La struttura delle commedie plautine
Tito Maccio Plauto è considerato il primo autore latino a dedicarsi a un solo genere letterario: quello della commedia
Chi era Plauto
Plauto nacque a Sarsina in una data incerta, probabilmente intorno al 250 a.C.. L’incredibile quantità di aneddoti legati alla sua figura rende tuttavia pressoché impossibile distinguere quelli realmente accaduti da quelli che, invece, altro non sono che leggende. Ad esempio, si racconta che, giunto a Roma molto giovane come attore, si sia dedicato al commercio con pessimi risultati al punto che, a causa dei debiti accumulati, sarebbe stato fatto schiavo in un mulino. Sarebbe stato proprio qui, poi, che avrebbe scritto tre commedie che riscossero grande successo tra il pubblico e gli valsero la libertà: si tratterebbe del ‘Saturnio’ e dell”Addictus’ (cioè, lo schiavo), mentre è sconosciuto il titolo della terza opera. Ad ogni modo, l’importanza di Plauto è fortemente connessa al fatto che, prima di chiunque altro, decise di dedicarsi ad un solo genere, nello specifico la commedia. Si ritiene che la sua carriera fu lunga e fortunata e che scrisse ininterrottamente per un ventennio. I suoi capolavori, particolarmente apprezzati dai cittadini Romani, continuarono ad essere messi in scena anche ben oltre la sua morte.
Le commedie e la loro struttura
La straordinaria popolarità di cui beneficiò Plauto, tuttavia, è anche causa di diverse controversie riguardanti l’autenticità delle commedie a lui attribuite, in quanto sovente si associava il suo nome a opere minori, al fine di assicurarne il successo. Comunque, le sue opere vengono classificate in Fabulae Varronianae (in totale 21 e, come attesta Varrone, sono di autenticità indiscutibile), un gruppo di 19 (che il letterato ritiene plausibilmente di Plauto) e un altro di origine spuria. Per quanto riguarda le Varroniane, ad eccezione della ‘Vidularia’ (La commedia del baule) che è andata perduta e dell’incertezza riguardante la parte iniziale delle ‘Bacchides’ (Le Bacchidi) e quella finale dell”Aulularia’ (La commedia della pentola), le restanti 18 – ‘Amphitruo’ (Anfitrione), ‘Asinaria (La commedia degli asini), ‘Captivi’ (I prigionieri), ‘Càsina’ (La sorteggiata), ‘Cistellaria’ (La commedia della cesta), ‘Curculio’ (Il gorgoglione, un verme del grano), ‘Epìdicus’ (Epidico), ‘Menaechmi’ (I Menecmi), ‘Mercator’ (Il mercante), ‘Miles gloriosus’ (Il soldato fanfarone), ‘Mostellaria’ (La commedia del fantasma), ‘Persa’ (Il persiano), ‘Poenulus’ (Il cartaginese), ‘Psèudolus’ (Il mentitore), ‘Rudens’ (La gomena), ‘Stichus’ (Stico), ‘Trinummus’ (Le tre monete) e ‘Truculentus’ (Lo zoticone) – sono giunte integre fino ai giorni nostri. Le fabulae plautine sono quasi tutte palliate e ciò in virtù della grande considerazione di cui godevano al tempo i modelli greci godevano. Inoltre, la gravitas romana vietava di portare in scena fatti e personaggi relativi alla realtà sociopolitica dell’Urbe. I modelli di Plauto si rifecero, pertanto, sia alla “commedia nuova”, sia a quella di “mezzo”, sia a quella “attica antica”, che seppe abilmente arricchire con elementi provenienti dalla “farsa italica”. Non ci è dato sapere in che misura abbia utilizzato tali modelli, ma è opinione diffusa che egli abbia mescolato su un canovaccio comune scene già rappresentate in altre commedie precedenti. Ad ogni modo, il suo stile si caratterizzò per una spiccata originalità in quanto, seppur attingendo da altre opere, modificò il più possibile ognuna di essa, innestandovi numerosi aspetti frutto della sua fantasia e della sua conoscenza. Amò la comicità spassosa che si fonda sui vizi, sugli equivoci, sul fantastico e sugli imbrogli, ma non rinunciò a dare un tocco di ‘irrequietezza’, dedicando un ruolo importante all’aspetto psicologico dei personaggi. Le storie vennero ambientate prevalentemente in luoghi stranieri e caratterizzate da temi tradizionali, come il contrasto tra padri e figli o narrazioni di carattere amoroso ricche di intrighi e fraintendimenti, e fu frequente il lieto fine per intervento della fortuna o dell’astuzia di un servo. Le sue commedie si presentarono divise in un prologo, nell’azione e nell’epilogo, ma a questi tre elementi affiancò, talvolta, alcune didascalie. Fu, tuttavia, nelle parti dialogate (deverbia) e in quelle musicali (cantica) che emerse in maniera inequivocabile la sua geniale estrosità.