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L’ascesa inarrestabile di Cesare

Il suo nome è legato per sempre alla grandezza di Roma non solo per le grandi conquiste militari, ma anche per la sua abilità politica e la sua capacità di influenzare il corso della storia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Caio Giulio Cesare è stato uno dei personaggi più importanti della storia romana, ma la sua grandezza ha travalicato i confini del mondo antico, per farne una figura iconica, a tratti leggendaria.

La sua vita è stata caratterizzata da avvenimenti di ogni tipo, avventure, conquiste e tradimenti, ma anche dalla sua indiscutibile abilità politica e militare. Condusse le effigi di Roma dall’Egitto alla Gallia, mostrando doti di stratega non comuni, e allo stesso tempo fu illuminato uomo di governo, statista coraggioso, promulgatore di molte riforme che migliorarono la vita dei cittadini romani.

La sua morte tragica e prematura, scatenò la serie di eventi che portarono alla fine della Repubblica romana e all’inizio dell’Impero, ma la sua abilità politica e la capacità di influenzare il corso della storia resteranno esempi senza tempo.

Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore”. (Theodor Mommsen)

L’ascesa di Cesare

Nato nel 100 a. C., Caio Giulio Cesare apparteneva all’antica e nobile famiglia degli Iulii, discendenti di Enea, figlio di Venere. Nonostante il lignaggio, Cesare dovette far fronte a difficili situazioni economiche, per alleviare il peso delle quali strinse la sua prima abile alleanza, convincendo Crasso, uomo di scarsa abilità politica, ma dalle ingenti ricchezze, che utilizzava per pilotare le elezioni, a finanziare le sue campagne a favore dei populares e a pagare i debitori che lo perseguitavano.

Per la seconda furba sinergia da mettere in atto, Cesare fu tempestivo nell’intercettare il malcontento di Pompeo nei confronti del Senato, che si era limitato a tributargli il trionfo per la guerra contro Mitridate, respingendo le sue richieste di terre per i veterani e non ratificando i vari provvedimenti da lui emanati in Asia Minore. Con Crasso e Pompeo, dunque, nel 60 a.C., a Lucca, prese vita al’accordo che passò alla storia come ‘primo triumvirato’, ma che in realtà altro non fu che un patto elettorale per sostenere la candidatura al consolato dello stesso Cesare.

Eletto console l’anno successivo, Cesare rispettò i patti presi con Pompeo e Crasso, concedendo le terre ai veterani, ma si spinse anche oltre, ottenendo che si distribuissero terreni pure alla plebe. Stabilì anche che i verbali delle sedute del senato venissero resi pubblici e abolì gli auspici prima delle assemblee legislative.

Dal punto di vista della politica estera, Cesare sognava una Roma in grado di spostare sempre più a Nord i propri confini e si preparò il terreno ottenendo il comando proconsolare nella Gallia Cisalpina e nell’Illirico e il governo della turbolenta Gallia Narbonese. Prima di partire per nuove conquiste, però, si liberò dei suoi nemici optimates, allontanando dalla città Cicerone e Marco Porcio Catone.

Alla conquista della Gallia

Nel 58 a. C., approfittando della richiesta d’aiuto degli Edui, galli liberi alleati dei romani, Cesare attaccò e sconfisse in rapida sequenza gli Elvezi, i Germani e la coalizione antiromana delle popolazioni della Gallia del Nord, giungendo nel 57 a.C. sulle coste della Manica.

A questo punto Cesare fece ritorno in Italia, consapevole che in sua assenza in molti avevano fatto le loro mosse. Così, i populares si ritrovavano a combattere con le bande armate di un certo Milone, foraggiate dagli aristocratici, mentre Pompeo, preoccupato dal potere crescente di Cesare era tornato su posizioni senatoriali e tramato per il ritorno a Roma di Cicerone.

Giunto a destinazione nel 56 a.C., Cesare mostrò ancora una volta le sue doti di politico oltre che di leader militare: strinse un nuovo patto con Pompeo e Crasso, facendosi confermare proconsole in Gallia e assicurando loro l’elezione a consoli prima e a proconsoli poi entro l’anno successivo.

Il nuovo accordo ebbe però vita breve per il tradimento di Pompeo, che si schierò con l’aristocrazia accusando Cesare di attentare alle istituzioni repubblicane e che, dopo la morte di Crasso in battaglia contro i Parti, assunse il ruolo di console, ma con inediti poteri assoluti di guerra e di governo, e radunò un esercito per controllare la città.

