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L’elegia a Roma: Ovidio

Insieme a Tibullo e Properzio rappresentò gli elegiaci romani che cantarono l’amore per una sola donna, discostandosene per la predilezione per l’ironia e il distacco

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

L’elegia a Roma si diffonde come reazione ad un secolo di guerre civili e al genere epico che le aveva accompagnate. Così, alle armi si contrappongono gli amori e alla vita politica si preferisce quella privata, mentre impegni militari e pratica forense sono considerate alla stregua di deleterie occasioni di carrierismo. Nell’elegia il centro dell’esistenza è l’amore per una sola donna, che assume il ruolo di unico scopo della vita. Amore che è condensato in forma breve e intensa, per rappresentare le storie dolorose e tormentate vissute dal poeta, condannato ad avere una ‘vita di nequitia’, un’esistenza condotta ai margini della società. L’abbandono di tematiche alte e altre da parte degli elegiaci per mettere al centro del discorso poetico l’amore, contiene l’ammissione di un senso di inadeguatezza a trattare argomenti elevati, una recusatio di comodo, che libera l’autore da ogni altro vincolo che quello della ‘domina’, la donna vista come padrona, in questo caso del poeta, reso schiavo dal ‘servitium amoris’.

I poeti elegiaci

I poeti elegiaci che cantarono l’amore ai tempi dell’antica Roma furono Tibullo, Properzio ed Ovidio e i loro topos sono diventati immortali punti di riferimento per la letteratura e addirittura per la cinematografia. Dal punto di vista stilistico, i tre elegiaci si ispirano ai greci Callimaco e Fileto, mantenendo una forma essenziale e raffinata, mentre sui contenuti se ne discostano decisamente, abbandonando il carattere oggettivo ed erudito degli ellenisti, per lasciare libero sfogo alla soggettività dell’autore e contaminandosi con l’epigramma e l’idillio, ma anche con la commedia e la tragedia. È poi Catullo da cui imparano a trattare l’amore come tormento e travaglio ed è Cornelio Gallo a coniare il servis amoris, l’amore per una sola donna, centrale nell’elegia romana.

L’elegia di Ovidio

Nonostante sia solamente poco più giovante di Tibullo e Properzio, Ovidio se ne discosta quasi naturalmente per non aver vissuto in prima persona il turbolento momento storico e di conseguenza per non averne potuto assorbire direttamente le tensioni e i valori. Nato a Sulmona nel 43 a.C., Ovidio è figlio di una nuova realtà imperiale, frequenta le migliori scuole di retorica romane e intraprende la carriera politica, lasciata ben presto per dar sfogo al precoce impulso di dedicarsi anima e corpo alla vocazione letteraria, che sfocerà nelle leggere e raffinate elegie degli Amores, ma anche nelle didascaliche opere erotiche come l’ars amatoria, piuttosto che in tragedie, come nel caso di Medea. Come Properzio però, in età matura deviò dal suo percorso, dedicandosi alla mitologia con le Metamorfosi e ai riti romani con i Fasti. Un episodio di adulterio con una nipote di Augusto e l’immoralità dei suoi versi lo porteranno ad un lungo esilio a Tomi, l’odierna Costanza, dove morì nel 17.

Gli Amores

Amores è l’opera d’esordio di Ovidio, una raccolta di 49 elegie, all’apparenza non troppo dissimile da quelle dei suoi immediati predecessori Tibullo e Properzio. Anche qui infatti viene evocata una donna, Corinna, ma diversamente dagli altri elegiaci, Ovidio prende una posizione differenze, mantenendo un tono distaccato e ironico nei confronti delle sue stesse vicende amorose.

Ars amatoria

Un atteggiamento che Ovidio si porta dietro anche nell’Ars amatoria, tecnicamente un vero e proprio manuale, formato da tre libri in distici elegiaci e caratterizzandosi così come un’opera teorico-didascalica. Il tono però sempre leggero e a tratti spregiudicato, se fu alla base del successo di pubblico, fu anche probabilmente alla base della condanna di Augusto.

Heroides

Si tratta di 21 elegie in formato epistolare, nelle quali le mittenti sono le eroine del mito, che scrivono sentimentalmente ai loro amanti. Un’opera, questa, che segna il passaggio di Ovidio ai grandi poemi delle Metamorfosi e dei Fasti.

Esilio e ritorno all’elegia

Nei lunghi anni del confino a Tomi, Ovidio tornò a scrivere per se stesso e trovò naturale riprendere l’elegia, con la composizione dei 5 libri dei Tristia e i 4 delle Epistulae ex Ponto.

La poetica di Ovidio

Con Ovidio l’elegia romana tocca le sue vette e si può dire che raggiunga la maturità, estendendosi oltre i confini dell’amore per una sola donna e spaziando alla ricerca di una poesia più elevata, che voli sopra i confini terreni dei tipici drammi proposti da Tibullo e Properzio, svuotati in modo spiritoso e anticonformista fingendo di imitarli. Così, anche la figura femminile, nel caso di Ovidio, Corinna, perde la sua unicità, per diventare un modello “ripetibile” con situazioni e donne diverse. Stesso discorso per il mito, utilizzato, ma anche umanizzato fino a ridicolizzarlo. Logiche le conseguenze sullo stile di Ovidio, che essendo strettamente connesso alla sua concezione di poesia, non come rappresentazione della realtà, ma come dimensione letteraria, resta leggero e divertente come un lusus, un gioco.