Canto XII del Paradiso di Dante: analisi e figure retoriche
Il Canto XII del Paradiso è il diretto proseguimento del Canto XI e costituisce la seconda parte di un dittico tematico incentrato sull’esaltazione delle due grandi figure fondatrici degli ordini mendicanti: San Francesco d’Assisi e San Domenico di Guzmán. Se nel canto precedente era stato San Tommaso d’Aquino, domenicano, a celebrare con ammirazione San Francesco, in questo canto è San Bonaventura da Bagnoregio, francescano, a rendere omaggio alla figura di San Domenico. Questo scambio, sorprendente per chi si aspetterebbe spirito di rivalità, esalta invece il principio dell’armonia tra le diversità spirituali e propone un’immagine della Chiesa come corpo mistico dove ogni parte contribuisce alla perfezione dell’intero.
Il canto si colloca nel Cielo del Sole, il cielo riservato agli spiriti sapienti, e riprende con coerenza il motivo dell’intelligenza illuminata dalla grazia divina, la quale non si traduce solo in contemplazione, ma anche in azione al servizio della verità. La figura di San Domenico viene dunque presentata non solo come modello di dottrina, ma anche di carità operosa e zelo missionario.
- Le due corone di spiriti sapienti: simbolo di armonia celeste
- L’elogio di San Domenico da parte di San Bonaventura
- La denuncia della corruzione interna all’Ordine francescano
- L’elenco delle anime beate della seconda corona
Le due corone di spiriti sapienti: simbolo di armonia celeste
Il canto si apre con l’apparizione di una seconda corona di dodici spiriti beati, che si aggiunge alla prima (apparsa nel canto precedente), formando un’immagine grandiosa e dinamica: due corone concentriche di anime danzanti, simili a due arcobaleni che si riflettono l’uno nell’altro. Questa visione è altamente simbolica: le due corone rappresentano l’equilibrio tra le due anime della spiritualità cristiana, quella francescana e quella domenicana, tra contemplazione e predicazione, tra povertà e dottrina.
La danza dei beati esprime la gioia perfetta e la comunione assoluta tra le anime illuminate dalla verità divina. L’ordine, la luce, l’armonia e il movimento circolare richiamano l’idea di un cosmo spirituale in cui ogni parte occupa il posto che le è proprio, in obbedienza a un disegno superiore. È questa visione teologica dell’universo ordinato e gerarchico che guida tutta la Commedia, e che trova nel Paradiso la sua espressione più alta.
L’elogio di San Domenico da parte di San Bonaventura
Dopo l’apparizione della seconda corona, prende la parola San Bonaventura, grande teologo francescano e figura fondamentale nella spiritualità medievale. Con un gesto di umiltà e apertura, egli si incarica di lodare San Domenico, il fondatore dell’ordine “rivale”, mostrandosi quindi pienamente conforme alla carità celeste che supera ogni divisione terrena.
San Domenico viene descritto fin dalla nascita come eletto da Dio per una missione speciale. Nato a Calaruega, in Spagna, da madre pia e profetica, la sua vita è interamente dedicata alla difesa della fede e alla predicazione del Vangelo. Bonaventura lo paragona a un agricoltore spirituale, che coltiva il campo della fede e lo ripulisce dalle erbacce dell’eresia. Non viene meno l’allusione alle lotte contro i catari, ma l’attenzione si concentra soprattutto sulla figura morale e spirituale del santo, sul suo rigore ascetico, sulla sua dedizione instancabile alla verità, sulla sua capacità di conciliare carità e dottrina, povertà e zelo apostolico.
La narrazione si svolge con grande intensità lirica, in uno stile che alterna immagini mistiche a metafore agricole e cosmiche, e costruisce un ritratto ideale del predicatore come strumento della volontà divina.
La denuncia della corruzione interna all’Ordine francescano
Dopo aver esaltato la figura di Domenico, San Bonaventura rivolge uno sguardo severo al proprio ordine, quello francescano. In un momento di grande onestà spirituale, riconosce che l’ordine fondato da San Francesco si è allontanato dagli ideali originari. Questa parte del canto introduce un tono più doloroso e riflessivo: la decadenza della vita religiosa è vista come un fallimento umano, ma anche come una ferita inflitta al corpo della Chiesa.
Bonaventura allude alle divisioni tra i “conventuali” e gli “spirituali”, due correnti nate all’interno del francescanesimo: i primi più inclini a una gestione “moderna” del potere e dei beni; i secondi più fedeli all’assoluta povertà di Francesco. Questa frattura simboleggia la difficoltà di mantenere la purezza originaria in un mondo segnato dalla corruzione.
Il tono è profetico e ammonitore: se anche l’ordine più puro può cadere nella degenerazione, ciò significa che la vigilanza morale deve essere continua, e che ogni istituzione umana è esposta al rischio del peccato. Tuttavia, nel contesto del Paradiso, questa denuncia non è rabbia, ma lucida consapevolezza e desiderio di riforma.
L’elenco delle anime beate della seconda corona
La parte finale del canto è dedicata alla presentazione delle dodici anime che compongono la seconda corona, tutte figure di rilievo nella storia del pensiero e della spiritualità cristiana. L’elenco non è casuale: ogni anima rappresenta un diverso volto della sapienza illuminata dalla fede, e l’intera corona compone un mosaico perfetto della sapienza divina.
Tra le anime citate troviamo:
- Ugo da San Vittore, mistico e teologo dell’abbazia parigina di San Vittore, noto per la fusione tra filosofia e spiritualità.
- Anselmo d’Aosta, autore dell’argomento ontologico e figura centrale del pensiero medievale.
- Rabano Mauro, monaco e studioso carolingio, che simboleggia la continuità tra cultura classica e cristiana.
- Gioacchino da Fiore, mistico calabrese, noto per le sue profezie sulla storia della Chiesa.
Questo catalogo di spiriti sapienti suggerisce che la verità divina si manifesta nella molteplicità, e che il cammino della fede può assumere forme molteplici, tutte valide se animate dall’amore e orientate al bene. Ogni anima è un riflesso parziale della luce divina, e insieme formano un coro perfetto, un’armonia spirituale che celebra la gloria di Dio.