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Il mito della caverna di Platone: racconto e spiegazione

Andrea Bosio

Andrea Bosio

INSEGNANTE DI FILOSOFIA E STORIA

Nato a Genova, è cresciuto a Savona. Si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Genova, occupandosi di storia della comunicazione scientifica e di storia della Chiesa. È dottorando presso la Facoltà valdese di teologia. Per Effatà editrice, ha pubblicato il volume Giovani Minzoni terra incognita.

Il mito della caverna è una delle allegorie più celebri della filosofia platonica e rappresenta una metafora potente sulla condizione umana rispetto alla conoscenza e alla verità. Platone presenta questa storia nel settimo libro della sua opera più famosa, la Repubblica, attraverso un dialogo tra Socrate e Glaucone. Questo mito esplora in modo simbolico la tensione tra il mondo sensibile, percepibile attraverso i sensi, e il mondo delle idee, accessibile solo attraverso la riflessione filosofica. L’allegoria è un richiamo all’importanza dell’educazione e della filosofia per liberare l’uomo dall’ignoranza, rappresentata dall’oscurità della caverna, e guidarlo verso la luce della conoscenza autentica.

Il mito della caverna: il racconto

Il racconto inizia con un gruppo di prigionieri incatenati fin dalla nascita all’interno di una caverna buia. Le loro catene non permettono loro di muoversi o girarsi: possono guardare solo la parete davanti a loro. Alle loro spalle, brucia un fuoco che proietta delle ombre sulla parete della caverna. Tra il fuoco e i prigionieri c’è un muro, dietro il quale alcune persone muovono degli oggetti, le cui ombre vengono proiettate sulla parete che i prigionieri vedono. Essi non possono vedere nulla se non queste ombre e, avendo vissuto in questo stato per tutta la loro vita, sono convinti che queste ombre siano la realtà.

Per i prigionieri, le ombre rappresentano tutto ciò che conoscono. Non possono immaginare che esista un’altra dimensione della realtà oltre a ciò che vedono proiettato sulla parete. Le voci delle persone dietro il muro che si mescolano ai movimenti delle ombre fanno credere ai prigionieri che queste ombre siano vive e parlanti. In questo contesto di assoluta ignoranza, i prigionieri vivono in una sorta di illusione permanente.

Platone immagina poi che uno dei prigionieri venga liberato dalle catene. All’inizio, quest’uomo prova dolore e disorientamento, poiché i suoi occhi, abituati all’oscurità, sono accecati dalla luce del fuoco. Ma, una volta che si abitua a questa nuova condizione, inizia a comprendere che le ombre che vedeva non erano la realtà, ma solo delle illusioni. Viene poi costretto a uscire dalla caverna, e qui la luce del sole lo acceca ulteriormente. Questo momento rappresenta il confronto con la verità e la conoscenza autentica.

Fuori dalla caverna, il prigioniero vede il mondo vero, fatto di oggetti reali e non di semplici ombre. Osserva per la prima volta i colori, i dettagli, e infine scopre il sole, che è la fonte di ogni cosa visibile. Capisce che il sole non è solo la causa della vita, ma anche della conoscenza: senza il sole, non ci sarebbe luce e, quindi, nessuna percezione del mondo reale.

Il prigioniero liberato, però, non può limitarsi a godere di questa scoperta. Decide di tornare nella caverna per liberare gli altri prigionieri, desideroso di condividere con loro la verità. Ma il suo ritorno nella caverna è doloroso, i suoi occhi faticano ad abituarsi di nuovo all’oscurità, e i prigionieri che non hanno mai conosciuto la luce lo deridono, incapaci di comprendere ciò che lui ha visto. Rifiutano di essere liberati dalle catene, preferendo restare nella loro illusione confortevole piuttosto che affrontare la realtà dolorosa e disorientante della conoscenza.

Il mito della caverna: la spiegazione

L’allegoria della caverna è un potente simbolo della condizione umana. Platone utilizza questa storia per illustrare come gli esseri umani siano prigionieri di una realtà illusoria, incapaci di percepire il mondo vero se non attraverso una trasformazione intellettuale. Le ombre proiettate sulla parete della caverna rappresentano le apparenze sensibili, ciò che vediamo e percepiamo attraverso i nostri sensi, ma che non corrisponde alla vera natura delle cose. Il muro e le catene simboleggiano i limiti imposti dall’ignoranza e dai pregiudizi, che impediscono agli individui di cercare la verità.

Per Platone, il cammino del prigioniero verso la luce rappresenta il processo educativo e filosofico che ogni essere umano dovrebbe compiere. L’uscita dalla caverna simboleggia il passaggio dal mondo delle apparenze al mondo delle idee, il luogo in cui risiede la verità. La luce del sole, che inizialmente acceca il prigioniero, è la metafora della conoscenza autentica e del bene supremo, che per Platone è il fondamento di tutto ciò che esiste. Solo chi riesce a contemplare le idee, soprattutto l’idea del Bene, può comprendere appieno la realtà e vivere una vita giusta.

L’atto di tornare nella caverna, invece, rappresenta il compito del filosofo. Chi ha raggiunto la verità non può accontentarsi di goderne da solo, ma ha il dovere morale di guidare gli altri verso la conoscenza. Tuttavia, Platone sottolinea come questo compito sia arduo: chi è prigioniero delle illusioni spesso non è disposto a liberarsi, e chi tenta di mostrar loro la verità viene visto con sospetto e ostilità. Questo rifiuto della conoscenza è una critica di Platone alla società del suo tempo, che preferisce le illusioni e le opinioni alle verità filosofiche.

L’allegoria della caverna si inserisce nella più ampia teoria delle idee di Platone. Secondo questa concezione, esistono due mondi: il mondo sensibile, percepito dai sensi, e il mondo intellegibile, accessibile solo attraverso il pensiero e la riflessione filosofica. Il primo è caratterizzato dall’instabilità e dal cambiamento, poiché le cose materiali sono soggette a nascere, mutare e morire. Il secondo, invece, è il regno delle idee o forme, entità immutabili ed eterne che rappresentano la vera essenza delle cose.

L’allegoria evidenzia anche l’importanza del ruolo educativo. Per Platone, il vero obiettivo dell’educazione non è semplicemente quello di trasmettere informazioni, ma di trasformare l’anima, aiutando l’individuo a passare dalle ombre della caverna alla luce della verità. Questo processo richiede uno sforzo costante e una guida adeguata, rappresentata dal filosofo-re, colui che ha visto il sole e che, con la sua saggezza, è capace di guidare la polis verso una vita giusta e ordinata.

L’interpretazione del mito della caverna va oltre la filosofia platonica e trova risonanze anche nelle epoche successive. Molti pensatori e autori hanno visto in questa allegoria un riferimento all’eterna lotta tra la conoscenza e l’ignoranza, tra il progresso intellettuale e la resistenza al cambiamento. Il cammino del prigioniero liberato rappresenta il difficile percorso di chi cerca la verità in una società che spesso preferisce restare confinata nelle proprie certezze.