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I tratti tipici della storiografia di Tito Livio

Ammirato da Dante Alighieri e Niccolò Machiavelli, è considerato uno dei maggiori storici dell'Antica Roma

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

La storiografia latina

Per comprendere a pieno lo stile di Tito Livio, il rappresentante più caratteristico della storiografia latina, è bene sottolineare come essa – sin dalle origini – fosse considerata ‘sacra e ufficiale’, risalendo alle registrazioni dei pontefici. Tali connotati sono evidenti nella pressoché totale assenza di indagine critica e, al contrario, dal suo frequente ricorso alle tradizioni, in antitesi con quanto avvenuto invece precedentemente nell’antica Grecia, laddove sono andate via via perdute con il passare del tempo. Ciò non significa che nel mondo ellenistico esse non avessero valore, basti pensare a Erodoto, ma cambia completamente il concetto di fondo: per loro la leggenda non è sacra, ma qualcosa di cui è lecito dubitare e che può essere, talvolta, utile menzionare al fine di rendere un argomento più curioso, attraente o interessante. Gli storici romani, invece, riportano le tradizioni con un pathos profondo, che non è retorica o ornamento esteriore, ma partecipazione allo spirito che in esse si rispecchia: in altre parole, è una forma di espressione di chi si sente romano e intende trasmettere il proprio amore per la romanità. Un’altra grandissima differenza tra la storiografia latina e quella greca, poi, riguarda l’intenzione, della prima, di ergersi a storia del popolo e dello Stato, connettendosi e intrecciandosi intimamente alla vita della città e della sua gente. Del resto, le popolazioni con cui Roma è venuta a contatto interessano poco, se non nell’ottica conquistatrice: ad es., Cesare conferisce importanza ai Galli col solo intento di narrare le proprie vittorie. Il focus è la politica di Roma, compresi i contrasti e gli interessi delle differenti fazioni, e non gli usi e i costumi delle varie etnie soggiogate, con pochissime eccezioni, come le Origini di Catone o l’excursus di Tacito sulla Germania.

La storiografia di Tito Livio

Tito Livio, che si sentiva ‘profondamente’ romano, pur nella brevità con cui le espone, ricorre spesso in maniera piuttosto efficace alle antiche leggende. Sono proprio queste a dare ‘calore’ alla narrazione, nonostante egli stesso avverta di non credere alla maggior parte delle stesse. E, analogamente ai suoi ‘colleghi’, non vede altro all’infuori di Roma: sarebbe impossibile farsi un’idea chiara sulle abitudini, la società, gli ordinamenti, le aspirazioni o lo stile di vita di Sanniti, Etruschi, Cartaginesi, Greci d’Italia e d’Oriente, perché ciò che più viene messo in luce è la politica dell’impero. Ma, a questo ‘difetto d’interesse’ per gli altri popoli, Tito Livio ne contrappone uno profondo per le vicende della propria gente, cui non si sente estraneo e, pertanto, non le indaga in maniera critica, ma rimarcandone la propria partecipazione, in un certo senso rivivendole nei suoi testi. Tito Livio, come Sallustio e Tacito, pervade le opere di liricità, proprio perché considera la vita di Roma quella che vivono tutti, a partire da loro stessi. Qui si trova quell’ideale comune che, invece, è assente nella storiografia greca, lasciando al contrario spazio alla solennità, alla gravità e all’orgoglio nei confronti dell’Urbe, capace di fondare il più glorioso impero della storia dell’umanità. L’altra faccia della medaglia riguarda l’assenza di un’indagine del particolare, del dettaglio, laddove la narrazione del successo in battaglia è assai più importante del dove, precisamente, essa sia avvenuta, se le perdite nemiche siano state mille o 5mila o se le legioni impiegate siano state due oppure quattro. Ecco perché i racconti delle guerre, per quanto vivaci e coloriti, lasciano a desiderare da un punto di vista della tecnica e della tattica militare. Se ciò non vale per quelle di Cesare, che in fondo era un geniale generale, quelle di Tito Livio sono spesso desunte da Polibio e tutt’altro che prive di errori. Nonostante ciò, egli spicca per l’onestà, “fidei praeclarus in primis” per dirla alla Tacito, ed è un aspetto tutt’altro che banale. Non tutti, infatti, mostrarono la stessa fedeltà al resoconto dei fatti: della serie, se le minuzie non contano, anziché faticare per rintracciarle e renderne conto, perché non inventarle direttamente di sana pianta? A ciò va tuttavia aggiunto che, parallelamente alla ‘falsificazione consapevole’, vi è una parte considerevole di informazioni mendaci introdotte più o meno in buona fede. E il motivo è sempre lo stesso, e cioè l’assenza di coscienza critica unita alle vanità nazionale e gentilizia. La conseguenza è che persino uno storico assennato come Tito Livio si è così ritrovato costretto a ripetere fatti mai realmente accaduti, semplicemente rifacendosi agli annali conosciuti. Un’ulteriore pecca della storiografia latina, poi, è la mancanza della ricerca del documento, considerato al contrario una curiosità ricca di significato per i greci. Mai, Tito Livio, così come Sallustio e Tacito, cercherebbe il testo autentico di un trattato, di una legge e di un senatus consultum: non mancano esempi in cui egli si accontenta, citando i suddetti annali, di specificare come tali ricostruzioni siano da ritenere false. Nonostante ciò, le sue opere furono considerate un esempio di stile e di rigore, dall’epoca dell’impero fino fin oltre il Medio Evo, ammirato da Dante Alighieri e Niccolò Machiavelli.