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La morte di Ermengarda negli Adelchi di Manzoni

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

La figura di Ermengarda, all’interno della tragedia Adelchi di Alessandro Manzoni, rappresenta uno dei momenti più alti della poetica dell’autore. Il suo dramma personale, segnato dal dolore, dall’abbandono e da un profondo senso religioso, diventa lo specchio di un’epoca turbolenta e di un destino segnato da forze superiori.

Il quadro storico e letterario di “Adelchi”

L’Adelchi è la seconda tragedia di Alessandro Manzoni, pubblicata nel 1822, pochi anni dopo Il conte di Carmagnola. Siamo nell’ambito del teatro romantico italiano, che si discosta dalle regole classiche per cercare un più forte legame con la storia e con gli stati emotivi dei personaggi. Manzoni, in particolare, è fortemente convinto che la letteratura debba avere un valore educativo e morale, e che la storia – letta alla luce della Provvidenza – sia il vero palcoscenico dove l’essere umano mostra la sua natura più autentica.

Nel caso dell’Adelchi, l’ambientazione storica è quella della caduta del regno longobardo in Italia, avvenuta nella seconda metà dell’VIII secolo, con l’ascesa di Carlo Magno e l’inizio di una nuova fase politica ed ecclesiastica. È in questo contesto che si sviluppano le vicende dei personaggi principali: Desiderio, re dei Longobardi, i suoi figli Adelchi ed Ermengarda, e lo stesso Carlo Magno. La tensione tra potere temporale e potere spirituale, la sfida tra regni in competizione e il dramma di chi subisce gli eventi della storia sono alcuni dei fili conduttori della tragedia manzoniana.

Manzoni lavora con cura sulle fonti e sui documenti storici, cercando una ricostruzione realistica del periodo. Tuttavia, oltre al rispetto della cronaca, l’autore imprime alla narrazione una forte carica morale e religiosa. L’ideale cristiano della sofferenza come prova della fede emerge con straordinaria evidenza, soprattutto quando si analizza la vicenda di Ermengarda, simbolo di un’innocenza che soccombe di fronte alle logiche del potere e della ragion di Stato.

Ermengarda: il personaggio e la sua funzione

Nella trama dell’Adelchi, Ermengarda è la figlia di Desiderio, re dei Longobardi, e sorella dell’eroe che dà il nome all’opera. In giovanissima età è data in sposa a Carlo (il futuro Carlo Magno), in un matrimonio che risponde più a strategie politiche che a sentimenti genuini. La sua figura si trova così in bilico tra due mondi in conflitto: quello longobardo, di cui è parte per nascita, e quello franco, con cui si è legata per matrimonio.

Proprio a seguito di tensioni politiche e considerazioni di opportunità, Carlo ripudia Ermengarda, togliendole non solo la dignità di moglie e regina, ma anche l’illusione di una possibile felicità coniugale. Da questo punto in poi, la vita di Ermengarda diviene un susseguirsi di sofferenze interiori: il dolore per l’abbandono e il senso di fallimento la portano a una lenta e inesorabile discesa verso la morte. In un certo senso, il suo personaggio agisce come un fulcro emotivo dell’intera tragedia, poiché incarna la dimensione del patire e della resa di fronte a forze più grandi di lei.

La sua presenza, pur non dominando la scena come quella di Adelchi o di Desiderio, risulta fondamentale per comprendere le intenzioni di Manzoni: Ermengarda è il volto più umano del dramma, vittima di un destino che non ha scelto e che non può contrastare. Il suo spirito cristiano e la sua fede la spingono a cercare conforto in Dio, trasformando il suo patimento in un viaggio interiore verso l’accettazione del volere divino.

Analisi della “morte di Ermengarda”

La “morte di Ermengarda” è uno dei momenti più toccanti e poetici di tutto l’Adelchi. Manzoni regala al lettore un episodio carico di struggimento, dove l’elemento lirico e quello drammatico si fondono, facendo emergere la grandezza dell’autore nel rappresentare l’agonia e la sofferenza.

Il testo e la sua struttura

Siamo di fronte a un passaggio in cui la forma tragica si apre a toni lirici: Manzoni non si limita a raccontare l’evento, ma ne fa un canto del dolore, un addio sospeso tra cielo e terra. La scena si colloca nella parte centrale dell’opera, preparando idealmente la successiva disfatta dei Longobardi. Ermengarda, giunta a un punto di rottura emotiva e fisica, abbandona la vita terrena circondata dal cordoglio di chi la ama, ma sentendosi anche sollevata dalla prospettiva di una pace ultraterrena.

Attraverso un linguaggio ricco di pathos, l’autore mostra la debolezza di Ermengarda nel corpo, ma ne esalta la grandezza dell’anima. Non ci sono riferimenti espliciti a vendette o a risentimenti verso Carlo: la giovane donna è talmente consumata dal dolore da trasformare la sua fine in un momento di catarsi, in cui i mali terreni lasciano spazio a una speranza trascendente.

I temi chiave del brano

Nella “morte di Ermengarda” si intrecciano diversi temi cari a Manzoni:

  • La sofferenza come veicolo di crescita spirituale e come banco di prova della fede.
  • L’innocenza violata: Ermengarda paga per colpe che non ha commesso, restando vittima di giochi politici.
  • La pietà cristiana: il dolore, vissuto con spirito di abbandono al volere divino, trascende la mera dimensione terrena, accostandosi a un concetto di redenzione e di purificazione.

In questo contesto, Ermengarda assume il ruolo di simbolo universale di chi subisce ingiustizie più grandi di sé, trovando comunque la forza di resistere fino all’ultimo respiro con dignità. Manzoni fa dunque del suo dramma personale una lezione morale: la sofferenza, se accolta con fede, può condurre a un livello più alto di comprensione della realtà.

La dimensione religiosa e il senso del tragico

Uno degli elementi centrali dell’Adelchi, e in particolare della vicenda di Ermengarda, è la concezione cristiana del dolore e la fiducia nella Provvidenza. Manzoni, che visse un percorso spirituale molto intenso (culminato nella sua conversione al cattolicesimo), riflette nella tragedia la convinzione che la storia umana sia retta da un disegno divino, spesso incomprensibile all’uomo, ma sempre finalizzato a un bene superiore.

La morte di Ermengarda, pur essendo tragica, non è presentata come un mero escamotage narrativo. Diventa invece il culmine di un’umanità che si rivela fragile e bisognosa di un senso più alto rispetto alle logiche terrene. Nel suo dolore, Ermengarda rappresenta l’anima piegata dalle prove del mondo, ma anche riscattata da un amore che va oltre ogni umana convenienza: l’amore di Dio, che si fa misericordia e accoglienza. Il tragico, in Manzoni, non è mai disperazione definitiva, bensì l’occasione per riflettere sulle piccolezze del potere umano e sul mistero della Grazia.

Questa prospettiva di tragico cristiano distingue Manzoni dai modelli classici, in cui la catastrofe è spesso frutto di forze ineluttabili. Qui, invece, il fato si intreccia con la volontà divina, offrendo una chiave di speranza che scavalca la morte. Ermengarda muore, ma la sua fine non è priva di uno spiraglio: l’anelito alla pace ultraterrena ha il potere di alleviare il dramma e di elevare il lettore a una dimensione di compassione e di riflessione metafisica.