Intanto Cesare era ripartito, arrivando nel 54 a.C. fino all’allora sconosciuta Britannia e inoltrandosi fino al Tamigi, quindi era tornato per assoggettare definitivamente la Gallia, sconfiggendo Vercingetorige ed i suoi Arverni, dopo due interminabili anni di assedio.

Da ‘Alea iacta est’, a ‘veni, vidi, vici’

Forte delle vittorie militari, Cesare pensò di riproporre la sua candidatura al consolato, ma il senato, temendo che volesse riprendersi il potere con la forza, pretese che tornasse a Roma da privato cittadino, lasciando il suo esercito oltre la soglia delineata dal fiume Rubicone.

Inizialmente Cesare accettò, a patto che anche Pompeo si presentasse senza esercito, ma di fronte al diniego dei senatori, il 10 gennaio del 49 a.C., varcò il confine prestabilito, divenendo automaticamente un nemico in base alla legge di Roma e pronunciando il famoso “Alea iacta est”.

La marcia di Cesare e del suo esercito verso Roma, più che trionfale, fu pressoché incontrastata. Pompeo fuggi in Macedonia, ma Cesare lo raggiunse in Grecia, sconfiggendolo nel 48 a.C. a Farsalo, in Tessaglia, e costringendolo a rifugiarsi in Egitto, dove re Tolomeo XIII, fratello e sposo di Cleopatra, lo fece uccidere, senza però suscitare la gratitudine del condottiero romano, già perdutamente innamorato della sorella.

La morte di Pompeo non fermò la campagna di riconquista di Cesare, che tra il 47 a.C. e il 45 a.C. debellò l’impero dagli ultimi nemici, spazzando via a Zela, in Asia Minore, i rigurgiti di indipendenza del figlio di Mitridate, liquidato con lo storico ‘veni, vidi, vici’, e sconfiggendo a Tapso, in Africa, e Munda, nel Sud della Spagna, i filo pompeiani superstiti.

Il governo di Cesare

Assunto il titolo di imperator, ossia di generale vittorioso, e di padre della patria, Cesare si fece nominare dittatore a vita, concentrando nelle sue mani tutti i poteri, pur mantenendo formalmente in vigore le istituzioni repubblicane. Nonostante l’immenso potere, Cesare non ne abusò mai e anzi lo utilizzò per portare avanti una profonda politica riformatrice, con decisioni anche rivoluzionarie e idee innovatrici.

Tra i provvedimenti più significativi sono da sottolineare:

  • Il ritorno a casa degli esiliati
  • La concessione della cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Cisalpina
  • L’emanazione di pacchetti di leggi per lo sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio
  • Il miglioramento dei meccanismi di governo delle province
  • La razionalizzazione del sistema di distribuzione gratuita del grano
  • L’avvio di una campagna di grandi opere pubbliche, dalla sistemazione del Foro, agli argini del Tevere, al prosciugamento delle Paludi Pontine, tramite le quali abbassare il tasso di disoccupazione
  • La realizzazione di colonie per garantire una decorosa sistemazione ai proletari

Il tradimento e la morte

Il buongoverno di Cesare non era affatto apprezzato dall’aristocrazia senatoria, interessata a ristabilire i privilegi perduti e preoccupata dell’influenza di Cleopatra e della possibilità di vedere instaurare una monarchia di tipo orientale. Ma anche i repubblicani più convinti iniziarono a non vedere più di buon occhio il grande condottiero.

È dunque in questo clima ostile che prese corpo la congiura che alle Idi di marzo del 44 a.C. vide Cesare cadere vittima dell’agguato ordito da Cassio e dal suo figlio adottivo, Marco Giunio Bruto, “Tu quoque, Brute, fili mi!”.

È opera di Cesare se, dalla passata grandezza dell’Ellade e dell’Italia un ponte conduce all’edificio più magnifico della moderna storia del mondo, se l’Europa occidentale è romanza, se l’Europa germanica è classica… l’edificio di Cesare è durato oltre migliaia di anni che hanno cambiato religione e Stato al genere umano e che hanno mutato perfino il centro di gravità della Civiltà e continua ad esistere per quella che noi chiamiamo eternità” (La storia di Roma)