione.

Plutarco nelle “Vite parallele” racconta che l’espressione fosse stata pronunciata da Cesare in lingua greca, attingendo alla commedia di Menando Arreforo. Sembra proprio che la frase greca non fosse all’indicativo ma all’imperativo, e che quindi si tradurrebbe con “sia lanciato il dado” (e non “il dado è stato lanciato”). E’ molto probabile quindi che un errore di trascrizione nel testo di Svetonio abbia portato alla perdita di una lettera e trasformato il verbo esto (2° e 3° persona dell’imperativo futuro di sum, in italiano “sia”) in est (3° persona singolare dell’indicativo presente, in italiano è).