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Virginia Woolf : biografia e opere della scrittrice britannica

L'esistenza tormentata e fuori dagli schemi di una delle più grandi scrittrici dell’avanguardia modernista del ‘900. Impegnata nella battaglia per i Diritti Civili e la parità di genere, fu avversa al Nazismo e intellettuale a tutto tondo. Fino alla morte per suicidio, posta in atto per annegamento

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Fatica e dolore in un mondo di uomini

Adeline Virginia Stephen nasce a Londra, il 25 gennaio 1882. Il padre, Sir Leslie Stephen, è un autore e un critico, mentre la madre Julia Prinsep-Stephen fa la modella.

La società in cui Virginia viene al mondo è basata su rigidi ruoli sociali; è raro che una donna possa decidere liberamente del proprio destino. Eppure, l’aria che respira in casa è pervasa da stimoli intellettuali. Se da un lato, dunque, vive un tempo fortemente maschilista – solo i fratelli sono ammessi a studiare all’università, mentre le “donne di casa” vengono educate da un istitutore – d’altro canto mai le manca il dibattito politico, la riflessione sull’arte e un certo qual approccio liberale.

Virginia cresce, dunque, con un grande dinamismo intellettuale, sviluppando contemporaneamente la convinzione di doversi creare una propria indipendenza. Solo così, infatti, le sarà possibile intraprendere la carriera che desidera. In “Una stanza tutta per sé” scrive infatti: «Una donna deve avere soldi e una stanza suoi propri, se vuole scrivere romanzi».

Una infanzia complessa, la sua. Funestata da un lutto profondo che ne condiziona lo stato d’animo in modo permanente. Il 5 maggio 1895, infatti, a soli tredici anni, perde la mamma improvvisamente, a seguito di una febbre reumatica fulminante. Si registra, in questo momento, lo schiudersi di quel baratro depressivo che la accompagnerà per tutta la sua esistenza, relegandola in un universo di alti e bassi oscuri e complessi. Due anni dopo, la morte della sorella Stella acuisce il malessere e quel senso di dolorosa precarietà che la accompagna.

Donna in gamba fin dalla giovane età, Virginia si segnala come scrittrice interessante già a poco più di venti. Collabora con il Times Litterary Supplement e inizia a insegnare Storia nel Collegio di Morley. È in una sua opera fortemente autobiografica che racconta di abusi subiti ad opera dei fratellastri (figli di un precedente matrimonio della mamma): la sua fiducia nel mondo e, in particolare, nel mondo maschile è fragile e precaria.

Nel 1905 perde anche il padre, quindi tenta il suicidio. Pur non riuscendo nell’intento, piomba in una devastazione emotiva difficile da fronteggiare.

Cambiare casa, cambiare vita: il Bloomsbury set

Non più condizionati dalla presenza impegnativa del padre, Virginia e tre dei suoi fratelli – Vanessa, Adrian e Thoby – decidono di lasciare l’abitazione di famiglia. Si trasferiscono nella zona ovest di Londra, a Bloomsbury, scelta provvidenziale. In casa, infatti, iniziano ad aggirarsi personaggi di spessore. Intellettuali, politici, filosofi, economisti che creano una sorta di gruppo permanente in cui si dibatte d’attualità e principi senza alcun preconcetto. Tra i nomi degni di nota, si annoverano Keynes, Bertrand Russell, Wittgenstein, T.S. Eliot e la leader del movimento delle suffragette Emmeline Pankhurst.

Il gruppo dominerà la vita culturale inglese per circa un trentennio. Gli incontri si tengono ogni giovedì sera; nello stesso periodo, Virginia si dedica ad impartire ripetizioni alle operaie dopo il turno di lavoro, la sera, in un collegio di periferia.

Nel 1912, sposa Leonard Woolf – teorico politico, scrittore, editore ed ex funzionario pubblico – che la ama di un amore forte e determinato. È lui, infatti, a sostenerla nel momento più buio, quando – il 9 settembre 1913 – ingerisce “senza successo” cento grammi di Veronal, tentando ancora una volta di togliersi la vita.

