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Origine della commedia greca

La produzione teatrale comica, che conosciamo essenzialmente grazie alle opere di Aristofane, nacque ad Atene nel V secolo a.C.

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

La commedia antica

La cosiddetta commedia antica, la produzione teatrale comica di cui siamo a conoscenza essenzialmente grazie alle opere del suo massimo esponente, Aristofane, scritte in versi, con passaggi prevalentemente parlati e alcune scene cantate, nacque ad Atene nel V secolo a.C., circa cinquant’anni dopo la tragedia, affermandosi, tuttavia, soltanto dopo il suo decadimento. Le prime rappresentazioni, probabilmente, avvennero in occasione delle due feste consacrate a Dioniso, le Lenee e le Grandi Dionisie, su dei gradini di legno appoggiati al fianco della collina sulla quale sorge l’Acropoli. I poeti, sostanzialmente, erano impegnati in una sorta di gara, presentando un pezzo ciascuno (o due durante le Lenee). Secondo Aristotele la commedia derivò – anche nel nome – dal κμος (kòmos, letteralmente ‘baldoria’), vale a dire il corteo associato alle ritualità simposiache e alle falloforie, delle processioni solenni in onore di Priapo e Dioniso e dedicate alla semina ed al lavoro nei campi, nelle quali si trasportavano enormi falli di legno, accompagnando il corteo con canti allegri e osceni, battibecchi scherzosi e scambi di invettive mordaci tra i partecipanti. I cantori erano spesso travestiti da animali, come uccelli o cavalli, oppure seduti sul dorso di delfini e struzzi, danzando al suono di un flauto. Ad ogni modo, la funzione originaria della commedia fu apotropaica, cioè scaccia-sfortuna.

La struttura della commedia

La commedia si strutturava in cinque parti. La prima era il prologo (πρόλογος, da pro, ‘prima’, e lógos, ‘discorso’), vale a dire l’introduzione alla storia narrata: a recitarlo era un personaggio della scena, una divinità apparsa ex machina, una personificazione del prologo stesso, un’allegoria oppure colui il quale incarnava il ruolo dell’autore, rivolgendosi agli ascoltatori in un monologo destinato a svelare l’antefatto. Seguivano le parodoi (πάροδοι), anche chiamate eisodoi, cioè due corridoi laterali, posti tra la skené e i sedili per il pubblico, dai quali entrava in scena il coro. L’introduzione del fulcro della narrazione era detta agone (γών, cioè ‘gara’, ‘disputa’), e traeva origina dall’omonima manifestazione pubblica consistente in competitivi giochi organizzati in occasione di celebrazioni religiose presso un santuario, disputati per la conquista di premi, che solitamente erano corone di foglie, privilegi ed erezione di statue. Lo spirito agonistico sopravvisse nella commedia attica antica e le gare riguardarono tanto le abilità atletiche quanto quelle artistiche. La penultima parte erano le parabasi (παράβασις, ‘il procedere avanti’): qui, il poeta era solito esporre il proprio pensiero e le proprie considerazioni – quasi sempre politiche – per mezzo di un personaggio del coro. Non a caso, ad un certo punto della performance, l’attore – dismessa la maschera – raggiungeva le prime file del teatro, dove solitamente sedevano le più alte cariche pubbliche e, più in generale, le personalità di spicco della società, iniziando a scherzare con (e su di) loro, accompagnando il tutto da domande piuttosto ficcanti. Tale pratica durò fintanto che la politica rimase gestita dalle singole poleis, sparendo con l’avvento dell’ellenismo. Infine, l’esodo (ξοδος, composto di èx, ‘fuori’, e hodòs, ‘strada’), la parte finale sia nella tragedia che nella commedia, che coincideva con il canto di uscita del coro. La differenza sostanziale tra le due antiche rappresentazioni teatrali riguardò il fatto che, nella sua seconda fase, scemò il ricorso al mito, a vantaggio di una maggiore vitalità che prendeva spunto dagli argomenti quotidiani.

L’evoluzione della commedia

Il passaggio dalla commedia antica a quella nuova è poco conosciuto. Gli antichi attribuirono a questo periodo oltre seicento commedie, andate tutte perdute e, secondo la tradizione, veniva indicata con il nome di ‘commedia di mezzo’, una tesi confutata da numerosi studiosi, che respingono tale tripartizione. Quel che è certo, è che in questa fase scomparve la parabasi, il coro ebbe un ruolo secondario e l’azione progredì in maniera molto più logica. Talvolta designata come Néa, la commedia nuova vera e propria, invece, si sviluppò nella seconda metà del IV secolo a.C. e si caratterizzò per una trama più importante rispetto alla sua precedente versione, spesso senza un forte legame con l’inizio della commedia e con gli episodi collegati logicamente. Il ruolo del coro fu limitato a brevi intermezzi tra ognuna delle cinque parti (equivalenti agli atti del teatro occidentale moderno), con i dialoghi tra gli attori che divennero via via sempre più parlati. Il tema ricorrente è quello dell’amore contrastato, che riusciva tuttavia a trionfare al termine di una serie di colpi di scena. I personaggi, invece, ancor più che in passato, vennero estremamente stereotipati, con il protagonista – chiamato Moschion – destinato a sposare l’analogo personaggio femminile, mentre la figura dello schiavo, il Gorgia, talvolta era rappresentato come onesto e talvolta come un imbroglione. Nella commedia nuova si stabilizzò lo stile, soprattutto alla luce del fatto che le oscenità vennero vietate: sparirono, quindi, narrazioni riguardo la relazione pederasta e la seduzione delle vergini, sostituite dal matrimonio.