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Origine, ruolo e struttura della tragedia greca

Genere teatrale di tipo religioso con forti valenze sociali, era composto da prologo, parodo, episodi, stami ed esodo

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

L’origine della tragedia greca

Il termine greco trago(i)día τραγδία deriva dall’unione delle radici di “capro” (τράγος / trágos) e “cantare” (δω / á(i)dô), con il significato di “canto dei capri“, in riferimento al coro dei satiri, o di “canto per il capro”, legato quindi al premio per l’agone. La sua origine è uno dei tradizionali problemi irrisolti della filologia classica e la fonte primaria di questo dibattito è la ‘Poetica’ di Aristotele il quale, potendo raccogliere una documentazione, a noi oggi inaccessibile, sulle fasi più antiche del teatro in Attica, giunse alla conclusione che ebbe origine nel Peloponneso come forma di evoluzione del ditirambo satiresco, un canto corale in onore di Dioniso introdotto da Arione di Metimna. Il suo legame con il dio dell’ebbrezza sarebbe confermato dagli alessandrini, secondo cui il genere nacque in Attica e avrebbe affondato le proprie radici in alcuni particolari riti del culto locale, e dagli studiosi moderni, che ritengono come il tema del sacrificio sia indissolubilmente legato alle prime versioni della tragedia greca. Quel che appare certo è che, in principio, le rappresentazioni si basavano sull’improvvisazione, erano brevi e di tono burlesco, ma col tempo il linguaggio si fece via via più grave e con esso cambiò anche il metro, che da tetrametro trocaico, il verso più prosaico, divenne trimetro giambico. Lo spirito più popolare dei riti e delle danze dionisiache, invece, sopravvisse nel dramma satiresco.

Il ruolo della tragedia greca

Gli argomenti principali trattati nelle tragedie sono quelli della mitologia greca, dalla guerra di Troia alle imprese di Eracle, passando per il ciclo tebano (e in particolare la dinastia di Edipo) e per la saga degli Atridi. Si trattava spesso di eventi luttuosi, in cui il protagonista si trovava di fronte o ad un fatto terribile o alla scelta tra due alternative entrambe particolarmente dolorose. Ciò non significa, tuttavia, che ci furono tragedie dal tono più leggero o caratterizzate dal lieto fine. La ricorrenza di temi, che a prima vista farebbe pensare a una certa ripetitività, venne superata dagli autori – Eschilo, Sofocle ed Euripide su tutti – dando spazio alle numerose varianti del mito stesso, oppure semplicemente distaccandosene per narrare la vicenda mediante inattesi sviluppi, con finali alternativi. I motivi più frequenti, poi, furono quelli della vendetta, della punizione (anche senza colpa), l’espiazione, la supplica e la follia. Ad ogni modo, secondo Aristotele, il tipo di trama più adatta alla tragedia è quello di un protagonista, perlopiù privo di qualità eccezionali, la cui condizione di felicità cessa non a causa della propria malvagità, ma per un errore. Le manifestazioni della tragedia antica, è bene sottolineare, non furono un mero spettacolo nell’accezione attuale del termine, quanto piuttosto un vero e proprio rito collettivo della pòlis. Infatti, si svolgeva durante un periodo sacro e in uno spazio consacrato (al centro del teatro sorgeva l’altare del dio) e, data la regolarità delle rappresentazioni e la grande partecipazione del pubblico (probabilmente, già nel V secolo a.C. erano ammessi anche donne, bambini e schiavi), il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e culturale dell’Atene democratica: la tragedia parla di un passato mitico, il quale si trasforma in maniera immediata, semplice e intuitiva in una metafora dei problemi radicati nella società dell’epoca. La passione dei greci per le tragedie fu travolgente, al punto che, dicevano i detrattori, Atene spendeva più denaro per il teatro che per la flotta. Quando il costo per gli spettacoli divenne troppo gravoso per alcune fasce della popolazione, venne istituito un contenuto prezzo d’ingresso, affiancato al cosiddetto Teorico, un fondo speciale per pagare il biglietto ai meno abbienti.

La struttura della tragedia greca

La tragedia greca è strutturata secondo uno schema rigido. Essa inizia generalmente con un prologo (πρόλογος, da prò e logos, cioè discorso preliminare) e può essere costituita da un monologo o da un dialogo, che ha la funzione di introdurre il dramma. In alcuni casi, il personaggio, o i personaggi, che recitano in questa parte non avranno poi ulteriore spazio. Vi è poi la parodo (πάροδος), il primo canto che il coro esegue nel corso della tragedia, quando entra in scena attraverso dei corridoi laterali chiamati, appunto, πάροδοι (parodoi). La trama dell’opera, invece, si sviluppa attraverso tre o più episodi (πεισόδια), che contengono le parti dialogate tra gli attori e in cui, talvolta, interviene anche il coro, di solito con brevi battute di commento affidate al corifeo, ossia il capocoro. Il dialogo tragico si sviluppa attraverso alcune forme tipiche: la rhèsis (dal greco “discorso”, è il monologo, più o meno esteso, di un personaggio), la sticomitia (la battuta di un verso solo, utilizzata quando il dialogo si fa più concitato) o la sua variante antilabè (quando un verso è diviso tra due personaggi) e la monodìa (quando un attore canta in metri lirici anziché recitare), che diventa kommòs se c’è un duetto con il coro e amoibaios se invece esso riguarda due attori. Gli intermezzi destinati a separare tra loro gli episodi, con danze e canti, sono detti stasimi (στάσιμα): qui il coro commenta, illustra e analizza la situazione che si sta sviluppando. Infine, l’esodo (ξοδος), vale a dire la parte conclusiva della tragedia, che termina con l’uscita di scena del coro.