Tre anni dopo scrive il romanzo “La crociera”, ancora legato alla tradizione letteraria ottocentesca, mentre nel 1917, insieme al marito Leonard, apre la casa editrice Hogarth Press con cui pubblica le opere di nuovi talenti letterari come lo stesso T.S. Eliot.

Nel 1919 pubblica due romanzi: “Kew Gardens” e l’ottimamente criticato “Notte e giorno”. Ormai è una scrittrice a tutto tondo.

Gli anni della maturità letteraria e l’amore per una donna

Nel 1925 Virginia ottiene un meritatissimo successo con la pubblicazione del romanzo “La signora Dalloway” che racconta una giornata della vita londinese di Clarissa, una dama sposata con un deputato conservatore e madre di un’adolescente. Una giornata in senso stretto: la vicenda vede il proprio abbrivio in una soleggiata mattina del 1923 e termina la notte stessa, al termine di una festa celebrata a casa Dalloway. Ma durante la giornata avviene un fatto tragico: il suicidio di un giovane tornato dalla guerra decisamente provato.

L’elemento innovativo che caratterizza l’opera è lo stile narrativo. I fatti sono descritti dal punto di vista dei personaggi lungo un flusso di coscienza profondamente intimo e intimista. È da questo momento che la si può considerare a tutti gli effetti una brillante espressione del modernismo letterario.

Nello stesso 1925 Virginia si innamora della scrittrice Vita Sackville-West, anche lei sposata. Entrambe scelgono di non separarsi dal proprio marito e mantengono tra di loro una durevole e affiatata amicizia.

Se i ricordi d’infanzia di Virginia ruotano attorno alle vacanze in Cornovaglia – in cui con la famiglia si trasferiva d’estate – la scrittrice matura traspone la vista sulla spiaggia che si godeva dalla casa in un’opera considerata da molti come il suo punto più alto. Nel 1927, infatti, scrive “Gita al faro”, la cui copertina viene disegnata dalla sorella Vanessa, pittrice impressionista.

Il romanzo appare, di fatto, la biografia della sua famiglia: i sette protagonisti sembrano rappresentare Virginia e i suoi fratelli alle prese con le proprie vicende quotidiane.

Nel frattempo, in Europa, Hitler…

Non è un mistero che Adolf Hitler avesse progettato l’invasione della Gran Bretagna. Ebbene, “allegata” all’operazione militare denominata “Leone Marino”, vi era una lista di intellettuali inglesi considerati pericolosi. Tra di essi, neanche a dirlo, Virginia Woolf.

La scrittrice e il marito Leonard – ebreo – in ogni caso, avevano in mente una soluzione estrema, nel caso l’invasione fosse andata a buon fine. Neanche a dirlo: il suicidio. Da porre in atto o nel garage di casa – aspirando i gas del tubo di scarico dell’automobile – o, in alternativa, attraverso una fiala con una dose letale di morfina fornitagli di Adrian, il fratello psichiatra di Virginia.

Un finale annunciato

C’è ovviamente tantissimo della donna e della scrittrice Virginia all’interno della sua produzione letteraria. Nel linguaggio, nella voce narrante, nei temi che si riflettono e si respirano tra le pagine. Scetticismo, delusione, paura del mondo, solitudine. E quel sottile senso di colpa che, strisciante, si trasforma in tormento.
La donna, aggredita da emicranie potenti e lunghi periodi d’insonnia, è accompagnata da pensieri suicidi in ognuno dei piani della propria esistenza: quello della realtà e quello del racconto.

Alcuni medici attribuiscono i suoi problemi di salute agli sforzi della scrittura; giungendo perfino a suggerirle di abbandonarla, visto che gli episodi peggiori – che nel suo diario chiama «l’onda» e «l’orrore» – sopraggiungono nella fase di “down” post sforzo letterario.

Eppure la scrittura per Virginia è un bisogno, un’estensione di sé; specchio e ancora.

Non abbastanza forte, però, da impedire che il 28 marzo 1941 ella riesca nel suo fatale intento.

Scrive due lettere, al marito Leonard e alla sorella Vanessa. Poi, indossa il cappotto e ne riempie le tasche di sassi. Quando si addentra tra le acque del fiume Ouse, il suo destino è segnato.