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Paradiso, Canto XII: San Domenico e la lotta contro l’eresia

Ancora nel IV Cielo del Sole, Dante si intrattiene con gli spiriti sapienti della seconda corona

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

San Bonaventura e il panegirico di san Domenico

Mentre la prima corona di spiriti sapienti riprende a ruotare, ecco che viene circondata da una seconda, composta da dodici anime, anch’esse intonanti un canto talmente armonioso da non rendere possibile una sua descrizione. La grazia dei due gruppi di spiriti li fa sembrare degli arcobaleni concentrici e degli stessi colori, l’uno riflesso dall’altro: questi ricordano a Dante il mito di Iride inviata da Giunone sulla Terra e il racconto biblico del patto tra Dio e l’uomo dopo il Diluvio Universale. Al termine della danza delle luci fiammeggianti, con le anime che si fermano tutte insieme sulla base di una volontà comune, una voce induce Dante a prestare immediatamente la massima attenzione. È quella di san Bonaventura, che afferma come sia l’ardore di carità a spingerlo a parlare del fondatore dell’Ordine domenicano, esattamente come, poco prima, san Tommaso aveva parlato in termini lusinghieri di san Francesco: sottolinea come entrambi combatterono per lo stesso fine, pertanto è cosa giusta che la loro gloria risplenda insieme. Bonaventura, poi, aggiunge che la Chiesa appariva incerta ed esitante e per tale motivo Dio giunse in suo soccorso facendo nascere due uomini eccezionali come san Francesco e san Domenico che, con le loro azioni, permisero al popolo cristiano di ravvedersi. Il santo nativo di Calaruega fu un supremo difensore della fede cristiana, benevolo con i suoi e spietato con i nemici, e la sua mente fu sin da subito piena di virtù, come confermano il sogno premonitore che fece la madre prima ancora della sua nascita e quello della madrina sulle sue future imprese del santo: è dal Cielo, quindi, che proviene l’ispirazione a dargli quel nome, che equivale al possessivo di “Signore”, una sorta di agricoltore voluto da Cristo per coltivare il proprio orto.

La lotta contro le eresie e il biasimo dei francescani degeneri

San Domenico, prosegue san Bonaventura, dimostrò sin dall’infanzia il proprio amore verso Cristo e i suoi insegnamenti, tanto che la sua nutrice più di una volta lo trovò a terra, come volesse dire “Sono nato per questo“. Da giovane si dedicò agli studi filosofici, non per sete di ricchezza, ma per fede e totale devozione, diventando rapidamente un esperto teologo, che si servì della sua sapienza per difendere la Chiesa: ecco perché chiese al papa, una figura che sovente si allontana dalla retta via, di non sfruttare cavilli legali per accumulare ricchezze materiali, bensì il permesso di combattere le eresie che minacciavano la Cristianità. Una volta ottenuto tale avallo, quindi, si dedicò anima e corpo alla nobile causa, soprattutto in Provenza, dove esse erano maggiormente frequenti. Il suo esempio venne poi seguito dai suoi confratelli, che diedero vita a una serie di ‘ruscelli’ che continuarono, anche dopo la sua morte, a ‘irrigare l’orto’ del popolo cristiano. Bonaventura aggiunge che Domenico fu una ruota del carro della Chiesa che combatté e vinse la sua battaglia contro le eresie e, per questo motivo, Dante dovrebbe capire l’eccellenza anche dell’altra ruota, cioè san Francesco, con una sola differenza: il solco che ha tracciato è ora abbandonato, con il male che si è sostituito al bene. L’Ordine francescano, infatti, un tempo seguiva i passi del suo fondatore, mentre oggi ha scelto una strada opposta e ben presto si distingueranno i francescani fedeli alla Regola da quelli degeneri. Nonostante ci siano ancora molti individui ligi agli insegnamenti di san Francesco, ce ne sono altrettanti che se ne sono discostati e i casi più emblematici sono quelli di Ubertino da Casale (capo degli spirituali) e di Matteo d’Acquasparta (dei conventuali), i quali vogliono rispettivamente inasprire e ammorbidire la Regola del santo, sbagliando entrambi. È solo a questo punto che il beato si presenta, dichiarando di essere Bonaventura da Bagnoregio, che nelle cariche ecclesiastiche ricoperte in vita mise sempre in secondo piano i desideri mondani. Dopodiché, presenta gli altri spiriti che formano la seconda corona, fra cui Illuminato da Rieti e Agostino da Assisi, tra i primi seguaci di san Francesco, Ugo di San Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro da Lisbona, che scrisse i dodici libri delle ‘Summulae logicales’, il profeta Natan, il patriarca di Costantinopoli san Giovanni Crisostomo, Anselmo da Aosta, Elio Donato, che scrisse un trattato di grammatica, Rabano Mauro e Gioacchino da Fiore, dotato di capacità profetiche. Infine, conclude il discorso spiegando che ha voluto elogiare san Domenico, paladino della Chiesa cristiana, per la cortesia di san Tommaso e delle sue parole, che hanno indotto lui e gli altri beati della seconda corona a danzare e a cantare.